Valentina Arcovio, La Stampa – Tuttoscienze, 28 aprile 2010
E’ invisibile e misteriosa, ma c’è e riempie una grandissima porzione dell’Universo. Non abbiamo ancora capito qual è esattamente il suo ruolo, sappiamo soltanto che è grazie a questa – l’energia oscura – se l’Universo si sta espandendo. A intuire per primo qualcosa è stato Albert Einstein, spesso confutato e contro-confutato per decenni, ma a trovare conferma alle sue teorie è stato un gruppo internazionale di ricercatori dell’operazione «Cosmos» («Cosmological evolution survey»), coordinati dall’astronomo Tim Schrabback dell’Università olandese di Leida. Si è trattato della più vasta osservazione mai condotta che, grazie al telescopio spaziale «Hubble» della Nasa e dell’Esa, ha permesso di provare le teorie della Relatività generale e dell’accelerazione dell’espansione del cosmo. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista «Astronomy and Astrophysics». «Era il 1998, quando gli astronomi hanno scoperto che l’Universo è dominato da una componente invisibile, battezzata energia oscura, che ne incrementa l’espansione», spiega Schrabback. Ora, tramite l’osservazione di 446 mila galassie, i ricercatori sono riusciti a realizzare una mappa in 3D della materia oscura, che occupa ben il 25% del tutto.
La materia visibile, invece, costituisce soltanto il 5% e l’energia oscura occupa il restante 70%. Proprio perché è l’energia invisibile a essere dominante, gli scienziati si sono concentrati sulle sue possibili manifestazioni per provarne l’esistenza e capirne il suo ruolo.
Lente gravitazionale debole
«Per la prima volta – dice Schrabback – abbiamo effettuato una serie di test per l’energia oscura, usando unicamente la “lente gravitazionale debole”». In pratica, lo scienziato e i suoi colleghi hanno osservato la distorsione della luce di galassie lontane provocata dalle deviazioni della materia oscura. «E’ un fenomeno molto simile alla distorsione che si verifica quando la luce passa attraverso una comune lente di vetro. A causa di questo fenomeno – spiega Elisabetta Semboloni, scienziata italiana in fuga dall’Italia, che ha collaborato con il gruppo di Schrabback – la luce delle galassie viene distorta da gruppi e ammassi che si trovano frapposte tra noi e altre galassie. Il modo in cui la luce è distorta dipende dalla massa delle strutture che la luce attraversa, e dalla distanza tra noi, la galassia sorgente e queste strutture». Osservando quindi queste distorsioni, gli scienziati hanno ricavato una serie di informazioni sulle proprietà dell’Universo. «Schrabback e i suoi colleghi – continua Semboloni – hanno misurato la distorsione della luce, usando osservazioni uniche nel loro genere, ottenute utilizzando per circa mille ore il telescopio spaziale “Hubble”». Così, il team ha scoperto che non solo l’energia oscura esiste, ma è proprio questa a provocare la crescita della distribuzione della materia nell’Universo. In questo modo è stata confermata, attraverso strumenti e tecniche mai usate fino ad ora, la validità della teoria della Relatività e l’esistenza della materia oscura.
«Quando Einstein formulò la sua teoria sulla Relatività generale – spiega Schrabback – non era stata ancora scoperta l’espansione dell’Universo. Per compensare, quindi, la forza di gravità ha originariamente introdotto la famosa “costante cosmologica”». Ma quando nel 1929 Edwin Hubble scoprì il fenomeno dell’espansione, l’idea di Einstein venne subito ritirata. «Adesso, la costante cosmologica – dice lo scienziato – è ritornata sotto forma più generale di energia oscura per spiegare l’espansione accelerata. E, così, anche l’intuizione di Einstein si è alla fine rivelata geniale, anche se originariamente era stata introdotta per una ragione sbagliata».
«L’analisi dei dati forniti dall’esperimento “Cosmos” – sottolinea lo scienziato – ha solo fornito le prime misure dell’energia oscura con la lente gravitazionale debole. Per comprendere meglio la natura di questa energia, sono necessarie ricerche molto più estese. Ecco perché al momento stiamo lavorando all’analisi dei dati di un vasto studio condotto con il “Canada France Hawaii Telescope”».
Altrettanto ambiziosi sono anche gli obiettivi di un altro gruppo internazionale di astronomi, a cui partecipano alcuni ricercatori italiani dell’Istituto nazionale di astrofisica, l’Inaf. Sfruttando al meglio la rinnovata strumentazione dell’ormai fondamentale telescopio spaziale «Hubble», gli scienziati dedicheranno i prossimi tre anni allo studio della formazione e dell’evoluzione delle galassie. L’obiettivo – si spera – è riuscire a ottenere le immagini più dettagliate mai prodotte finora delle prime fasi della storia del cosmo.
Macchina del tempo
«Hubble» si trasformerà in una vera e propria «macchina del tempo» per lanciare uno sguardo su stelle e su galassie così lontane che la loro luce ha impiegato oltre 10 miliardi di anni prima di raggiungerci. «Sarà come osservare il loro “giardino d’infanzia” – dice Adriano Fontana, astronomo dell’Inaf che parteciperà allo studio -. L’Universo ha 13,7 miliardi di anni: noi osserveremo – continua – le galassie che lo popolavano da quando aveva “appena” 500 milioni di anni fino a quando ne aveva compiuti all’incirca 5 miliardi».
Si stima che verranno analizzate oltre 250 mila galassie e da questo processo si pensa di riuscire a ricostruire la storia dell’Universo nei suoi primi 5 miliardi di vita. «Lo scopo finale – conclude Fontana – è quello di comprendere meglio i fenomeni fisici che hanno plasmato l’evoluzione delle galassie fino a far loro assumere la forma che vediamo oggi».