Studio l’atomo e trovo l’infinito

Benedetta CappelliniMeeting di Rimini, Rassegna Stampa

Avvenire, 03 agosto 2011, di Luigi Dell’Aglio
Dopo la scoperta della “zuppa primordiale”, Lucio Rossi, del Cern di Ginevra, prosegue le ricerche sulla “particella di Dio”. “La conoscenza non finisce mai, coserviamo quella acquisita e cominciamo a inseguire nuove scoperte: così riusciamo a intuire che esiste un Oltre”. Al Meeting di Rimini lo scienziato presenterà la mostra sul futuro della fisicaIl più grande e più potente acceleratore di particelle mai realizzato, l’Lhc (Large Hadron Collider) del Cern di Ginevra, fornirà – tra l’autunno di quest’anno e il 2012 – informazioni preziose per investigare direttamente i più profondi segreti che circondano la nascita dell’Universo e l’intima struttura della materia. Partita in ritardo a causa di un incidente che l’ha tenuta fuori uso per circa un anno, la sofisticatissima macchina ha recuperato il tempo perduto. E, nel frattempo, con un esperimento di dimensioni minori, ma molto raffinato e complesso, l’équipe del Cern è riuscita a intrappolare 300 atomi di antimateria di idrogeno. «Questa volta la novità è che di atomi di antimateria ne abbiamo imprigionati un numero superiore e per oltre quindici minuti. Perciò è stato possibile studiarli meglio. L’esperimento si aggiunge a quelli compiuti l’anno scorso i quali hanno confermato in modo diretto l’esistenza della cosiddetta “zuppa primordiale” (plasma di quark e gluoni), lo stato della materia che ha dato origine al nostro universo. Che ci fosse questo plasma si prevedeva ma solo in maniera indiretta (a segnalarlo aveva provveduto il Brookhaven National Laboratory di Long Island, l’acceleratore che si trova nei pressi di NewYork. Ma noi non ci siamo limitati a supporre l’esistenza della “zuppa”, l’abbiamo mangiata». Poiché le nubi nere sono state scacciate e il futuro appare roseo, si concede l’ironia Lucio Rossi, professore associato di fisica sperimentale all’Università di Milano, che da oltre dieci anni lavora al Cern dove è stato chiamato a dirigere la progettazione e la costruzione dei magneti e dei superconduttori per il progetto Lhc. Alle 11,15 di lunedì 22 agosto presenterà al Meeting di Rimini la mostra sull’atomo, tema quanto mai adatto a descrivere certezze e inquietudini degli uomini di scienza.

Quali sono ora gli obiettivi del Grande Acceleratore?

«Prima di tutto, accertare se esiste o no il bosone di Higgs o “particella di Dio”.È l’unica non ancora osservata sperimentalmente nel modello standard (l’attuale classificazione delle particelle elementari). Questa ricerca è essenziale. Se il bosone di Higgs esiste, si trova nella zona che sta ora esplorando il nostro acceleratore; se non lo incontriamo, dovremo cambiare completamente, e in maniera radicale, tutta la teoria fondamentale della fisica. Le probabilità che la particella esista sono più del 90% ma in fisica la certezza è data soltanto dalla conferma sperimentale. Potremmo dire che abbiamo cominciato a esplorare una grande foresta ma è ancora notevole la parte inesplorata. Entro il 2012, l’avremo perlustrata interamente».

State dando la caccia all’antimateria, che con il suo alone di mistero accende la fantasia del pubblico.

«Vorrei però che il pubblico sapesse che da più di 70 anni l’antimateria è oggetto dell’indagine attenta di numerosi fisici. L’italiano Emilio Segrè, allievo di Fermi, nel 1959 ottenne il Nobel proprio per aver svelato l’antiprotone. Quanto all’antielettrone, era stato scoperto negli Anni Trenta del secolo scorso. Oggi l’antimateria è friendly. Viene usata come strumento diagnostico negli ospedali più avanzati che praticano la Pet (Positron emission tomography); il positrone infatti è un’altra antiparticella, cioè l’anti-elettrone. Le ricadute positive per la società sono enormi».

Anche la “materia oscura” cattura la fantasia del pubblico.

«È il secondo obiettivo dell’Lhc. Circa 25 anni fa si è scoperto che esiste una particolare forma di materia, o materia oscura. Sappiamo che c’è ma non sappiamo che cosa sia. È circa cinque volte più abbondante della materia normale di cui siamo fatti. Tra qualche mese avremo ispezionato per intero anche questa foresta e otterremo risposte utili».

Che cosa c’insegna la storia dell’atomo? Al Meeting di Rimini lei presenterà una mostra sull’argomento.

«Nel 1910, lord Ernest Rutheford fece il primo esperimento di fisica subnucleare, e scoprì come è fatto l’atomo. L’Lhc è la continuazione di quell’esperienza. La storia dell’atomo ci dice che le risposte che ci dà una scoperta scientifica generano sempre un numero ancora maggiore di domande. La conoscenza non finisce mai, conserviamo quella acquisita e cominciamo a inseguire nuove conquiste e scoperte. La nostra mente attinge l’idea che possa esistere l’infinito; riusciamo a intuirne l’esistenza (anche se, dicendo questo, non faccio un’affermazione strettamente scientifica)».

L’esperienza dice che, quando si approda a un certo livello di conoscenza, si spalanca sempre un livello ulteriore, più profondo e più vasto, da esplorare.

«È questo che ci lascia immaginare che ci sia un infinito al di là del finito. E neanche i valori fondamentali si esauriscono mai».

Parliamo dell’incidente al Grande Acceleratore. Rabbia, frustrazione: come ne siete venuti fuori?

«Subiamo ancora le conseguenze dell’incidente o, meglio, delle cause che l’hanno prodotto ma l’Lhc resta il numero uno, a molta distanza da qualsiasi altro acceleratore. È tre volte e mezza più potente dell’americano Fermilab. Se li paragoniamo a due auto da corsa, viene fuori che non potrebbero neanche gareggiare fra loro. Il Fermilab potrebbe andare, al massimo, ai normali 400 km orari, ma il Large Hadron Collider sprigionerebbe una velocità di 1400 chilometri orari, impossibile anche per un motore Ferrari. E, nel 2013-14,quando avremo completamente cancellato le cause dell’incidente e il nostro acceleratore sarà a regime, raddoppieremo ancora l’energia delle particelle. All’epoca dell’intoppo, circolò la domanda: di chi è la colpa? Ce la faremo a riparare la macchina? Io rispondevo: con umiltà, cerchiamo di imparare da questo inconveniente, per grave che sia. L’errore, se preso bene, può diventare un compagno di viaggio che ci indica la strada giusta».