MILANO – Una nebbia ostacola la prima fotografia nitida della radiazione del fondo cosmico capace di mostrarci un’immagine dell’universo appena dopo la nascita. Questa nebbia formata da microonde è stata scoperta attorno al cuore della nostra galassia ma altrettanto esiste in altre isole stellari. In aggiunta sono state individuate nuvole di gas freddo un po’ dovunque, sia nella nostra Via Lattea che altrove.
SORPRESA – I due risultati sono il frutto delle indagini in corso con il satellite Planck dell’Esa e presentati a Bologna dagli scienziati coinvolti nell’impresa durante il convegno Astrophysics from the radio to the sub-millimetre: Planck and other experiments in temperature and polarization che si concluderà venerdì. I due strumenti a bordo sono guidati da Reno Mandolesi dell’Istituto nazionale di astrofisica a Bologna e da Jean-Loup Puget dell’Institut d’astrophysique spatiale a Orsay (Francia). La nebbia cosmica è stata una sorpresa inaspettata che ha mobilitato gli astrofisici per capirne soprattutto le origini oggi misteriose. Per il momento hanno constatato che è formata da microonde.
EMISSIONE DI SINCROTRONE – Questo tipo di radiazione nota come emissione di sincrotrone si genera quando gli elettroni attraversano un campo magnetico dopo essere stati accelerati dall’esplosione di una supernova. Ma la radiazione trovata ha caratteristiche diverse dalle altre simili finora rinvenute e la sua emissione non si riduce con l’aumento delle energie. Quindi – si chiedono gli scienziati – la causa sta in un maggior numero di esplosioni di supernove oppure sono i venti galattici a favorirla o addirittura emerge dalla reciproca annichilazione di particelle di materia oscura? Domande complicate in cerca di non facili risposte.
NUVOLE DI GAS FREDDO – Altrettanto importante è il secondo risultato di Planck perché ha permesso di scoprire nuvole di gas freddo con monossido di carbonio realizzando la prima mappa che mostra la loro distribuzione in tutto il cielo. Questo gas freddo è distribuito in tutte le galassie ed è costituito soprattutto da molecole di idrogeno: le nubi rappresentano una sorta di culla per la nascita delle stelle. Ma l’idrogeno non è facile da rilevare mentre risulta più semplice cogliere la presenza del monossido di carbonio, il quale viene appunto utilizzato per identificare idrogeno. «Ciò che abbiamo visto rappresenta un passo avanti nel grande lavoro in corso per arrivare alla meta finale che stiamo inseguendo, grazie alla potenza del satellite», spiega Mandolesi, l’illustre astrofisico dell’Inaf. «L’obiettivo di Planck infatti è andare oltre i risultati dei satelliti Cobe e W-Map, raccogliendo una fotografia dettagliata delle nostre origini quando l’universo lasciava nella radiazione cosmica le prime impronte del suo futuro, ciò che sarebbe diventato popolato dalle galassie. Ma per arrivarci dobbiamo eliminare tutti gli elementi che ostacolano la prima luce che conteneva la fotografia originale. La scoperta delle nebbie e la mappa delle nubi col monossido di carbonio sono elementi da cancellare per far emergere ciò che vogliamo vedere. Perciò è importante averle individuate».
LA PARTICELLA DI DIO – «Ma con Planck abbiamo raggiunto anche altri risultati», continua Mandolesi. «Uno di questi ci collega direttamente alle ricerche in corso al Cern di Ginevra. Le misure qui effettuate sulla «particella di Dio» hanno rivelato caratteristiche che avvalorerebbero il legame con uno dei modelli in grado di spiegare l’inflazione avvenuta nei primi momenti dopo il Big Bang, cioè la grande e rapida espansione iniziale seguita alla nascita. Ciò significherebbe eliminare altre ipotesi e consolidare una conoscenza importante. A tal fine abbiamo organizzato uno scambio di giovani scienziati tra il gruppo di Planck e il Cern proprio per approfondire due visioni di ricerca praticate da due strumenti diversi, il grande acceleratore a terra e il satellite nello spazio, ma che si riuniscono nella fisica di base».