La Sindone, tra scienza e fede

Benedetta CappelliniEditoriale

A partire dal prossimo 10 aprile 2010, e per la durata di sei settimane, nel Duomo di Torino verrà esposta al pubblico la Sindone, la più importante reliquia della cristianità.
In questo lungo lenzuolo di lino, sono rimasti impressi non solo i segni del corpo di un uomo che ha subito il terribile supplizio della flagellazione e della croce, ma anche i segni delle peripezie subite da un oggetto che è sopravvissuto a venti secoli di viaggi, saccheggi e incendi. 

Le numerose e approfondite analisi storiche che sono state effettuate sulla Sindone hanno permesso di ricostruire con una discreta continuità le vicende e gli spostamenti di questa famosa reliquia. Le sue tracce sono ben documentate dopo il 1356, quando essa venne consegnata ai canonici di Lirey (presso Troyes, in Francia), ma anche in precedenza sono numerose, e sostanzialmente coerenti, le testimonianze e i riferimenti storici alla sua esistenza e ai suoi spostamenti, pur con molte lacune difficilmente colmabili (per esempio non è noto con certezza come avvenne il percorso sino alla Francia, dopo che il sacro lino fu trafugato durante il saccheggio di Costantinopoli del 1204).
In parallelo alle indagini storiche, sulla Sindone sono state eseguite molte indagini scientifiche, a partire da più di un secolo fa quando essa fu fotografata per la prima volta in occasione della ostensione del 1898.  Gli esami scientifici si sono intensificati a partire dal 1969, quando cominciò a operare la commissione scientifica, incaricata dal cardinal Pellegrino di studiare la reliquia.  Le indagini scientifiche hanno notevolmente migliorato le leggibilità della Sindone e decifrato molti degli indizi sparsi sulla sua superficie, portando numerose conferme sull’antichità del sacro lenzuolo e sulla impossibilità che si tratti di un manufatto artificiale.
Alcuni di tali indizi, per esempio le caratteristiche delle polveri e dei pollini presenti sul tessuto sindonico, sono risultati particolarmente utili per ricostruire l’origine e gli spostamenti geografici della Sindone, fornendo elementi di conferma a una documentazione storica per altri versi incompleta, ma che non viene contraddetta, anzi confermata, dalle analisi scientifiche. Polveri e pollini furono prelevati da Max Frei e Gilbert Raes nel 1973 e sono risultati tipici delle aree geografiche palestinese ed anatolica, dalle quali il lino proviene e dove fu inizialmente conservato.
Una ricognizione scientifica della Sindone particolarmente approfondita, fu eseguita nel 1978 dagli scienziati del Shroud of Turin Research Project (STURP); a seguito di tali indagini, nel 1981 il prof. Pierluigi Baima Bollone e altri dimostrarono, fra l’altro, che le macchie rossastre presenti sulla sindone sono effettivamente di sangue umano del gruppo AB (Baima Bollone, presidente onorario del Centro Internazionale di Sindologia di Torino, ha dedicato una vita allo studio scientifico della Sindone; come abbiamo segnalato nella rubrica “Eventi” è stato il relatore principale di una interessantissima conferenza sulla Sindone tenuta l’1 marzo 2010 per il Centro Culturale di Milano).
Molto significativo è il fatto che nonostante gli sforzi di tanti scienziati non si é peraltro ancora potuto trovare una convincente ed esauriente spiegazione su una caratteristica fondamentale di questo misterioso lenzuolo, cioè su quale sia la causa che ha consentito al lino della Sindone di catturare l’immagine dell’uomo che è stato in esso avvolto dopo la morte in croce, quasi come se la tela si fosse comportata da negativo fotografico.  In effetti mentre le osservazioni microscopiche hanno dimostrato che l’immagine è dovuta ad una ossidazione della cellulosa contenuta in sottili strati di fibrille superficiali del tessuto (essa é in effetti totalmente assente nel retro del telo) non è chiaro per quale fenomeno fisico ciò sia accaduto.  Tra le ipotesi recentemente formulate, quella che la struttura molecolare del lino sia cambiata per essere stata attraversata da un flusso di energia sprigionatasi al momento della Resurrezione è sicuramente molto suggestiva, ma le prove ed alcuni esperimenti a suo favore sono tutt’altro che conclusive.  Peraltro l’ipotesi del flusso energetico “dall’interno” è senz’altro interessante per spiegare come il telo sindonico abbia potuto rimanere “impressionato” quasi come un film fotografico.
Come è noto, fra le varie indagini scientifiche eseguite sulla Sindone, nel 1988 furono prelevati dei piccoli campioni di tessuto, in un’area periferica del telo, nel tentativo di ottenere una datazione assoluta della Sindone con il metodo del radiocarbonio.  I risultati di queste indagini, fornirono una datazione medievale per il tessuto sindonico, in netto contrasto con molte altre evidenze storico-scientifiche, ma sono stati in seguito messi in discussione da diversi autorevoli scienziati, sia per la metodologia seguita, sia per la possibilità che i risultati siano stati falsati da vari elementi alteranti presenti su un reperto che nella sua lunga storia è stato soggetto a tanti spostamenti ed eventi.  Al di là delle tante polemiche suscitate dal modo in cui gli esami al radiocarbonio sono stati eseguiti ci sembra particolarmente significativa e ragionevole la posizione che l’archeologo William Meacham (della Università di Hong Kong) aveva espressa già prima che tali esami fossero eseguiti:
“In prima cosa si deve abbandonare ogni idea che un’età radiocarbonica di qualsivoglia entità possa risolvere per sempre la questione dell’autenticità.

Secondo, la scelta dei siti per la campionatura della reliquia dovrebbe essere regolata da considerazioni sulle possibilità di contaminazione e dalla desiderabilità di misurare sia campioni tipici che atipici.

Terzo, si dovrebbe eseguire un elaborato programma di pretrattamento e di selezione prima di misurare i campioni. Infine, il risultato dovrebbe essere interpretato per il grosso pubblico alla luce delle contaminazione e delle altre incertezze inerenti al metodo di datazione con il radiocarbonio” (citato in Emanuela Marinelli, La Sindone, testimone di una presenza, San Paolo, 2010).

A partire dagli anni ‘90 gli interventi tecnico-scientifici sulla Sindone sono stati mirati non solo ad indagarne le caratteristiche, ma anche a garantirne la conservazione nel tempo.  Nonostante ciò la Sindone ha rischiato di andare distrutta nell’incendio che nella notte fra il 11 e 12 aprile 1997 semidistrusse la cappella del Guarini, dove essa é stata conservata dalla fine del ‘600 in poi.  Anche a seguito di questo incidente è stato deciso un sostanziale cambiamento delle modalità di conservazione della reliquia, che dall’anno 2000 non viene più conservata ripiegata, nella preziosa cassetta d’argento in cui è rimasta per secoli, ma è stata trasferita in una teca ipertecnologica realizzata dalla Alenia Spazio di Torino.  Qui il sacro lino ora normalmente riposa, disteso in posizione orizzontale, in atmosfera di gas inerte (l’eliminazione dell’ossigeno atmosferico serve a ritardare l’ossidazione del lino che porta al suo ingiallimento ed al progressivo sbiadimento dell’immagine sindonica) a temperatura, umidità e pressione controllate, mentre in occasione delle ostensioni viene trasferito in un’altra teca, dove può essere mostrato al pubblico in posizione verticale, protetto da un spesso cristallo di sicurezza.
Nel 2002 il tessuto della Sindone è stato inoltre separato dal telo di rinforzo, e dai rammendi che gli erano stati applicati dopo l’incendio del 1534 della cappella di Chambery, dove fu a lungo conservato; in quella occasione, come è noto, esso rimase seriamente danneggiato, anche se le bruciature che ne risultarono riguardarono solo marginalmente l’area principale delle immagini.   In occasione del restauro del 2002, che per la verità da alcuni studiosi è stato giudicato eccessivamente invasivo, è stato anche possibile effettuare una completa ricognizione del lato del lino normalmente non visibile, avendo conferma di quanto abbiamo sopra già accennato, cioè che da questa parte del tessuto non esiste alcuna traccia dell’immagine sindonica, mentre sono ben visibili le macchie di sangue, che hanno attraversato il tessuto.

La fede e la tradizione del popolo cristiano hanno da sempre riconosciuto la straordinaria coincidenza fra i racconti evangelici della passione di Cristo e i segni lasciati dall’Uomo della Sindone su questa misteriosa tela, segni che sono apparsi ancor più evidenti da quando è stato possibile osservarli con la fotografia ed altre tecniche moderne.   La tradizione non ha mai avuto ragionevoli dubbi che la Sindone sia effettivamente stata il lenzuolo nel quale Gesù fu avvolto dopo la sua morte in croce, tant’è vero che tutta l’iconografia bizantina del volto di Cristo, e l’arte dei successivi secoli, ne hanno ripreso i tratti fondamentali.   Pur tuttavia la Chiesa Cattolica non obbliga i suoi fedeli a credere all’autenticità di questa reliquia (del resto è noto che alcune reliquie, venerate con entusiasmo e convinzione dai fedeli, non hanno superato esami storico-scientifici molto meno approfonditi di quelli a cui è stata sottoposta la Sindone, ed è pure ben noto che tra i più accaniti critici della stessa Sindone ci sono stati anche alcuni ecclesiastici), né d’altra parte la Chiesa si è tirata indietro di fronte a qualsiasi approfondimento sulle origini del sacro lino, che segua i rigorosi metodi delle analisi storico-critiche e scientifiche.
Ma la Sindone sembra in qualche modo sfuggire alle indagini, e resta un paradigma del nostro rapporto con la realtà, la quale è piena di indizi e di tracce del Creatore, che però non costringono e non schiacciano la volontà dell’uomo con la forza di una dimostrazione matematica e lo lasciano libero di aderire, o meno, alla presenza discreta del Mistero.
Così, anche per questa traccia che il Redentore ha voluto lasciarci della sua incarnazione, il metodo sembra lo stesso.   Agli occhi di chi ha fede la Sindone è apparsa, fin dai primi secoli della cristianità, come la “fotografia”, o piuttosto la maschera funebre di Cristo, mentre per chi è scettico è sempre possibili avanzare dubbi o ipotizzare spiegazioni alternative, più o meno legate ai fenomeni naturali.
Forse è Dio stesso che vuole così, non solo per lasciarci liberi di aderire a Lui, ma anche affinché noi non possiamo mai impossessarci completamente delle “prove” della sua esistenza, facendole diventare un motivo per esercitare il nostro potere.   Una tentazione sempre presente per l’uomo, come suggerisce la storia di questa stessa reliquia, trafugata sanguinosamente dai crociati ad altri cristiani, e usata per secoli dalla dinastia dei Savoia per legittimare il suo potere.

Clicca qui per andare al video dell’incontro “La verità della Sacra Sindone” organizzato il 1° Marzo 2010 dal Centro Culturale di Milano (cMc).  Clicca qui per i dettagli dell’incontro.

Clicca qui per andare sul sito ufficiale della Santa Sindone ove sono reperibili tutte le informazioni sull’Ostensione in corso a Torino sino al 23 Maggio prossimo.