Universo: più lo si studia, più è immenso

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

“Esplorare l’esplorabile e venerare silenziosamente l’inesplorabile”: così definiva la ricerca scientifica Max Planck, celebre fisico tedesco del ’900 e ideatore della teoria quantistica. E di questo si occupa Marco Bersanelli, docente di astrofisica all’Università degli studi di Milano e collaboratore dell’Istituto nazionale di astrofisica: esplorare l’universo.

Il cielo notturno – ha spiegato lo scorso 29 aprile ad un incontro al Palazzo del Ridotto organizzato dalla Fondazione Sacro Cuore – ha sempre attratto l’uomo e la sua curiosità: dalle osservazione ad occhio nudo dei primi astronomi orientali fino ai moderni telescopi spaziali, l’umanità ha sempre guardato con curiosità, ammirazione e profondo rispetto alle stelle e ad ogni altro corpo celeste. Ma la branca di cui si occupa Bersanelli, ovvero la cosmologia, non si limita all’osservazione dei singoli corpi: cerca invece di indagare l’origine del cosmo, e di comprenderne l’andamento, le leggi fisiche che lo governano.
In questa indagine siamo fortunati – ha detto il professore -. La luce, infatti, impiega molto tempo a percorrere le enormi distanze del cosmo. E quindi, più lontano guardiamo, più vediamo indietro nel tempo, fin quasi all’origine dell’universo”.

Il satellite Planck

Il satellite Planck, dedicato all’omonimo fisico e al cui sviluppo ha partecipato Bersanelli, coi suoi recentissimi sensori sta cercando da poco meno di un anno di spingersi al limite questa ricerca, fino a pochi attimi dopo il Big Bang, quando il nostro universo era appena nato.

Galileo Galilei, “fondatore” della scienza moderna, scriveva oltre quattro secoli fa come l’universo fosse un grandissimo libro della natura aperto dinnanzi ai nostri occhi e scritto in linguaggio matematico. Di questo si occupa la scienza: indagare e capire quanto ci circonda, scovare le leggi che lo guidano e governano con divina perfezione.
La curiosità spinge l’uomo ad affrontare fatiche, sofferenze, persino frustrazioni, pur di poter arrivare a conoscere qualcosa di ancora ignoto, pur di capire un po’ meglio il mondo in cui vive. La scienza è il più raffinato strumento a disposizione della ragione umana per poter soddisfare questo desiderio di sapere. Permette di interrogare con obiettività ogni fenomeno naturale, di leggere questo sconfinato libro della natura e di trovare le risposte che si cercano. Ma la vera meraviglia si cela ancora un po’ più in fondo, perchè se la sete di sapere è insaziabile, altrettanto inesauribile è la conoscenza che possiamo avere del nostro universo: trovare la risposta a una domanda non è un punto di arrivo, ma solo il nuovo punto di partenza per infinite altre domande che nascono per naturale conseguenza.
Fare ricerca scientifica rende orgogliosi quando si trovano delle risposte, ma impone anche un profondo senso di umiltà dinnanzi all’enormità di quanto ci circonda. Più Planck guarda a fondo nel nero dello spazio, più conosciamo, tuttavia ci sentiamo anche più piccoli: come direbbe Aristotele, socraticamente, sappiamo di non sapere.
Eppure la scienza non può dare una spiegazione a tutto: molti giustamente obiettano che l’universo sarà sì nato dal Big Bang, ma possiamo forse spiegare scientificamente da dove tragga origine quella massa iniziale da cui tutto è nato? Probabilmente no, in quanto la scienza si occupa di studiare ciò che è fisico e tangibile, lasciando l’ambito metafisico a filosofia e religione. Ma forse, studiare sempre più a fondo la perfezione che muove l’universo può essere il modo migliore per comprendere la grandezza di chi gli abbia dato origine.