WHAT?/ Gli astrofisici al Meeting: “questa è la tecnologia che sogniamo”

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Mario Gargantini, IlSussidiario.net, 22 Agosto 2016
Chi più degli scienziati è interessato alle nuove possibilità offerte dalla tecnologia? Gli astrofisici poi sono legati a corda doppia all’innovazione tecnologica. Da un lato hanno bisogno di strumenti sempre più potenti e precisi per sondare le profondità cosmiche: ad esempio per riuscire a catturare le onde gravitazionali, come è successo qualche mese fa in quella che può già essere considerata la scoperta del secolo. Dall’altro contribuiscono a produrre nuova tecnologia, mettendo a disposizione laboratori collocati nello spazio, come accade ad esempio sulla Stazione Spaziale Internazionale dove si sperimentano nanomateriali e biotecnologie.
È stato perciò molto stimolante per tutti, al Meeting, nello speciale spazio WHAT – What’s Human About Technology di Ceur e Euresis, dialogare con Roberto Battiston, astrofisico e presidente dall’Asi (Agenzia Spaziale Italiana) e con Laura Cadonati e Peter Couvares, scienziati della collaborazione LIGO che ha messo a segno appunto il colpo grosso della rilevazione delle onde gravitazionali previste un secolo fa da Albert Einstein.
Richiesti di esprimersi sull’attuale accelerazione della tecnologia, se essa si traduca sempre in un vantaggio, non hanno avuto dubbi. “Ovviamente — dice Battiston — la risposta per lo scienziato è che la tecnologia è sempre un vantaggio, in quanto migliori sono gli strumenti, maggiori saranno le risposte da indagare. È facile capire perché in alcuni settori il progresso tecnologico sia molto neutrale. Le tecnologie sono state spinte fino a livelli inimmaginabili, e nessuno ha sentito il bisogno di porsi problemi, al di fuori di quello del denaro necessario, che in una civiltà evoluta come la nostra non è un problema. Chiaramente spostandosi in altri settori come la biologia, la genomica e le scienze della vita nascono dei problemi etici particolarmente delicati. Fortunatamente io sono un fisico e mi occupo di una scienza inerte, di un universo che posso interrogare a piacere senza che nascano problemi di etica. Certamente altri fisici, per esempio durante la seconda guerra mondiale con la creazione della bomba nucleare, si sono trovati in una situazione in cui quanto detto non sarebbe corretto dal momento che, nonostante la fisica si occupi di materia inerte, quando applicata nella realtà comporta dei problemi etici; che tuttavia non sono propri dello scienziato, ma della società tutta”.
Bisogna quindi stare attenti nello scaricare ogni responsabilità sullo scienziato: è la società a doversi regolamentare, lo scienziato lavora in funzione delle domande che essa pone. Ci dev’essere un accordo sulle tematiche da affrontare, altrimenti si vengono a creare dibattiti infiniti dettati dalla dicotomia tra curiosità e morale.
Anche Cadonati si pone in una prospettiva positiva: “La tecnologia ha reso possibili cose che altrimenti non sarebbero mai state possibili. Dal mio punto di vista è importante trovare le risposte alle nuove domande: quando grandi quesiti sono stati risolti si è passati ad altre domande, le quali richiedono un livello tecnologico elevato; cose che solo 100 anni fa sembravano impossibili oggi sono realtà, come ad esempio i nostri studi sulle onde gravitazionali. Anche dal punto di vista della comunicazione il progresso ci ha portato a poter collaborare con più efficienza: le capacità di calcolo dei nostri supercomputer sono state fondamentali per il raggiungimento dello scopo, ma è stata fondamentale soprattutto la componente umana. Senza l’apporto delle migliaia di scienziati che hanno collaborato non si sarebbe potuto raggiungere lo scopo”.
Couvares, che è un informatico e si occupa di elaborare i dati raccolti dai colleghi di astrofisica, viene sollecitato a chiarire se ci sia una diretta proporzionalità tra la potenza dei computer e i risultati scientifici. “Non necessariamente — ha detto —; in alcuni casi, specialmente nell’analisi dei dati, i mezzi di cui disponiamo sono essenziali, ma non bastano a risolvere tutti i nostri problemi; ad accompagnare un buon mezzo ci vuole  anche, e soprattutto, l’ingegnosità degli analisti”.
Battiston enfatizza l’importanza  dei computer nella ricerca e sottolinea come ormai la capacità di gestione dati sia utilizzata nell’ambito dei cosiddetti BigData, “un nuovo paradigma per analizzare, studiare e capire il mondo, sostanzialmente una nuova scienza. Adesso qualsiasi cosa, qualsiasi dato, dal prodotto che compriamo alla scelta del colore del vestito, viene analizzata, per non parlare dei dati che produciamo attraverso i nostri smartphone: questa enorme mole di dati, che presi singolarmente sembrano insignificanti, attraverso opportune tecniche di analisi, comunicano informazioni fondamentali sul funzionamento della nostra società con le quali si può fare strategia nei settori più disparati, modellare i comportamenti di persone e fenomeni in modo efficace, tutto questo grazie ai computer e alle sempre più numerose fonti di dati”.
Un altro ambito molto frequentato dagli scienziati è l’utilizzo della realtà virtuale, della simulazione avanzata: quanto l’avvento di queste simulazioni può essere realistico?
Cadonati osserva che la  simulazione serve a capire e modellare i dati: più complesso è il problema, più è utile la simulazione per la sua comprensione; per esempio il segnale delle onde gravitazionali senza una simulazione non sarebbe decodificabile. “La realtà virtuale è una realtà con cui ho avuto ancora poche occasioni per misurarmi, ha avuto successo nell’intrattenimento con Pokémon Go e, usandola con mio figlio, ho avuto modo di osservare un fenomeno che mi è piaciuto molto: il ritrovo dei giocatori nei parchi è un’occasione per incontrarsi, o anche solo per fare attività fisica che altrimenti non farebbero, quella che sembrava una forma di alienazione si è evoluta in un’esperienza piacevole. Ovviamente dipende sempre da come la si utilizza”.