Avvenire, 4 febbraio 2010, di Alessandra Turchetta
Chi nel panorama della ricerca segue l’evoluzione degli studi sulle staminali adulte in qualche modo si aspettava il risultato reso pubblico appena una settimana fa dall’Università di Stanford [vedi box in fondo]: cellule direttamente trasformate in neuroni, senza la necessità della riprogrammazione (cioè del loro ringiovanimento a uno stato simil-embrionale). «Si tratta di una notizia molto importante», commenta Paolo De Coppi, il ricercatore italiano che ha scoperto la presenza di cellule staminali nel liquido amniotico con capacità simili a quelle embrionali: «Utilizzando una mix di geni specifici il gruppo di Wernig ha scoperto che cellule della pelle di embrione di topo e anche di topo neonato possono essere ‘transdifferenziate’ in cellule neuronali». Un’operazione – lo ricordiamo – che non presuppone la distruzione di embrioni per la ricerca, proprio come quella con cui Yamanaka ottenne le prime cellule «ringiovaite» (le cosiddette pluripotenti indotte). «È un altro grosso passo avanti nel campo della medicina rigenerativa – continua De Coppi – che mostra come, probabilmente, non sarà necessario nemmeno riprogrammare completamente una cellula per ottenerne il cambiamento, evitando così anche i rischi associati a tale processo come ad esempio la tumorigenesi, ma semplicemente basterà indirizzarla verso il tessuto di interesse». Rimane però aperto un quesito, almeno secondo il ricercatore emigrato a Londra: se tale processo, cioè, «sarà possibile anche per tessuti più distanti, cioè provenienti da foglietti germinali diversi (in questo caso, pelle e tessuto nervoso hanno la stessa origine, ndr).
«Ritengo questa scoperta di grande interesse. Come sempre, si aprono orizzonti nuovi per la conoscenza scientifica», afferma dal canto suo Ornella Parolini, direttore del Centro di ricerca ‘Eugenia Menni’ (Crem) della Fondazione Poliambulanza di Brescia, ricercatrice di fama internazionale nel campo delle staminali isolate da placenta. «Sicuramente in linea con una ricerca etica. Credo però che non si possa concludere che questi risultati tolgano valore o possano cambiare la visione del concetto di staminalità o dell’utilizzo di staminali nella medicina rigenerativa. Gli studi sono infatti preliminari e sono condotti, per il momento, solo su cellule di topo e su una popolazione eterogenea contenente anche cellule non completamente differenziate, pertanto vanno estesi anche ad altre popolazioni cellulari, come gli stessi autori suggeriscono». La Parolini si chiede poi se il fenomeno sia reversibile: se queste cellule, cioè, una volta trapiantate in vivo rimangano neuroni oppure continuino a mantenere anche le caratteristiche delle cellule di partenza, che potrebbero non essere richieste e neppure desiderate là dove vengono impiantate. Altro punto critico per la Parolini sono i lentivirus impiegati come vettori per introdurre i geni: «Sappiamo che possono essere pericolosi se si integrano in punti incontrollati del Dna – spiega –. Insomma, complimenti agli autori, ma occorrerà ancora tanto lavoro e verifiche per parlare di rivoluzione nella clinica».
«Questo risultato migliora lo scenario già esistente», aggiunge Angelo Vescovi, illustre studioso delle staminali neuronali. «E mi fa molto piacere che ora la tecnica del transdifferenziamento riceva la dovuta attenzione, cosa che non accadeva anni fa. Nel 1999, infatti, pubblicai un lavoro su Science insieme con il collega canadese Chris Bjornson: riuscimmo a ottenere la trasformazione di staminali adulte neuronali in cellule del sangue ma allora la notizia non suscitò lo stesso interesse né era facile trovare finanziamenti per questo filone di ricerca. Ben venga, dunque, la svolta. Il risultato raggiunto è coerente con l’espansione degli studi sulle staminali a cui abbiamo assistito negli ultimissimi anni, a partire dal boom della riprogrammazione messa a punto da Yamanaka per ottenere le staminali pluripotenti indotte, le cosiddette ‘Ips’. Qui si salta il passaggio all’indietro ma non si perde affatto il concetto di staminalità che è il presupposto di questo ulteriore avanzamento. Sono, cioè, tutti aspetti di uno stesso fenomeno che dimostrano come il destino di una cellula adulta non è affatto immodificabile».
box: A Stanford le cellule adulte si trasformano in neuroni
La medicina rigenerativa si avvale di un altro importante risultato: una cellula adulta già specializzata è stata direttamente trasformata in un’altra, senza il passaggio all’indietro allo stadio di pluripotenzialità. In termini tecnici si chiama ‘ transdifferenziamento’ ed è la procedura portata a termine da un gruppo dell’Università californiana di Stanford guidato da Marius Wernig. Esattamente, cellule della pelle sono state trasformate in neuroni e l’esperimento è stato condotto su fibroblasti di topo prelevati da feti o animali appena nati. Attraverso la manipolazione con tre geni capaci di innescare il cambiamento, isolati dopo lunghe analisi fra un gruppo più ampio di geni coinvolti nello sviluppo dei neuroni, in soli 12 giorni le cellule del connettivo sono diventate in provetta neuroni a tutti gli effetti, in quanto testate per le loro proprietà specifiche. La procedura, ribattezzata ‘riprogrammazione diretta’, ha dato risultati rapidi e efficaci ma gli autori ipotizzano un miglioramento dei tempi e della tecnica attraverso la scelta ottimale del cocktail di geni da inserire nella cellula. L’importanza della ricerca pubblicata su Nature , oltre ai possibili nuovi scenari che fa aprire nel settore sempre più indagato e promettente della medicina rigenerativa, sta nell’essere un’ulteriore dimostrazione di come l’acquisizione di un determinato destino cellulare allo stadio adulto sia un fenomeno del tutto reversibile.