Nel corso dei millenni l'uomo ha saputo usare creativamente della natura in funzione della propria sussistenza e del miglioramento delle proprie condizioni di vita. Gli ultimi 300 anni, dominati dell'esplosione industriale e tecnologica secondo una certa idea di progresso, hanno visto un incremento straordinario dell'impatto dell'uomo sull'ambiente con conseguenze non sempre prevedibili. Gli indizi recentemente rilevati di un forte aumento del diossido di carbonio nell'atmosfera forse correlato con un incremento della temperatura media del pianeta, destano preoccupazione: per la prima volta siamo di fronte all'eventualità che l'attività umana contribuisca, in modo parziale o dominante, a modificare il clima terrestre a livello globale.
Il dibattito è acceso e persino esasperato. Ma al bombardamento mediatico al quale siamo continuamente sottoposti su questi temi non corrisponde una chiarezza del dato scientifico. Anzi, la confusione sembra trionfare. Quali sono realmente i dati sperimentali? Quali i fatti consolidati e quali le incertezze? Qual è l'affidabilità dei modelli che vengono usati per trarre conclusioni e prevedere scenari futuri? E qual è l'effettivo contributo dell'uomo? Sappiamo che in epoche remote, ben prima di qualsiasi possibile influsso antropico, il clima del nostro pianeta ha attraversato altre variazioni significative, talvolta drammatiche, come glaciazioni o lunghi periodi di siccità. Se dunque oggi effettivamente assistiamo a un cambiamento climatico globale, questo è da attribuirsi all'intervento umano o a cause "naturali"?
A queste domande vengono date risposte diverse, anche diametralmente opposte, spesso dettate da preconcetti, interessi particolari, paura o ignoranza piuttosto che da un'autentica ricerca della verità. Da una parte il catastrofismo di chi predica che siamo sull'orlo di una estinzione di massa e vede nell'uomo quasi un parassita della natura. Dall'altra la noncuranza di molti, fermi a una concezione pre-industriale nella quale la Terra era pensata come una risorsa illimitata in grado di assorbire qualunque offesa. Da un'altra parte ancora i seguaci contemporanei del mito di Prometeo i quali ritengono che la Tecnica da sola sia in grado di risolvere tutti i problemi, compresi quelli creati dalla tecnica stessa.
Il percorso scientifico conduce inevitabilmente alla domanda: qual è l'atteggiamento più ragionevole per affrontare questi problemi? Con quali criteri prendere le decisioni a cui siamo chiamati? Qui il tema necessariamente travalica i limiti del metodo scientifico, e chiama in causa la nostra stessa concezione di "natura" e di "uomo": la ragione scientifica, preziosa per comprendere ogni aspetto particolare, non ci dà i criteri per rispondere. Secondo la tradizione giudaico-cristiana, culla della scienza e della tecnica moderna, la natura è data all'uomo per il suo bene, perché egli possa realizzare se stesso e collaborare alla creazione. Ma al tempo stesso l'uomo non è il padrone del mondo e non può a lungo vivere se pretende di disporre della natura a suo piacimento. Papa Benedetto XVI ripetutamente ha sottolineato l'importanza epocale del problema e indicato la posizione più giusta per affrontarlo: "non possiamo usare ed abusare del mondo e della materia come di semplice materiale del nostro fare e volere; ...dobbiamo considerare la creazione come un dono affidatoci non per la distruzione, ma perché diventi il giardino di Dio e così un giardino dell'uomo." La natura è creazione. Da questa riconquistata coscienza può nascere un protagonismo inedito nel rapporto uomo-natura all'inizio del Terzo Millennio, che arrivi fino a mettere in discussione l'idea stessa di "progresso" così come è stato concepito nella storia recente. Non si tratta di rinunciare a utilizzare le risorse ma di farlo con temperanza e prudenza, per il bene di tutti, consapevoli dei limiti delle nostre conoscenze e riconoscendo la natura come dono prezioso affidato alla nostra cura e responsabilità.