Nel 1986, esce The anthropic cosmological principle, il saggio in cui John David Barrow, insieme con Frank Tipler , segnalò le straordinarie, quasi inverosimili coincidenze che permettono l’esistenza della Terra e della vita intelligente su di essa. Vent’anni dopo, nel 2006, Barrow, matematico, cosmologo e fisico dell’Università di Cambridge, riceve il premio della Fondazione Templeton per le prospettive aperte con le sue opere nel fondamentale campo dei rapporti tra scienza e fede. Con una ventina di libri, tradotti in trenta lingue, a cominciare dal primo, l’avvincente La mano sinistra della creazione, lo scienziato inglese si è conquistato un posto di prima fila, e il pubblico non si stanca di seguirne i ragionamenti. Tra cui quell’efficace considerazione che suona: «Esistono interrogativi ai quali non potrà mai essere data risposta». A Barrow viene oggi assegnato il premio letterario “Merck Serono” per il saggio Le immagini della scienza, edito da Mondadori (con lui viene premiato anche Bruno Arpaia, per l’Energia del vuoto).
Non stupisce che lo scienziato riceva un premio letterario: la scienza gli ha ispirato lavori in vari campi artistici. Fra l’altro, ha lavorato con Luca Ronconi come autore teatrale in Infinities.
Professore, in virtù del principio antropico, la vita e la comparsa dell’uomo sulla Terra risultano un evento eccezionale, «unusual». Si potrebbe dire che l’Universo “sapeva” dell’arrivo dell’uomo e “si è preparato” a riceverlo? Quale formulazione lei dà oggi del principio antropico?
«Uno dei problemi che sussistono è che non abbiamo un modo per calcolare le probabilità relative ai valori dell’universo necessari perché sussista la vita. Noi non sappiamo come valutare questi dati, questi diversi parametri. Per esempio, quando si parla della probabilità che ciò che oggi vediamo e ci circonda si sia formato “in quel modo” invece che in un altro, in base ad altre possibilità. E non è detto che queste possibilità debbano essere uniche. Così ci si presenta l’ipotesi di un universo multiplo».
Che cosa implica l’ipotesi del multiverso? La questione sconvolge un po’ la mente.
«In molti aspetti delle scienze dell’astronomia fondamentale, siamo fortemente ignoranti su questo fronte. Siamo ancora nell’incertezza, come scienziati, in merito a tutta una serie di probabilità all’origine della vita: un pianeta con un’atmosfera, molecole capaci di autoriprodursi, l’ipotesi di una coscienza umana. Noi, scientificamente, non abbiamo le risposte a queste domande. E ciò rende molto difficile qualsiasi valutazione della domanda: c’è vita su altri pianeti? Pesa sulle nostre ricerche la non-conoscenza circa il modo in cui sul nostro pianeta si è formata la vita, che potrebbe anche essere giunta dal di fuori. Si studia sulle probabilità, legate a proprietà del nostro universo, di riuscire a capire il passato in dettaglio; ma è arduo cercare avanti».
Perciò lei non esclude nulla.
«Segua il mio ragionamento: se l’Universo è infinito, tutto è possibile da qualche parte. Potrà sembrare altamente improbabile, ma in qualche regione remota dell’Universo l’imprevisto potrebbe accadere, tutto potrebbe accadere. Perché, in pratica, quando parliamo dell’Universo, noi non abbiamo accesso a “tutto” l’universo. Ci troviamo in un’area specifica del cosmo, che, come abbiamo detto, potrebbe essere infinito.
Un astronomo può studiare soltanto le regioni dell’Universo in cui, negli ultimi 14 miliardi di anni, è arrivata la luce. Ma è molto di più quello che non possiamo vedere. Quindi l’idea di altri universi paralleli e quella del nostro universo che è molto diverso dalla minima parte che conosciamo, non sono poi posizioni tanto distanti l’una dall’altra».
La cosmologia guarda così lontano che può sembrare un’offesa chiedere notizie delle ricerche “ravvicinate”.
«Proprio nei giorni scorsi il Large Hadron Collider del Cern di Ginevra ha potuto mettere a fuoco e tracciare una nuova particella che potrebbe identificarsi con la famosa materia oscura. È presente nelle galassie ma buia e si prevede che darà una risposta a quella che è diventata la domanda astronomica “numero uno”. Saranno molto interessanti anche i dati che si accinge a raccogliere il satellite europeo Planck. Eseguirà una mappatura dettagliata della radiazione cosmica di fondo raccogliendo informazioni sulle primissime fasi di vita dell’Universo».
Lei è uno scienziato letterato che rappresenta personalmente quanto conti la cultura umanistica in alcune scienze “dure”. I matematici considerano “filosofica” la loro disciplina. Ma gli altri?
«Conosco molti manager di successo che provengono dagli studi classici. Quanto alla matematica, è una scienza dotata di ubiquità, sta dietro a tutti i trionfi della tecnologia. Io la definisco “il catalogo di tutti gli schemi”. Anima tutte le discipline e ci fa vedere cose che altrimenti sfuggirebbero alla nostra attenzione e al nostro intuito. Ma non è ancora passione travolgente. Grazie! Non viene spiegato bene il contributo che dà a tutte le attività dell’uomo. Se spieghiamo quanta matematica c’è nella Formula Uno, i giovani si innamoreranno degli algoritmi. Per passaparola».