Origini: il lungo cammino per diventare «homo»

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Fiorenzo Facchini, Avvenire, 23 maggio 2010
Il desiderio di conoscere le origini e il passato dell’uomo non risponde solo a una curiosità di ordine scientifico. È chiamata in causa la nostra identità umana. Spesso i nuovi fossili sono annunciati come anelli di congiunzione, una espressione impropria, da abbandonare, perché l’evoluzione non è stata lineare. Oltre ai fossili assumono interesse le ricerche sul Dna antico e le comparazioni fra il Dna dello scimpanzé e quello dell’uomo. A livello biomolecolare le differenze tra il genoma umano e quello dello scimpanzé sono molto piccole (intorno all’1%). Ciò suggerisce che la linea evolutiva umana si sia differenziata da quella dello scimpanzè a partire da antenati comuni che vissero in territorio africano.

La culla Africana
Il problema diventa quello di individuare quando sia avvenuta la divergenza tra le due linee: antropomorfe (Panini, Gorilli) e Ominini (preumani e umani), ma la culla rimane l’Africa. Su questo concorda sia l’approccio paleoantropologico che quello biomolecolare. Attualmente la divergenza viene collocata intorno a 7 milioni di anni fa. Vicini alla divergenza, ma incamminati verso la linea umana, vengono considerati il Sahelantropo del Chad (6-7 milioni di anni fa) e l’Orrorin tugenensis del Kenya (6 milioni di anni fa) perché dimostrano tendenze evolutive verso il bipedismo che caratterizza la linea evolutiva umana e compare nelle forme preumane, gli Australopiteci, i quali peraltro praticavano anche l’arrampicamento. Tra questi una particolare importanza assumono l’Ardipiteco (4,4 milioni di anni fa) e l’Australopiteco afarense o Lucy (3,5 milioni di anni fa). Homo, oltre a essere caratterizzato da un bipedismo ormai perfetto, ha una maggiore capacità cranica, una dentatura ormai umana, con riduzione dei canini e dei premolari e molari, e utilizza la mano per fabbricare strumenti in modo sistematico e progressivo (industria del ciottolo: chopper e chopping tools ). I più antichi rappresentanti del genere Homo sono riferiti a Homo habilis/rudolfensis. La specie Homo habilis fu coniata nel 1964 da Leakey, Tobias, Napier per alcuni reperti trovati a Olduvai in Tanzania. Ad esso furono anche riferiti reperti simili, ma più cerebralizzati, trovati nel 1972 in Kenya a est del lago Turkana (il lago ex-Rodolfo) e successivamente rinominati come Homo rudolfensis. Il passaggio a un livello più evoluto (maggiore capacità cranica, una certa robustezza nel cranio e nella mandibola) porta alla specie Homo erectus, che per l’Africa viene chiamata ergaster (artigiano) a partire circa da 1,6 milioni di anni fa. Ma per un certo tempo habilis ed ergaster hanno convissuto. L’industria litica è più elaborata. Continua quella su ciottolo e compaiono i bifacciali, caratterizzati da lavorazione su entrambe le facce e sui margini, praticata in modo simmetrico, rivelatrice del concetto di simmetria.

La prima uscita dall’Africa
Le uscite dell’umanità dall’Africa verso gli altri continenti sono state più di una. Molto probabilmente la più antica risale a 1,7 milioni di anni fa. Troviamo infatti a Damnissi, in Georgia, un deposito risalente a quell’epoca con numerosi resti umani che appaiono sia morfologicamente che cronologicamente intermedi tra Homo habilis e Homo ergaster. Li accompagna un’industria su ciottolo. Probabilmente attraverso la regione del Caucaso, in varie ondate migratorie, l’uomo si è portato in Asia ed Europa. Una tappa poteva essere la Palestina, dove a Ubeidiya è segnalata una mandibola di circa 1,3 milioni di anni fa. In Africa l’umanità di oltre un milione di anni fa è rappresentata in vari siti: Olduvai (Tanzania), Buia (Eritrea), Daka (Etiopia). I reperti ricordano aspetti morfologici di Homo ergaster/erectus. Nella loro discendenza si ammette anche una forma, Homo antecessor, a cui si potrebbero ricollegare sia i precursori dei Neandertaliani europei, attraverso Homo heidelbergensis di 600.000 anni fa, sia il sapiens arcaico, che si ritrova in Africa intorno a 150.000 anni fa (Idaltu, Etiopia) e si è poi portato in Eurasia passando per il Vicino Oriente.

Popolamento dell’Eurasia
A Ceprano, nel Lazio, e Atapuerca, in Spagna, sono segnalati reperti di uomini vissuti 800.000 anni fa. L’uomo della Gran Dolina di Atapuerca potrebbe avere avuto nella sua discendenza Homo heidelbergensis. Presenta infatti nella morfologia craniale qualche tratto che si ritroverà nei Neandertaliani, i grandi dominatori dello scenario europeo fino a 30.000 anni fa. Ancora più evidenti vari aspetti neandertaliani nella faccia di alcuni reperti di Atapuerca (Sima de los huesos) e Tautavel (Pirenei) di 400.000 anni e in altri dell’Europa centrale fino a 100.000 anni fa, quando si ritrovano i Neandertaliani classici.
I Neandertaliani affrontarono ambienti rigidi dal punto di vista climatico giungendo fino ai Monti Altai nella Siberia. Nella loro espansione, intorno a 130.000-100.000 anni fa, si portarono nel Vicino Oriente e anche nell’attuale Iraq e nell’Uzbekistan. Nel frattempo Homo erectus si era irradiato in varie regioni dell’Est asiatico: ricordiamo Longuppo, Yunxian, Chou-kou-tien, con il ben noto giacimento del Sinantropo di Pechino, e nell’isola di Giava la bella serie dei Pitecantropi. In Indonesia, nell’isola di Flores, nel 2004 e 2005 c’è stata la sorprendente scoperta di probabili discendenti del Pitecantropo, riferibili a un’epoca tra 74.000 e a 18.000 anni fa. È una forma umana di piccole dimensioni (alti circa un metro con una capacità cranica di 400 cc), accompagnata da utensili, ricollegabile forse a fenomeni di insularità. Vengono considerati discendenti dei Pitecantropi e indicati come Homo floresiensis.

I diretti antenati di Homo Sapiens
L’uscita dell’uomo moderno dall’Africa è avvenuta, forse in diverse ondate, fra 150.000 e 60.000 anni fa. Esso si ritrova in Palestina nella forma arcaica a El-Zuttiye 150.000 anni fa. Anche le analisi biomolecolari depongono per queste uscite dall’Africa verso rotte europee e i grandi spazi dell’Asia centrale, fra cui quelli lasciati liberi dalle glaciazioni. La coesistenza di forme neandertaliane e moderne nel Vicino Oriente a partire da 100.000 anni è ben accertata. In alcuni casi si ha anche comunanza di cultura, quella musteriana.
L’uomo anatomicamente moderno si diffonde in Europa dalle regioni orientali intorno a 40.000, 30.000 anni fa e piuttosto rapidamente sostituisce i Neandertaliani per fattori ancora non bene conosciuti. Ma non si deve pensare a genocidi. Non sono da escludere parziali incroci fra le due popolazioni.
Alcuni reperti di tipo moderno del Paleolitico superiore (come il bambino di Velho, in Portogallo, e vari reperti della Romania e della Moravia) mostrano qualche aspetto neandertaliano. Caratteri neandertaliani attenuati appaiono già nella donna di Tabun (Israele) che è molto più antica (intorno a 120.000 anni fa), forse per qualche mescolanza con l’umanità moderna proveniente dall’Africa. Del resto la presenza dell’uomo moderno nella grotte di Qafzé e di Skhul in Israele risale a epoca molto antica (90.000 anni fa). C’erano tutte le condizioni per qualche mescolanza di popolazioni.
Intorno a 50.000 anni fa l’uomo si porta in Australia e, a partire dalla stessa epoca, ma in ondate diverse, dalle regioni orientali estreme dell’Asia settentrionale l’uomo si porta in America approfittando di un istmo di terra durante l’ultima glaciazione.

Nuovi orizzonti dal DNA antico
Analisi sul Dna mitocondriale eseguite nei mesi scorsi sulla falange di un Neandertaliano di Denisova nei Monti Altai della Siberia (40.000-38.000 anni fa), confrontate con altri 6 Neandertaliani e 54 uomini moderni, hanno messo in evidenza differenze rispetto all’uomo moderno maggiori di quelle che lo separano dai Neandertaliani. Di conseguenza, se la divergenza tra Neandertaliani e forma moderna viene posta, come pare da vari studi, tra 500.000 e 700.000 anni fa, l’antenato comune alle tre linee (Neandertaliani, moderni e il reperto di Altai) sarebbe molto più antico, oltre un milione di anni fa. In questa ipotesi l’antenato comune potrebbe riferirsi a Homo antecessor, formatosi nella discendenza di Homo ergaster o erectus africano e migrato in Eurasia molto anticamente (un milione di anni fa?), di cui però non abbiamo documentazione.
Neandertaliani e Uomo moderno: una medesima specie o specie diverse?
Vi sono antropologi e filosofi della scienza che si sbracciano a sostenere che si tratta di specie diverse, forse dimenticando che la variabilità umana consente sottospecie e popolazioni. Ricerche sul Dna nucleare pubblicate nei giorni scorsi depongono per la interfecondità tra Neandertaliani e moderni e quindi per una medesima specie, come suggeriscono gli studi paleoantropologici.      I nuovi studi sul Dna mettono in guardia da facili semplificazioni nel parlare di specie nell’umanità preistorica, specialmente per popolazioni che potevano comunicare facilmente fra loro. Per l’umanità preistorica eventuali specie, caratterizzate cioè da isolamento riproduttivo, sono supposte, ma non dimostrate.  E c’è una ragione. La cultura, che caratterizza l’uomo dalle sue origini, deve avere favorito le comunicazioni fra i gruppi e l’adattamento ai vari ambienti, rallentando quell’isolamento che caratterizza i processi di speciazione.