Explorers, la nostalgia dell’infinito serve a capire noi stessi

Benedetta CappelliniSenza categoria

Ulisses Barres De Almeida, Il Sussidiario, 23 agosto 2014
Verso le periferie del mondo e della esistenza. L’idea di una mostra sull’esplorazione spaziale, forse la più originale e paradigmatica impresa collettiva della nostra età moderna, ci è stata ispirata proprio dal tema del Meeting di quest’anno. L’esplorazione è sempre stata presente nella storia umana: sia ai primordi dell’espansione dell’uomo primitivo sulla Terra, sia ai tempi delle grandi scoperte dei secoli XV e XVI, l’uomo si è lanciato verso i confine del mondo, secondo le frontiere proprie di ogni epoca. Collettiva o individuale, l’esplorazione è una attività umana fondamentale.

Più che una panoramica storica o un tentativo di riassunto delle più grandi conquiste e scoperte ottenute in questi primi decenni dell’era spaziale, abbiamo voluto fermare lo sguardo sull’esperienza umana dell’esplorazione nei suoi aspetti più generali ed elementari, così come si manifesta in ogni uomo e in ogni epoca. Pertanto la proposta di “Explorers” – curata dall’Associazione Euresis per il Meeting 2014 – è un invito a immedesimarsi nell’esperienza di quegli uomini e quelle donne che nell’ultimo secolo si sono lanciati verso la frontiera più distante mai attraversata, attratti dalla periferia più sognata e affascinante che ci possa essere: quella delle stelle.

L’aspetto più bello del lavoro è che anche per noi curatori la sua preparazione è stata una sorta di esplorazione. Ci siamo lanciati in questo itinerario con due domande: “Perché l’uomo esplora? E cosa ha guadagnato da questa esperienza; ossia, dove ci ha portato tutto questo esplorare?”.

Abbiamo avuto in questo una guida singolare: la sonda spaziale Voyager. Esattamente un anno fa, la sonda Voyager I, lanciata dalla Nasa nel 1977, ha sorpassato la barriera più lontana mai toccata da un oggetto fatto dall’uomo. Dopo aver percorso 18 miliardi di chilometri in un viaggio di 37 anni che l’ha portata a sorvolare i più distanti mondi del sistema solare, Voyager ha varcato la cosiddetta “eliosfera”, l’orizzonte che definisce la fine della zona di influenza del Sole, ed è entrata nello spazio interstellare, inviandoci ancora oggi dei dati da una realtà mai sfiorata se non dai sogni di innumerevoli generazioni: lo spazio interstellare.

Nel viaggio che abbiamo percorso per preparare la mostra abbiamo notato che l’esploratore porta con sé sempre uno sguardo duplice. Una prima direzione è orientata verso l’esterno, verso l’orizzonte che lo attira e lo motiva. Arriva però un momento del viaggio dove tutti gli esploratori che ci hanno fatto da guida si girano indietro per guardare il luogo da dove sono partiti. Penso che la più grande scoperta che abbiamo fatto sia stata proprio questa: capire che, se il primo sguardo è il più originale, il secondo è più fondamentale.

Sia quando il Voyager si è fermato per fotografare la Terra da oltre l’orbita di Saturno e l’ha vista come non più che “un granello di polvere sospeso in un raggio di Sole”; sia quando gli astronauti, dalla soglia della Luna si sono girati per riscoprire la Terra in un modo nuovo, trovandola ancora più bella e di più grande valore di prima: in tutti i viaggi che abbiamo seguito, abbiamo trovato che la più grande scoperta dell’esplorazione non è solo qualcosa di sconosciuto che viene svelato, ma anche guardare noi stessi e il nostro mondo con occhi nuovi.

I due sguardi dell’esploratore, come di ogni uomo che segue l’odissea della propria vita – e che noi proponiamo come esperienza a tutti i compagni di viaggi in questa mostra – hanno una stessa radice: l’originale nostalgia che riempi ogni singola persona. Questa, se trasformata in percorso di conoscenza, rivela tutta la realtà sotto una nuova luce. Come ha detto Papa Francesco in un discorso del 29 novembre 2013, “si comprende la realtà solo se la si guarda dalla periferia e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto”.