Colleghi scienziati non sparate su Darwin

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Luigi Luca Cavalli – Sforza, La Repubblica, 6 aprile 2010
CARO Massimo Piattelli Palmarini, leggo la tua intervista comparsa su Repubblica il 29 marzo e sono un po’ meravigliato, perché miè difficile accettare varie tue affermazioni. Ti conosco come persona molto intelligente, e colta (ma forse meno sulla genetica, che è la mia materia). Ci sono alcune tue affermazioni con le quali non posso andare d’accordo e mi sento in dovere di dirlo. Esempi: «I geni sono quasi sempre gli stessi da centinaia di milioni di anni» (una scoperta attribuita all’evo-devo). «La selezione non è il motore della speciazione, della creazione di specie nuove» e inoltre «Non spiega l’evoluzione biologica». Devo aggiungere che la “sacra triade” che tu nomini: Daniel Dennett, Richard Dawkins, Steven Pinker non è affatto sacra, e sono d’ accordo che può essere irritante. Si tratta di divulgatori più attivi di molti altri che hanno senza dubbio anche la tendenza a fare affermazioni estreme, un difetto che non è raro tra i divulgatori che vogliono, fortemente vogliono essere molto letti. Ma condannare Darwin così violentemente non è giusto. Posso condividere la tua irritazione per l’invasione della psicologia e sociologia da parte di quello che tu chiami neodarwinismo ma a me sembra vi sia una confusione.
Gli autori sono piuttosto responsabili di una valutazione grossolanamente erronea del contributo relativo di fattori genetici e ambientali alla determinazione dei comportamenti umani. Darwin non c’entra per niente; tutt’al più è stato molto moderno tentando di dare una spiegazione di come qualche comportamento appreso possa divenire biologicamente ereditario, un argomento tuttora aperto e considerato nella evo-devo. Comunque, la selezione naturale favorisce anche quegli adattamenti che non sono trasmessi geneticamente ma per via culturale. E la difficoltà di accettare la tua critica come essa è formulata nella intervista è che l’unico fattore evolutivo che dirige l’ evoluzione verso un maggiore adattamento all’ambiente, e pertanto favorisce la crescita numerica relativa di certi tipi genetici e certe specie, è proprio la selezione naturale. Non c’è biologia senza selezione naturale, non c’è evoluzione senza selezione naturale. Il merito di aver capito che la forza di adattamento è più importante, e più necessaria per generare gli esseri viventi e la loro evoluzione non può essere negato a Darwin (e a Wallace, che ebbe la stessa idea allo stesso tempo).
Sono il primo a dire che vi sono altri fattori di evoluzione. Anzi, in uno studio del Dna di oltre cinquanta popolazioni umane aborigene pubblicato con altri colleghi nel 2005 (sulla rivista dell’Accademia Nazionale delle scienze Usa), abbiamo scritto che la selezione naturale è responsabile di meno del 20% delle differenze di Dna osservate fra le popolazioni della nostra specie. Degli altri fattori responsabili dell’ 80% o più, i più importanti sono il fatto che le mutazioni genetiche sono casuali (e non dirette necessariamente a migliorare l’ adattamento); le migrazioni di tutti i tipi; e i fattori statistici che determinano variazioni di ordine casuale nelle frequenze dei tipi genetici e chiamiamo deriva genetica o drift. Ma nessuno di questi fattori sono quelli che strettamente dirigono l’adattamento all’ambiente di vita, anche se sono importanti nel determinare le variazioni fra specie (almeno a livello di Dna). Per rendercene meglio conto è necessario chiarire quello che misuriamo quando parliamo di selezione naturale e quello che chiamiamo “adattamento” nell’evoluzione. Può sembrare automatico che un individuo forte, sano e resistente alle malattie sia più “adatto all’ ambiente” di un tipo deboluccio e malaticcio. Ma sul piano evolutivo non basta, bisogna che possa avere dei figli; se è sterile il suo buon adattamento fisiologico e la muscolosità non gli permettono di contribuire alla prossima generazione. In realtà l’adattamento di un individuo (o specie) che conta nell’evoluzione è la capacità relativa di lasciare discendenti che portano i caratteri che lo rendono più “adatto all’ambiente” rispetto agli altri membri della popolazione. La misura della “fitness darwiniana”, cioè dell’adattamento dei tipi genetici che compongono una popolazione, permette di prevedere come essa evolverà in termini di aumento o diminuzione degli individui che la compongono a confronto con altre popolazioni e specie, ed anche in termini della sua struttura in termini di tipi genetici. La si calcola per intero in base a due misure di natura demografica: la probabilità di sopravvivere fino alle età di avere figli, e la fecondità che determina il numero di figli, cui trasmettere i caratteri ereditari che rendono l’ ndividuo più adatto all’ambiente. Queste quantità si possono misurare, determinano la fitness dei tipi genetici, e in base ad essa si può calcolare la velocità dell’ evoluzione di tipi genetici o di specie.
È difficile accettare altre affermazioni, quale quella che i geni sono quasi eguali in tutti gli organismi e non sono cambiati – nei quattro o cinque miliardi di anni della comparsa di esseri viventi. Tutti gli esseri viventi hanno Dna (e un altro acido nucleico chiamato Rna più antico ma molto simile al Dna) che è organizzato in “geni”, segmenti di Dna ciascuno dei quali ha la capacità di generare una sostanza chimica complessa, una “proteina”. Una proteina può avere funzioni meccaniche, o produrre energia, o effettuare una specifica trasformazione chimica necessarie per fare cibo partendo direttamente dalla materia inanimata che ci circonda, o mangiando altri esseri viventi. Tutto ciò sembrerà molto misterioso ma non lo è più. Qualunque essere vivente è un organismo di qualche complessità, dai più semplici come i batteri a noi che siamo migliaia di volte più grossi in termini di Dna e impieghiamo molto più tempo a fare un individuo come noi, che ha una caratteristica unica: è un organismo complesso capace di produrre altri individui estremamente simili a sé stesso. Questa è l’auto-riproduzione, la proprietà che definisce la vita. Può farlo perché ha un programma molto dettagliato, il Dna, che contiene istruzioni specifiche per generare quantoè necessario, in pratica creare il macchinario fatto di Rna e proteine per creare cellule e individui nuovi. Questo macchinario genera tutte le proteine capaci di soddisfare ai numerosi compiti che permettono di mantenere e creare nuovi individui, alla stregua di operai specializzati ciascuno dei quali fa uno dei tanti mestieri necessari per generare e mantenere un essere vivente, compreso anche quello di fare copie del Dna che lo ha generato e passarle ai figli per generare altri individui come sé stesso.
Naturalmente organismi più complessi come noi o altri mammiferi abbiamo bisogno di fare molte più cose che i batteri, come mostra anche la differenza del numero di geni. Ma vi sono molte attività in comune, come quella fondamentale dell’auto-riproduzione, che richiede funzioni molto speciali e comuni a tutti gli essere viventi, come duplicare il Dna e fare le proteine. Non c’è perciò da stupirsi se molti geni sono comuni a batteri, animali e piante, almeno come funzione, e inevitabilmente non possono essere cambiati troppo grossolanamente nella loro struttura, almeno nelle parti fondamentali per la loro funzione, che ci permette di riconoscere la lontana origine comune. Qui c’entra di nuovo la selezione naturale. Se consideriamo una particolare proteina molto importante, come ad esempio l’emoglobina, responsabile del colore rosso del nostro sangue, che esiste in moltissimi animali, è praticamente identica in quasi tutti gli individui, e molto simile in specie assai diverse. Perché si è conservata così bene? Perché è troppo importante: come tutte le proteine è fatta di molte unità, gli aminoacidi, quasi trecento nel caso dell’emoglobina. Ve ne sono molti in posizioni critiche: se cambiano per mutazione genetica, cioè un errore di copia nel produrre il Dna finito nello spermatozoo o nella cellula ovo che ha dato origine a un individuo, il portatore della mutazione nell’emoglobina può avere un’anemia grave,e quindi la mutazione viene eliminata (dalla selezione naturale) col suo portatore, che non potrà diffonderla specie se muore presto. La
genetica medica ha scoperto moltissime malattie genetiche gravi, tutte rare o rarissime perché la selezione naturale ne mantiene bassa la frequenza. Il trenta percento circa degli aborti nei primi tre mesi sono dovuti a mutazioni gravi: non è vero che la selezione non fa nulla o quasi. Quando conosceremo meglio il Dna degli scimpanzé e altri Primati potremo capire quali sono le mutazioni che sono state selezionate per darci la bipedalità, il linguaggio, e le altre differenze tra la nostra specie e le scimmie. Anche se Lewontin ha detto che l’acquisizione delle ali negli uccelli è probabilmente passata per uno stadio intermedio che non aveva rapporti con il volo non credo possa pensare che la selezione naturale ha poca, o addirittura nessuna importanza nel creare differenze tra specie. Ma ha pensato che l’idea che esista un fenomeno del genere fosse abbastanza interessante e comune da dargli un nome (exaptation).
Comunque, sono altri fenomeni di selezione naturale molto importanti che hanno creato non una specie diversa, ma addirittura la classe degli “Uccelli”.
Non vi sono studi su altre specie come il nostro citato sopra sull’ effetto della selezione naturale nel creare differenze a livello di Dna popolazioni rappresentative della specie. Vi sono due ordini di motivi che fanno pensare che altre specie mostreranno assai maggiore diversità fra popolazioni. La prima è che la nostra dispersione sul globo a partire da una piccola popolazione dell’Africa orientale è stata particolarmente rapida (meno di 60.000 anni) e l’evoluzione biologica è molto lenta: non c’ è stato il tempo di creare grandi differenze. La seconda è che la nostra specie non aspetta le mutazioni genetiche per adattarsi: si adatta per meccanismi culturali. Quando 30.000 anni fa i primi uomini moderni sono arrivati in regioni Siberiane molto fredde, non avevano bisogno di aspettare il molto tempo necessario per farsi ricrescere il pelo: avevano ago e filo, e si sono tagliati e cuciti pelli di animali per coprirsi dal freddo. E hanno costruito vari tipi di case con pareti spesse, molto resistenti al freddo. Questa è evoluzione culturale, e siamo la specie che l’ha usata di più ad adattarsi nel modo più rapido e soddisfacente per i nostri gusti.
Fenomeni simili avvengono anche in linguistica. I cambiamenti subiti dalle parole che vengono accettati e trasmessi sono come mutazioni genetiche. La maggioranza di questi cambiamenti sono anch’essi casuali ma qualche volta hanno vantaggi che fanno preferire la parola nuova a quella vecchia, per esempio
perché è più breve, semplice o chiara. C’è un esempio di mutazione linguistica dovuta a un errore casuale che sembra addirittura vantaggiosa: un errore di stampa in una poesia di Ronsard ha migliorato la qualità poetica di un verso. Nella poesia per la morte di una bambina appena nata, figlia di un amico, di nome Roselle, nella stampa è stata sostituita la parola Roselle come segue: «et, rose, elle a vécu comme vivent les roses, l’espace d’un matin».
Ci sono poi parole comei cognomi che si trasmettono un po’ come cromosomi (letteralmente come il cromosoma Y che determina il sesso maschile). Il cognome Piattelli Palmarini è un po’ lungo e può essere che qualcuno dei tuoi discendenti decida di semplificarlo in Piattelli, e come tale sarà ereditato (in biologia questo tipo di mutazione si chiama delezione). Se il discendente è proprio deciso può iniziare la lunga procedura burocratica che lo rende legale. Dopo molte generazioni potrebbe restare solo la forma semplificata. Anche a me, naturalmente, potrebbe succedere lo stesso.