Libero, 26 agosto 2010, di Emanuela Meucci
«Ogni tanto qualche mio collega mi dice: “Ma non crederai mica nella Resurrezione? Se sei un uomo di scienza, non puoi certo avere fiducia in un evento non riproducibile”. E sa cosa gli rispondo? Che allora non esistiamo neanche io e lui, perché neanche la nostra nascita è un evento ripetibile in laboratorio”». Andrea Moro, professore di Linguistica generale all’Università Vita-SaIute del San Raffaele di Milano, non vede nessun conflitto fra fede e ragione. Un tema sempre al centro delle polemiche, rinfocolate in questi giorni dallo scontro sui finanziamenti alla ricerca sulle cellule staminali embrionali scoppiato in America.
Ma le convinzioni morali non rappresentano un limite al lavoro degli scienziati, spiega. Moro dal Meeting di Rimini, ospite dell’incontro “Quale bene dalla scienza?” insieme all’astrofisico Marco Bersanelli e a Edward Nelson, docente di matematica a Princeton.
Tre uomini accomunati sia dal rispetto per la razionalità umana, sia dalla convinzione che la scienza non escluda il mistero. «Anche se io non ho cose particolarmente intelligenti da dire su questo tema», si schernisce Moro, «perché non mi sono mai accorto del problema. Il punto è che non dobbiamo distinguere fra ragionamenti religiosi e non religiosi, ma solo fra buoni e cattivi ragionamenti. Ridurre la realtà solo a ciò che è riproducibile con un esperimento significa fare un torto alla ragione. Queste sono le premesse da cui partire, la fede arriva dopo».
Le sue parole sono riprese anche da Marco Bersanelli, impegnato ad analizzare il “fondo cosmico di microonde”, ovvero la prima luce sprigionata al momento del Big Bang, che viaggia ancora nell’universo. «Poter studiare l’origine del mondo, per me è un privilegio prima come uomo e poi come cristiano. E già un mistero poter osservare una luce che ha viaggiato per 13,7 milioni di anni, e possedere una mente in grado di arrivare ai limiti estremi dello spazio e del tempo. Credo che la quantità di credenti fra gli scienziati sia la stessa che in tutti gli altri gruppi sociali, dalle mamme ai macellai, ma quando ti occupi come me di cosmologia a un certo punto arrivi ad un punto in cui non puoi più negare l’esistenza di un enigma».Grandi scettici
È soprattutto Moro a raccontare le difficoltà e lo scetticismo che incontra nel suo campo chi si professa cattolico, e il pensiero corre agli scienziati che hanno fondato la propria fama proprio sugli attacchi alla. Chiesa. In Italia, il più famoso forse è Piergiorgio Odifreddi, diventato un campione della laicità dello Stato subito dopo l’uscita del suo primo libro dedicato al grande pubblico, Il Vangelo secondo la Scienza, seguito da. Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici). «Il punto», dice Moro, «è che è facilissimo opporsi alla religione se si tengono fuori dal discorso le domande fondamentali, ovvero: “Come mai sono nato, e dove andranno le persone che amo dopo la morte?”. E poi dire di non credere fa sentire le persone più forti e indipendenti, ma sfido chiunque a affermare di non aver mai invocato Dio, magari anche solo bestemmiandolo. Il problema è che sulle questioni bioetiche non è possibile avere certezze: non esiste un’equazione per stabilire quando l’embrione diventa vita, e se esistesse non penso che ci crederei. Criticare il senso religioso degli altri è l’errore tipico di chi fa “scienza per la, scienza”».
Ma cosa c’è di male a fare “scienza per la scienza”? Se una ricerca è valida, produrrà comunque risultati importanti. Oppure no? Al punto», spiega. Moro, «è che gli scienziati, se non danno un senso al loro lavoro, finiscono per mettersi al di fuori di quello che fanno e per non credere più nell’imprevisto. La vera scoperta, però, è solo quella che non potevi prevedere. Se metti la scienza nel tabernacolo, allora, non c’è sorpresa, e tutto si riduce a una serie di numeri che si susseguono uno dopo l’altro. Un po’ come nel film Matrix» .Prove empiriche
«E poi Dio non è né un oggetto, né un campo elettromagnetico», prosegue Bersanelli. «Non si può studiare empiricamente. Noi facciamo ragionamenti diversi per rispondere a domande diverse. Non dobbiamo chiederci se si può provare l’esistenza di Dio, ma limitarci ad osservare il mondo che ci circonda, che è una metafora del mistero, come diceva anche Massimo Troisi ne “Il postino”. Per me, questo è semplicemente un modo diverso di usare il mio cervello, e non è in nessun modo in contrasto con i miei studi scientifici».
«Le persone», conclude, «stanno dimenticando che tutto ciò che hanno gli è stato donato con uno scopo. E così la scienza, come tutte le altre attività, arriva a risultati rattrappiti, se non pericolosi. Nell’astrofisica, per esempio, esistono tendenze riduzionistiche per le quali noi siamo solo particelle di materia aggregate in maniera casuale e insensata. E vero che, se lo analizzo, il mio cervello è fatto di neutroni e elettroni. Ma è la mia ragione a dirmi che io come persona non sono riducibile soltanto a questo».
Ma le convinzioni morali non rappresentano un limite al lavoro degli scienziati, spiega. Moro dal Meeting di Rimini, ospite dell’incontro “Quale bene dalla scienza?” insieme all’astrofisico Marco Bersanelli e a Edward Nelson, docente di matematica a Princeton.
Tre uomini accomunati sia dal rispetto per la razionalità umana, sia dalla convinzione che la scienza non escluda il mistero. «Anche se io non ho cose particolarmente intelligenti da dire su questo tema», si schernisce Moro, «perché non mi sono mai accorto del problema. Il punto è che non dobbiamo distinguere fra ragionamenti religiosi e non religiosi, ma solo fra buoni e cattivi ragionamenti. Ridurre la realtà solo a ciò che è riproducibile con un esperimento significa fare un torto alla ragione. Queste sono le premesse da cui partire, la fede arriva dopo».
Le sue parole sono riprese anche da Marco Bersanelli, impegnato ad analizzare il “fondo cosmico di microonde”, ovvero la prima luce sprigionata al momento del Big Bang, che viaggia ancora nell’universo. «Poter studiare l’origine del mondo, per me è un privilegio prima come uomo e poi come cristiano. E già un mistero poter osservare una luce che ha viaggiato per 13,7 milioni di anni, e possedere una mente in grado di arrivare ai limiti estremi dello spazio e del tempo. Credo che la quantità di credenti fra gli scienziati sia la stessa che in tutti gli altri gruppi sociali, dalle mamme ai macellai, ma quando ti occupi come me di cosmologia a un certo punto arrivi ad un punto in cui non puoi più negare l’esistenza di un enigma».Grandi scettici
È soprattutto Moro a raccontare le difficoltà e lo scetticismo che incontra nel suo campo chi si professa cattolico, e il pensiero corre agli scienziati che hanno fondato la propria fama proprio sugli attacchi alla. Chiesa. In Italia, il più famoso forse è Piergiorgio Odifreddi, diventato un campione della laicità dello Stato subito dopo l’uscita del suo primo libro dedicato al grande pubblico, Il Vangelo secondo la Scienza, seguito da. Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici). «Il punto», dice Moro, «è che è facilissimo opporsi alla religione se si tengono fuori dal discorso le domande fondamentali, ovvero: “Come mai sono nato, e dove andranno le persone che amo dopo la morte?”. E poi dire di non credere fa sentire le persone più forti e indipendenti, ma sfido chiunque a affermare di non aver mai invocato Dio, magari anche solo bestemmiandolo. Il problema è che sulle questioni bioetiche non è possibile avere certezze: non esiste un’equazione per stabilire quando l’embrione diventa vita, e se esistesse non penso che ci crederei. Criticare il senso religioso degli altri è l’errore tipico di chi fa “scienza per la, scienza”».
Ma cosa c’è di male a fare “scienza per la scienza”? Se una ricerca è valida, produrrà comunque risultati importanti. Oppure no? Al punto», spiega. Moro, «è che gli scienziati, se non danno un senso al loro lavoro, finiscono per mettersi al di fuori di quello che fanno e per non credere più nell’imprevisto. La vera scoperta, però, è solo quella che non potevi prevedere. Se metti la scienza nel tabernacolo, allora, non c’è sorpresa, e tutto si riduce a una serie di numeri che si susseguono uno dopo l’altro. Un po’ come nel film Matrix» .Prove empiriche
«E poi Dio non è né un oggetto, né un campo elettromagnetico», prosegue Bersanelli. «Non si può studiare empiricamente. Noi facciamo ragionamenti diversi per rispondere a domande diverse. Non dobbiamo chiederci se si può provare l’esistenza di Dio, ma limitarci ad osservare il mondo che ci circonda, che è una metafora del mistero, come diceva anche Massimo Troisi ne “Il postino”. Per me, questo è semplicemente un modo diverso di usare il mio cervello, e non è in nessun modo in contrasto con i miei studi scientifici».
«Le persone», conclude, «stanno dimenticando che tutto ciò che hanno gli è stato donato con uno scopo. E così la scienza, come tutte le altre attività, arriva a risultati rattrappiti, se non pericolosi. Nell’astrofisica, per esempio, esistono tendenze riduzionistiche per le quali noi siamo solo particelle di materia aggregate in maniera casuale e insensata. E vero che, se lo analizzo, il mio cervello è fatto di neutroni e elettroni. Ma è la mia ragione a dirmi che io come persona non sono riducibile soltanto a questo».