Jérôme Lejeune: la santità di un uomo normale

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

 Zenit.org, 23 agosto 2012, di Maria Emilia Marega
Con una mostra ed un incontro il Meeting di Rimini ha ricordato il medico francese Jérôme Lejeune (1926-1994), scopritore dell’origine genetica della sindrome di Down, la trisomia 21.Ricordo che non si è limitato alla mostra Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune, ma ha dato luogo ad un’affollatissima conferenza in cui personaggi diverse hanno testimoniato la grandezza scientifica e umana del prof. Lejeune.
Durante la celebrazione di apertura della causa di beatificazione, il beato Giovanni Paolo II, ha parlato di Lejeune come il modello del laico cristiano affinché “La scienza venga usata soltanto per il bene dell’uomo”.

“Di Jérôme – ha ricordato Jean-Marie Le Méné, presidente della Fondazione Lejeune – c’è da imitare la coerenza e la personalità, perché dietro alla sua identità non c’era solo il medico, il ricercatore, ma l’uomo”.

Per raccontare dell’uomo Jérôme, ZENIT ha intervistato la signora Birthe Bringsted-Lejeune, moglie dello scienziato che potrebbe diventare beato.

Lei ha avuto un marito con “fama di santità”. Dicono che con il sacramento del matrimonio la santità non è più individuale ma si realizza nell’unita della coppia. Potrebbe aiutarci a capire meglio?
Io penso che in tutti matrimoni bisogna avere molta pazienza, essere fedeli e non fermarsi troppo sugli errori, ma andare oltre, insieme alla persona con cui si vive.
Penso che la santità é una cosa di tutti i giorni, cioè affrontare la vita in maniera normale. Non avrei mai immaginato che mio marito potesse aspirare a diventare beato, anche se oggi penso che può essere vero. In tanti anni passati insieme non ho mai pensato a questa possibilità. Anche adesso che potrebbe essere riconosciuto come beato non riesco a realizzare la grandezza di quest’evento.
Sono certa che anche Jérôme non ha mai pensato a questa possibilità, ed anche se avesse immaginato la santità, non ne era cosciente. Se fosse ancora in vita non potrebbe avere questa coscienza, perché credo che la santità possa essere compresa solo dopo. Anche le sue idee, erano buone, ma non direi che fossero così speciali da realizzare la santità.

Nell’immaginario collettivo si pensa che essere santo è una cosa irraggiungibile, un evento straordinario e solo per alcuni. Lei che ne pensa?
Penso che qualsiasi sia il risultato del processo di beatificazione, per i figli Jérôme è sempre stato considerato come padre, per me come marito… E’ quello che è, non c’è nulla di particolarmente straordinario. Penso la santità è una cosa normale, un vivere il quotidiano in maniera eroica.

Jérôme era uno che studiava e lavorava per molte ore al giorno. Succede in tante famiglie. Come riusciva a coniugare il lavoro con la vita famigliare?
Si! Lavorava tanto, lui amava il lavoro, ma non lo faceva per denaro, lo faceva per passione.

Tante famiglie dicono che non riescono a andare avanti perché i mariti lavorano troppo e passano la maggior parte del tempo fuori casa. Potrebbe dirci com’era nella famiglia Lejeune?
Lui lavorava molto, ma quando era a Parigi alle 19:30 era sempre a casa per cena. Arrivava a un certo punto che gli dicevo: adesso è ora di mangiare e lui smetteva di lavorare. Avevamo il vantaggio che l’ospedale e anche il laboratorio erano vicini quindi riusciva a tornare a casa anche per pranzo. Erano momenti felici, ci raccontava tutto quello che aveva fatto durante il giorno. I malati che aveva visitato, i problemi che erano sorti, il rapporto con le famiglie dei suoi assistiti. Era così attento che non diceva mai il nome o il cognome della persona di cui stava parlando.
Quando era in viaggio mi scriveva tutti i giorni. Ho un baule pieno di sue lettere. Sono lettere interessanti, in cui racconta quello che faceva. Lettere che servono anche per la causa di beatificazione. Anche se per correttezza noi famigliari siamo tenuti all’oscuro di come procede la causa di beatificazione.

E come si comportava con i figli?
Anche quando era in Giappone o in America non andava a letto prima di avergli scritto una lettera. Quando non era a casa io leggevo le sue lettere ai nostri figli. Anche se non era presente aveva sempre qualcosa da raccontare. Aveva un rapporto profondo con i figli.

Cosa prova quando incontra tutte queste persone piene di gratitudine per tuo marito? Che pensa di questa fama di santità ?
Jérôme non è ancora santo! Ma sono molto emozionata. C’è un ragazzo portoghese che ha 24 anni e affetto da trisomia 21 e tutti gli anni vieni a trovarci alla Fondazione, prende le foto di mio marito e le stringe al cuore. Io dico sempre che non c’e bisogno di venire a trovarci ogni anno, ma lui non sente ragione, sente il bisogno di venire a ricordare Jérôme.
C’è gente che organizza ogni anno una messa per mio marito, nonostante siano passati 18 anni dalla sua scomparsa. Ogni anno la Chiesa di Notre Dame a Parigi, è sempre piena e ci sono tantissimi bambini che sono affetti da trisomia 21 e vengono in suo onore, per ricordarlo.

Quando il Dr. Lejeune, ha deciso di dire no alla legge sull’aborto lo hanno messo da parte, discriminato. Come avete reagito?
E’ vero hanno cercato di metterci da parte, ma a quel punto noi siamo entrati in guerra, ed abbiamo cominciato a combattere! Molti donatori della Fondazione ci sostengono proprio perché dicono che abbiamo un grande coraggio nel difendere la vita.
La nostra voglia di lottare è sostenuta anche dal fatto che Giovanni Paolo II è andato sulla tomba di mio marito, questo atto ci ha dato molta forza.

Che cosa la sostiene e la rende felice?
La mia felicità è che ho 28 nipoti, ed una famiglia molto unita. Siamo tanti e uniti, questo mi rende felice.

La sig.ra Lejeune ha raccontato che il prof. Jean Marie Le Méné, presidente della Fondation Jérôme Lejeune, è sposato con sua figlia e hanno 9 figli. Anche l’altra figlia è sposata e ha 9 figli. C’è anche un figlio sposato con una docente di filosofia ed erano molto amici di Giovanni Paolo II. Il Papa polacco, voleva parlare di filosofia e li ha invitati a Castel Gandolfo per una settimana.
Il prof. Jerome Lejeune ha fatto diverse conferenze in Brasile e la sig.ra Birthe è stata con Giovanni Paolo II nella delegazione vaticana a Rio de Janeiro. “È stato magnifico, c’erano tante persone!”, ha raccontato con gioia.