A che vale spiegare l’universo se si censura la domanda sul senso?

Benedetta CappelliniArticoli

«L’universo si è creato da solo, dal niente.   La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece del nulla, il motivo per cui esiste l’universo, per cui esistiamo noi».
Queste e altre anticipazioni del libro The Grand Design, scritto dal matematico e astrofisico britannico Stephen Hawking in collaborazione con il fisico quantistico statunitense Leonard Mlodinow, sono bastate per conquistare le prime pagine dei quotidiani e catturare la curiosità di molti per un testo che si annuncia come provocatorio nei confronti del senso religioso dell’uomo. 
In attesa di avere tra le mani il volume e di leggerlo con attenzione (ogni sfida della ragione deve essere raccolta integralmente, e tra le righe dello scienziato potrebbe nascondersi qualche sorpresa), il gran clamore dei paladini dell’autopoiesi del cosmo e della “pura emergenza” dell’uomo dalla storia della vita nell’universo – una voce non nuova – è l’unica cosa che esige una risposta.

Che quella di Dio sia un’ipotesi non necessaria alla ragione per cogliere la realtà secondo tutti i suoi fattori è una tesi che tradisce un’idea di Dio e un concetto di realtà per le quali ciò che esiste ed il suo significato sono due questioni separate, a sé stanti, che possono (secondo alcuni, devono) essere affrontate l’una indipendentemente dall’altra.
Il tema è di quelli che esigerebbero un excursus della storia del pensiero, dall’antichità ai giorni nostri, e una rigorosa fondazione metafisica.     Lasciamo questo formidabile compito agli addetti ai lavori filosofici, che ne possiedono la competenza e la pazienza necessaria.      Una seconda strada – non alternativa alla precedente, ma parallela – è quella che parte dalla nostra esperienza, quella quotidiana, accessibile a tutti, purché ci si fermi almeno un istante a riflettere sulla nostra vita (cosa, questa, tutt’altro che sconsigliabile, a tutte le età).

Aprendo gli occhi la mattina, per quanto ancora annebbiati dal sonno possano essere, la prima evidenza che affiora alla mia coscienza è che non sono solo. In qualunque parte della terra mi trovi (o lontano da essa: se fossi un astronauta, vedrei la navicella che mi trasporta e, là fuori, i pianeti), c’è sempre qualcuno o qualcosa di fronte a me. Non c’è il nulla, ma l’essere che si manifesta in tutte le sue forme, dalla tazzina del caffè al sole che riverbera i suoi raggi attraverso la finestra della mia stanza. Ma ad accorgersi di tutto questo sono solo io: la tazzina si svuota mentre bevo il caffè, ma non prova alcun dolore nell’essere privata del suo delizioso contenuto, e il sole tramonta alla sera e lascia il posto alla luna e alle stelle senz’ombra di nostalgia da parte sua.

Eppure, dotato di quest’apertura alla realtà come sono (nel cosmo, l’unico punto di osservazione e di riflessione è l’uomo), non riesco ad abbracciarla tutta con lo sguardo e con la ragione: arrivo a percepire che c’è qualcosa piuttosto che il nulla, ma non tutto quello che c’è mi è presente.
Quello che sta accadendo a pochi metri dalla mia stanza, pur sentendo i passi del vicino che si sta alzando da letto, mi è ignoto, e così mi sfugge (purtroppo!) l’alba che inizia ad illuminare le rocce delle dolomiti ampezzane.       Non posso misurare con la mia vista né rappresentare nella mia mente tutto ciò che esiste.
Tuttavia esso esiste, e la drammaticità di questa sproporzione rende certa e umile l’affermazione che «ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che non nella tua filosofia», per prendere a prestito le parole di Shakespeare nell’Amleto.

«Senza ammettere quella « incommensurabile, senza ammettere la sproporzione incolmabile tra l’orizzonte ultimo e la capacità degli umani passi, l’uomo elimina la categoria della possibilità, suprema dimensione della ragione; poiché soltanto un oggetto incommensurabile può rappresentare un invito indefinito per una apertura strutturale dell’uomo» – osserva don Giussani ne Il senso religioso – ed è questo “oggetto ultimo” «che, riconosciuto, rende l’uomo inesauribile ricercatore».
Una ricerca sulla realtà a tutto campo (e il campo della realtà è più esteso dell’intero cosmo, del quale si occupano gli astrofisici: dal regno della fisica sono esclusi l’amore di uomo per la sua donna, la gioia per la nascita di un figlio, il dolore per la morte di un amico) che non può essere separata dalla domanda sul suo senso: non mi interesserei della tazzina se non per poter sorseggiare un buon caffè, né guarderei fuori dalla finestra se la città che si desta al mattino non mi attendesse per recarmi al lavoro.

Per quale ragione Hawking e i ricercatori come lui si dedicherebbero allo studio dell’universo se esso non fosse “per loro”, come lo è “per me” e per ogni altro uomo che in esso vive e di cui porta la coscienza?
E non è forse questa la domanda sul senso di ciò che esiste, che alcuni vorrebbero espungere dalla ricerca della verità delle cose?
Questa inesauribile ricerca, della quale Hawking e altri scienziati sono testimoni, non potrebbe mai condurci, neppure con la più ardita costruzione intellettuale, che a presentire soltanto l’Essere di tutto ciò che esiste, la sorgente originaria dalla quale la realtà sgorga incessantemente, senza neppure poterlo sfiorare con il pensiero.      Anzi, un simile, formidabile ponte potrebbe approdare ad una “terra incognita” dalle spiagge così anonime da essere confusa con un continente già noto, come accadde allo scopritore dell’America, che credeva di essere giunto nelle Indie.
Si può scambiare la causa prima, ontologica, per una causalità fisica, finita.     Ed è questo il limite di ogni tentativo di arrivare razionalmente a Dio passando attraverso i “buchi” delle leggi empiriche.
Se, però, la ragione si mantiene aperta alla sua categoria suprema, la possibilità che il Mistero che sta dietro a tutto ciò che esiste si possa liberamente manifestare (l’ipotesi della possibilità di una Rivelazione non può essere cancellata da nessun preconcetto o opzione), allora la risposta alla grande domanda che agita da sempre il cuore dell’uomo può arrivare, imprevedibilmente, «come un bel giorno», direbbe Camus.

Salvaguardando la ragione e la libertà dell’uomo, il Mistero non viene nel mondo per “tappare i buchi della scienza”, ma per essere riconosciuto come l’origine e il senso di tutto ciò che esiste, il quid che da sempre alla scienza sfugge perché è incommensurabile con le sue misure.
La Sua misura è l’Amore, la Misericordia per il nulla che è l’uomo e l’universo intero senza di Lui. «Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra […] dà a tutti la vita e il respiro a ogni cosa». (At 17, 24-25)

«Dio esiste, io l’ho incontrato» ha ripetuto per tutta la vita un ateo convinto, André Frossard, figlio del primo Segretario generale del Partito comunista francese, dopo che a vent’anni era entrato per caso in una cappella del Quartiere latino di Parigi per cercare un amico.
Qui, «in una silenziosa esplosione di luce» – racconta – trova all’appuntamento un altro amico che prima d’allora non aveva mai conosciuto: Cristo.    
A chi cerca nell’universo le tracce del Big Bang, la grande esplosione primordiale dalla quale tutto ha avuto inizio, auguriamo di poter incontrare, come una silenziosa esplosione di luce nel buio della mente, ciò che sta cercando pur senza conoscerne il nome.

(*) Direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare e Genetica Umana, Università Cattolica Milano

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Sul medesimo argomento proponiamo i due seguenti articoli presenti su questi sito e sul sito della Rivista Internazionale “Tracce”:

  • Clicca qui per l’articolo del Prof. Piero Benvenuti (Professore di Astrofisica all’Università di Padova e sub-commissario dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI))
  • Clicca qui per l’articolo del Dott. Massimo Robberto (Astrofisico dello Space Telescope Science Institute di Baltimora)