«Benvenuto a bordo Santità!»

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

L’Osservatore Romano, 5 lulio 2011, di Piero Benvenuti
Ora che le missioni spaziali dei due astronauti italiani Paolo Nespoli e Roberto Vittori si sono felicemente concluse e i dati scientifici degli esperimenti da loro collocati in orbita cominciano a essere analizzati, vale la pena di ricordare e cercare di interpretare quell’evento unico e irripetibile che sabato 21 maggio ha fermato l’intensa attività dei dodici abitanti la Stazione spaziale internazionale per permettere loro di colloquiare con Papa Benedetto XVI. Dal punto di vista puramente tecnico la missione era già eccezionale per molti aspetti: coincideva con l’ultimo volo della navetta Endeavour, vedeva la presenza contemporanea nello spazio di due astronauti italiani, trasportava uno strumento scientifico (Ams), realizzato con una importante partecipazione italiana per la ricerca e lo studio dell’antimateria. A questa lista di «primati», la pausa di riflessione che il collegamento radio tra la Stazione e la Biblioteca Vaticana ha rappresentato, aggiunge qualcosa di speciale che rimarrà nel cuore di tutti. All’inizio del collegamento, il rigido protocollo delle comunicazioni spaziali si scioglieva d’incanto grazie a quel «Benvenuto a bordo, Santità!» pronunciato dal comandante Mark Kelly e allo stile pacato e cordiale del Papa. Dopo le presentazioni e una breve introduzione, il Pontefice iniziava letteralmente a incalzare gli astronauti con domande che dimostravano non solo genuino interesse e ammirazione per le attività scientifiche svolte in un ambiente così particolare, ma rendevano soprattutto evidente l’attenzione del Papa per l’esperienza umana degli astronauti, per ciò che provano, ciò che vedono, quali messaggi avrebbero cercato di trasmettere, in particolare ai giovani, quando sarebbero rientrati a Terra accolti come eroi. Domande profonde, impegnative, forse inattese da parte degli interlocutori spaziali, ma formulate tutte con grande delicatezza e rispetto, come quando il Papa ha chiesto se a volte sentono la necessità di raccogliersi in preghiera. Sembra di essere a mille anni di distanza da quando al primo cosmonauta, Yuri Gagarin, venne chiesto seccamente se dall’oblò della sua capsula avesse visto Dio, con la certezza di ricevere una risposta negativa, evidentemente già politicamente programmata! Eppure, riflettendo con attenzione sulle parole che Benedetto XVI ha rivolto agli astronauti, non solo come individui, ma — lo ha detto Lui stesso esplicitamente — come rappresentanti della moderna civiltà scientifica e tecnologica, la domanda, implicitamente, era la stessa: voi, che potete abbracciare con un solo sguardo tutta la Terra e ne apprezzate la struggente e delicata bellezza, e al tempo stesso la sapete martoriata da violenza e morte, dalla fame e dalla sete, da disastri naturali, mi sapete dire dov’è Dio? Dov’è quando le «carrette» del mare cariche di migranti (ben visibili nelle immagini satellitari) affondano nel mare in tempesta? dov’è quando tsunami e uragani (anch’essi tecnologicamente seguiti dallo spazio) cancellano in pochi attimi migliaia di vite umane? La domanda, nella sua profonda e brutale drammaticità, era implicita e non poteva avere una risposta diretta e immediata, ma rileggendo ora con attenzione le domande e la loro sequenza ci si accorge come il Papa, con grande sapienza maieutica, abbia fatto in modo che gli astronauti fossero posti di fronte a quell’interrogativo nascosto. La risposta, che gli astronauti e noi tutti scopriamo dopo questa riflessione, è che Dio è visibile dall’alto proprio lì, dove il naufrago chiede aiuto, dove l’innocente viene inseguito, dove i bambini soffrono e muoiono di fame, dove le forze della natura sconvolgono la Terra. Egli non può intervenire direttamente, con continui miracoli, alterando le leggi del Creato, perché ci priverebbe del dono più grande, la libertà. Si manifesta però attraverso quel grido di aiuto globale, così evidente a voi — sottolineava Benedetto XVI — che osservate la Terra dallo spazio. Rispondere a quell’appello, prendere coscienza che essere creature di un unico Padre è garanzia fondante dell’uguaglianza tra tutti i popoli, e porre tutte le nostre forze, incluse le risorse scientifiche e tecnologiche, al servizio e all’aiuto disinteressato dell’altro, significa in fondo scoprire che Dio non è «lassù in cielo», in attesa di premiare i buoni e castigare i cattivi, ma è molto più vicino a noi, qui e ora. Ci preme con sollecitudine perché noi, da Lui creati, diventiamo noi stessi «creatori», modificando con amore, nel limite delle nostre possibilità, il corso cieco della natura e il cattivo uso del libero arbitrio umano, aiutando il fratello e proteggendo il creato. La chiacchierata si snodava poi simpatica e coinvolgente, con tratti particolarmente commoventi quando il Papa, chiamandolo per nome, si rivolgeva con affetto all’astronauta Nespoli che, mentre orbitava lontano da Terra, ha perso la mamma. E si concludeva in allegria, con alcuni tipici scherzi che hanno fatto visibilmente sorridere il Pontefice: un astronauta tentava di «ascendere al cielo» (ma veniva subito riportato in basso dai compagni!), l’unica donna faceva ondeggiare vistosamente la chioma, trasformata dalla ridotta gravità in una sorta di criniera leonina, e l’astronauta Vittori consegnava al collega Nespoli la medaglia affidatagli dal Papa facendola galleggiare nello spazio. La medaglia, non a caso, porta incisa la Creazione di Michelangelo e al suo ritorno sulla Terra ci ricorderà la straordinaria catechesi che Benedetto XVI ha affidato alla civiltà della scienza e della tecnologia, simbolicamente rappresentata dalla Stazione spaziale internazionale. Per l’Agenzia spaziale italiana, che ha tra i suoi compiti istituzionali la diffusione della cultura spaziale, normalmente limitata a temi di scienza e tecnologia, rimane la soddisfazione di aver contribuito alla realizzazione di un evento unico, che ha allargato gli orizzonti e offerto una dimensione nuova, forse la più importante, alle imprese spaziali.
Leggi il dialogo del Papa con gli astronauti