Anche la ragione scientifica affonda le sue radici nella “verità”

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Ulisses Barres de Almeida, Juan Rojo, IlSussidiario, 8 novembre 2013
Uscirà all’inizio delle prossima settimana il quinto numero di Euresis Journal: come nei volumi precedenti,

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il Journal (in inglese e disponibile online) presenta gli atti di una edizione dei San Marino Symposia, una serie di meeting organizzati annualmente dalla Associazione Euresis a partire dal 2006 e dedicati a temi di particolare rilevanza per l’impatto della scienza nell’attuale scenario sociale e culturale.

In questo numero vengono pubblicati i contributi presentati al San Marino Symposium 2007 che ruotava attorno al tema “Scienza, Ragione e Verità”; l’argomento prendeva ispirazione dal titolo del Meeting di Rimini di quell’anno: “La verità è il destino per il quale siamo stati fatti”: queste parole di Luigi Giussani ci ricordano che l’idea di “verità” è presente nella nostra tradizione culturale come un concetto fondamentale, come base della nostra visione del mondo. In effetti per Giussani la “verità” è un elemento costitutivo della nostra natura e si manifesta come una esigenza fondamentale della ragione umana: la ragione ha bisogno dell’ipotesi della verità per potersi attuare come tale. Ciò è così vero che abbiamo l’impressione di essere “fatti per la verità” e, più o meno consapevolmente, la cerchiamo in tutto ciò che facciamo.

Benché il contenuto dei contributi tratti i vari aspetti e meccanismi del processo di conoscenza nelle diverse discipline accademiche, il volume nel suo insieme induce il lettore a porsi più ampi e profondi interrogativi circa la natura dell’avventura che la ragione affronta quotidianamente nel suo impatto con la realtà che la circonda. Siamo quindi tutti invitati a chiederci: ha senso parlare di “verità” oggigiorno? C’è spazio per parlarne nell’attuale contesto culturale? Oppure questa presuntuosa (e presumibilmente naive) visione della realtà è stata alla fine soppiantata da una visione più “realistica”, dove la dettagliata descrizione dei meccanismi e delle connessioni tra gli elementi del mondo sono sufficienti per rispondere alla sete di conoscenza dell’uomo, senza la necessità di arrivare a un giudizio circa la natura ultima e il significato delle cose?

In altri termini: ha senso parlare di verità nella scienza? Il tipo di certezza che la scienza ci offre è in effetti contrassegnata da limiti metodologici, dalle capacità osservative e dalla mancanza di informazioni complete e tutto ciò contribuisce al fatto che abbiamo solo una visione parziale della totalità. La “verità scientifica” è determinata, ad esempio, da concetti come “dominio di validità” e anche se la scienza procede continuamente verso una comprensione sempre maggiore di molti fenomeni naturali, le sue certezza hanno una perenne provvisorietà che sembra tenere la verità, se esiste, fuori dalla nostra portata.

Oggi, mentre cresce la nostra comprensione dei fenomeni naturali, sempre più l’idea di cosa significhi conoscere la natura sembra coincidere con la meccanica, causale descrizione che riusciamo a dare nel quadro delle discipline scientifiche. Così, ad esempio, la nostra comprensione della vita è sempre più legata alla comprensione del Dna come fondamentale ingrediente dello svolgersi della vita stessa e dei molti e differenti processi che la riguardano. Come pure, le sempre più precise misure dei parametri cosmologici e il conseguente raffinamento dei modelli cosmologici sono visti come preludio a una descrizione totale e definitiva dell’intero Universo, della sua origine e del suo destino.