Il Sussidiario.net, 24 settembre 2011, di Tommaso Bellini
La scienza ha i propri tempi e prima di considerare sicura una scoperta occorrono svariate verifiche. Quando Planck, all’inizio del ‘900, sviluppò la sua teoria della quantizzazione – che spiegava il comportamento dello spettro di corpo nero attraverso l’idea che l’energia fosse trasportata in modo discontinuo, per granuli (i fotoni) – la discussione andò avanti per quattro anni e fu accettata solo quando Einstein diede la spiegazione dell’effetto fotoelettrico, utilizzando il concetto di fotone, appunto.
Così questa misura del rivelatore Opera dà l’avvio a un confronto fra scienziati che si concluderà solo quando si comprenderanno le discrepanze con altre misure e altri esperimenti valideranno o inficeranno il risultato. Però siamo in tempo di predominio dei mass-media e in una cultura dell’immagine. Ne segue che una discussione che coinvolge esperti di questa materia viene comunicata al pubblico come una cosa già assodata o addirittura ci tocca di sentir dire da persone, che evidentemente non sanno di cosa si stia parlando, che questa “scoperta” mette in dubbio il concetto di causa-effetto!!!
La misura sperimentale di cui si parla è stata eseguita dall’esperimento Opera, istallato nei laboratori sotterranei del Gran Sasso. Lo scopo dell’esperimento è quello di studiare la cosiddetta “oscillazione dei neutrini”, l’effetto cioè per il quale i neutrini, che in generale portano con sé memoria indelebile della propria nascita (cioè se vengono prodotti con un elettrone oppure dal decadimento della particella detta m , “muone” oppure ancora dalla particella denominata t), durante il loro cammino possono perdere tale memoria e quindi, ad esempio, un neutrino-elettrone può diventare un neutrino-muonico e un neutrino muonico può diventare un neutrino tauonico. Opera fa questo studio rivelando neutrini-muonici prodotti all’acceleratore del Cern di Ginevra e inviati al Gran Sasso percorrendo un cammino di circa 730 km.
La misura dei tempi di partenza dal Cern e dei tempi di arrivo al Gran Sasso può essere fatta con alta precisione attraverso un GPS (Global Positioning System), che utilizza il segnale emesso da antenne, e un orologio atomico al Cesio.
Il tempo di partenza del neutrino dal Cern, che è emesso dal decadimento in volo di un muone, è conosciuto con una precisione di 0,2 nanosecondi (1 ns è un miliardesimo di secondo). La distanza fra il punto di partenza dal Cern e il punto di arrivo al rivelatore nel Gran Sasso è misurato in modo geodetico con una precisione di 20 cm. Ciò è quanto scrivono e dichiarano i fisici che hanno fatto la misura.
Dal confronto tra il tempo misurato e il tempo predetto dalla velocità della luce nel vuoto, si ottiene una differenza negativa di 60 ns [precisamente 60.7 ± 6.8 (errore statistico) ± 7.4 (errore sistematico)]. Quindi i neutrini avrebbero dovuto viaggiare con una velocità superiore a quella della luce nel vuoto; la velocità dei neutrini eccede quella della luce per una frazione pari a 0,0000248.
La misura molto complessa perché si basa sulla misura dei tempi di partenza dal Cern, sui tempi di arrivo al rivelatore Opera, sulla misura della distanza e dell’esatta posizione del rivelatore, sull’analisi e sulla valutazione dei dati raccolti. Quindi un’estrema cautela è di rigore. In aggiunta vi sono delle discrepanze fra questa misura e quanto osservato nel 1987 rivelando i neutrini emessi dall’esplosione di una Supernova appartenente alla nostra Galassia.
In questo caso la distanza tra la Supernova e la Terra era di 150 anni luce e la misura è stata fatta in coincidenza con l’arrivo dei fotoni emessi dalla Supernova stessa. In quel caso non sono state osservate discrepanze (sulla base dei risultati di Opera i neutrini avrebbero dovuto arrivare 3,7 anni prima dei fotoni). Vi è però una differenza: i neutrini della Supernova hanno un’energia massima di circa 20 Mega elettron-Volt, mentre quelli di Opera hanno un’energia media di circa 17 Giga elettron-volt. Quindi potrebbe darsi che l’effetto dipenda dall’energia cinetica dei neutrini.
La conclusione è che un risultato di questo genere non va trascurato, ma prima di essere accettato altri esperimenti devono confermarlo. L’esperimento Borexino, istallato proprio dietro a Opera, sta già lavorando per attrezzarsi al fine di compiere una misura analoga. Vorrei ricordare che l’ipotesi che la velocità nel vuoto sia la velocità massima esistente in natura è la base della Relatività Ristretta e della Relatività Generale. Nel fare questa assunzione Einstein fu probabilmente indotto dall’esperienza che due fisici americani, Michelson e Morley , eseguirono alla fine dell’800. Il risultato di tale esperimento fu appunto che la velocità con la quale la luce raggiungeva un osservatore non aumentava se tale osservatore viaggiava in direzione della sorgente durante il tragitto della luce. Queste due teorie hanno ricevuto numerose conferme.
La Relatività Ristretta prevede l’aumento della massa e l’accorciamento del tempo per un oggetto che viaggi ad alta velocità: cosa che noi costatiamo tutti i giorni studiando le particelle accelerate dagli acceleratori di particelle; e lo stesso avviene per l’equivalenza fra massa ed energia (la famosa equazione E=mc2 ). Però le misure in questione non hanno in generale precisioni di 1 decimillesimo. La Relatività Generale ha ottenuto anch’essa alcune conferme.
Il rigore massimo è la base della scienza e delle sue facoltà predittive. Rimanere fortemente ancorati ad esso è una condizione “sine qua non” per credere nella scienza. Quindi, nessuno può asserire che l’assunzione di Einstein sia violata fino a quando altri esperimenti abbiano fatta luce su questo risultato e si sia compreso il perché delle discrepanze fra le misure.
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Leggi l’intervista a Ugo Amaldi