Tracce, 17 Aprile 2012, di Silvio Guerra
Parigi, mercoledì 11 aprile 2012. Un giorno, forse, come tanti altri. In attesa delle prossime vacanze primaverili e in balia delle future scadenze elettorali. Sospesi nel vuoto, tra una campagna elettorale sterilizzata di ideali e di senso, imbottita di “promesse-cerotto”. La celebre frase di Malraux, «non c’è ideale al quale possiamo sacrificarci, poiché di tutti noi conosciamo le nostre menzogne, noi che non sappiamo nemmeno cos’è la verità», sembra risuonare e scandire profeticamenteme e cinicamente la sua verità. Allora, ci si può chiedere, ma un uomo “sano” dei giorni nostri, ha ancora un luogo dove può cercare e guardare la verità, dove può di nuovo sperare di essere felice? La Chiesa. Una realtà umana che propone una vita e ci sorprende.
Siamo ancora nell’ottava di Pasqua. La Chiesa celebra la vittoria di Cristo sulla morte e dice a noi tutti, di nuovo: “guardami” e guarda la vita di quest’uomo. Uno scienziato, un medico, ma soprattutto un uomo di grande fede perché “unito”: Jérôme Lejeune. In meno di cinque anni, si è chiusa l’inchiesta diocesana sul professor Lejeune e Monsignor Éric de Moulin-Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi, l’ha conclusa solennemente celebrando una messa. Ora gli atti sono passati a Roma dove si aprirà un processo di beatificazione. Ma chi é Jérôme Lejeune?
Appena saputa la notizia della chiusura dell’inchiesta diocesana, l’ho fatto sapere ad alcuni giovani amici, anche medici. Pochi hanno reagito perché non lo conoscevano. Eppure Lejeune è uno dei più grandi scienziati del XX secolo. Giovanni Paolo II scrisse, alla sua morte avvenuta il giorno di Pasqua, il 3 aprile 1994, «di desiderare oggi di ringraziare il Creatore…. per il carisma particolare del defunto… perché il professore Lejeune ha sempre saputo usare la sua profonda conoscenza della vita e dei suoi segreti per il vero bene dell’uomo e della sua umanità». Grazie alla sua passione e al suo lavoro in quanto medico e ricercatore, scoprì l’origine genetica della sindrome di Down che chiamò trisomia 21 (il cromosoma surnumerario). Come ricordò il Papa, suo grande amico e difensore nei momenti di solitudine: «La sua lotta fu sempre in nome della vita non della morte, come invece, la sua scoperta é oggi minacciata».
Un grande scienziato, si diceva, ma anche un grande uomo, per lui la scienza e la fede non erano separate. Per cui possiamo immaginare come è stato un “segno di contraddizione” e ne subì l’ostracismo scientifico ma non solo. Non se ne preoccupò più di tanto. ma la sua carriera fu compromessa. Gli costò il premio Nobel della medicina. Se ne assunse pienamente la responsabilità. Ma che Jérôme Lejeune sia un segno di vita, lo si è visto di nuovo questo mercoledì 11 aprile. Dentro la cattedrale Notre Dame come in seguito, al ricevimento al Collège des Bernardins, si poteva vedere un “momento di popolo”. E questo vale doppio nella laica (o laicista?) Francia.
È stato sorprendente e commovente vedere così tanta gente così diversa gli uni dagli altri, attorno a questo avvenimento, a un fatto presente non appena un ricordo commemorativo. Persone talmente diverse, con handicap visibili e non, ma tutte uguali perché Figli dello stesso Creatore. Lo si è visto durante la messa, tra i numerosi chirichetti, molti dei quali down, accerchiati intorno all’altare, una scena che richiama l’immagine con la quale Mounier usava per descrivere sua figlia Françoise: «Una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia»; così pure persone alto locate con persone disabili che ti servivano da bere e da mangiare al ricevimento ai Bernardins. Vite salvate dalla tenacia e dalla fede di Lejeune e ora attraverso la sua Fondazione.
Madame Lejeune, con la sua baldanza ultraottantenne che ripeteva a tutti noi di Cl: «La Fondazione Lejeune e Cl sono una sola cosa!». E poi, inaspettatamente, un numero indescrivibile di amici del Clu, venuti da Milano, Bologna, Varese e chissà da dove. Sarà il fattore Parigi o i voli low cost, ma che cosa può spingere questi futuri medici a muoversi e venire fino a Parigi per una messa? Alcuni anni fa, don Giussani usò una frase che mi rimase impressa, ma mai colta fino in fondo. Diceva nel volantone del 1992: «Perché in ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, o momenti di persone, da guardare». La chiusura del processo di Lejune è stato uno di questi “momenti di persone”. Riconosci un fatto e nasce una tenerezza verso te stesso perché stai “riconoscendo e amando un altro”. È commovente quando Dio ci chiama a Lui, ci vuole per Sé, misteriosamente, cosicché il nostro “sì” diventa storia.
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