Come i suoi predecessori, papa Francesco ha fatto sentire tutta la sua vicinanza agli astronomi della Specola. L’ultima occasione è stata lo scorso 14 giugno, quando è intervenuto nel bel mezzo dei lavori della Summer School. Entrando nell’aula di Castel Gandolfo, di fronte a quel gruppo di giovani così evidentemente eterogeneo, il Papa ha esordito sottolineando come «la diversità possa unire per un obiettivo comune di studio, e come il successo del lavoro dipenda anche da tale diversità». È un aspetto tipico del mondo scientifico, ma non comune in altri ambiti dell’agire umano, e Papa Francesco lo coglie e lo valorizza: «È proprio dalla collaborazione tra persone di diversi retroterra che può venire una comprensione comune del nostro universo».
Quest’anno il tema della Summer School riguardava lo studio delle stelle variabili, corpi celesti che nascondono segreti di grande rilevanza per la fisica stellare, con applicazioni cruciali soprattutto nell’ambito della misura delle distanze nell’universo lontano. Insomma, un tema che metteva in primo piano la scala delle dimensioni dell’universo. Papa Francesco, entrando nel vivo del suo intervento, ha fatto riferimento proprio all’estensione del cosmo, talmente debordante che può provocare un senso di paura e di smarrimento nell’uomo contemporaneo: «Alla luce di tutte queste informazioni e di questo enorme universo, ci sentiamo piccoli e potremmo essere tentati di pensare che siamo insignificanti».
Già il fatto che questo cammino di conoscenza sia possibile, ha in sé qualcosa di grande. Non è affatto ovvio che l’uomo, grano di polvere nel cosmo, abbia la possibilità di leggere la natura fino a livelli tanto profondi quanto quelli che oggi indaghiamo con il metodo proprio della scienza, spingendosi ben oltre il perimetro di ciò che gli serve per vivere. Così, osserva Francesco, «anche in questo senso possiamo intendere “la gloria e l’onore” di cui parla il salmista, la gioia di un lavoro intellettuale come il vostro, lo studio dell’astronomia». Le leggi della relatività e della meccanica quantistica, formulate nel linguaggio matematico, pur rimanendo incomplete corrispondono fedelmente al comportamento della natura fino a milioni di miliardi di volte le dimensioni tipiche accessibili alla nostra esperienza sensoriale. C’è qualcosa di prodigioso in questa circostanza. «È un regalo meraviglioso che noi non comprendiamo né meritiamo», diceva Paul Eugene Wigner; con le parole di Albert Einstein: «La cosa più incomprensibile dell’universo è il fatto che l’universo sia comprensibile».
Ma lo sguardo che l’uomo rivolge alla realtà non si riduce a quello scientifico: «C’è un altro sguardo, quello metafisico, che riconosce la Causa Prima di tutto, nascosta agli strumenti di misurazione». L’intelligenza umana coglie l’esistenza di una realtà che è di un altro ordine rispetto alle infinite modalità con cui la natura si presenta all’osservazione empirica, e che di quella natura è come la radice ultima, il punto in cui le cose nascono. Con le parole di don Giussani, «solo l’affermazione del mistero come realtà esistente oltre la nostra capacità di ricognizione corrisponde alla struttura originale dell’uomo» (Il senso religioso). E a questo punto il Papa indica un terzo livello di conoscenza. Oltre l’indagine empirica offerta dalla scienza, e oltre la lucida consapevolezza metafisica di una “causa prima”, c’è «un altro sguardo ancora, quello della fede, che accoglie la rivelazione». Quel fondamentale metodo di conoscenza, distinto dagli altri, per cui se non credo in chi mi è testimone affidabile io faccio torto alla mia ragione, come diceva don Giussani nel libro Si può vivere così.
Sono metodi di conoscenza fra loro distinti, ma non certo contrapposti. Al contrario, continua il Papa, «l’armonia di questi diversi piani di conoscenza ci conduce alla comprensione; e la comprensione – speriamo – ci apre alla sapienza». Se la conoscenza dell’universo che noi otteniamo con la nostra indagine scientifica è disconnessa da questo sguardo più ampio, essa si perde in una solitudine vuota e amara. Scrive ancora don Giussani nel Senso religioso: «La capacità di logica, di coerenza, di dimostrazione, non sono altro che strumenti […] al servizio di una mano più grande, dell’ampiezza di un cuore che li utilizza». È proprio questa tensione a rendersi conto della realtà fino a cercarne il significato ultimo, questo “cuore”, questa “sapienza” che consentono all’uomo di non azzerarsi di fronte alla soverchiante sproporzione del cosmo; anzi l’uomo appare, pur nella sua assoluta piccolezza, come un punto irriducibile nel cosmo, quel “punto in cui la natura diviene cosciente di sé”». Prosegue Papa Francesco: «Attraverso di noi, creature umane, questo universo può diventare, per così dire, consapevole di se stesso e di Colui che ci ha creati: è il dono – con la relativa responsabilità – che ci è stato dato come esseri pensanti e razionali in questo cosmo». L’io umano, quasi una nullità nel grande quadro dell’universo, è “autocoscienza del cosmo” e può dire “Tu” al Mistero che lo crea: sta qui la sua paradossale grandezza, la “gloria e onore” di cui è stato coronato. Oggi come tremila anni fa.