Corriere della Sera, 8 gennaio 2010, di Antonio Carioti
I libri sulla Sindone dell’archivista vaticana Barbara Frale, editi dal Mulino, suscitano reazioni discordi. In particolare un crescente scetticismo si registra proprio in campo cattolico, benché l’autrice sia convinta sostenitrice dell’autenticità del lenzuolo di Torino, la cui prossima ostensione, dal 10 aprile al 23 maggio, acuisce l’interesse dell’ opinione pubblica. Il primo saggio della Frale “I Templari e la Sindone di Cristo”, che identificava il misterioso telo con l’ idolo venerato dai celebri cavalieri, è stato valorizzato dall’ «Osservatore Romano» e attaccato dal settimanale della diocesi torinese, «La Voce del Popolo», che ha ripreso la stroncatura di Gaetano Ciccone e Gian Marco Rinaldi nel sito http://sindone.weebly.com. Sul secondo volume della Frale appena uscito, La Sindone di Gesù Nazareno (pagine 375, 28), che afferma la presenza sul lenzuolo di scritte del I secolo d.C. (tra cui, in greco, esou e nnazarennos, interpretabili come Gesù Nazareno), «L’Osservatore Romano» tace, mentre il quotidiano dei vescovi «Avvenire» ha rilanciato le critiche di esperti del Centro internazionale di sindonologia (Cis) di Torino. Tra questi monsignor Giuseppe Ghiberti, presidente della commissione diocesana per la Sindone, che dichiara al «Corriere»: «Sarei ben lieto che fosse provata un’ origine del telo risalente all’epoca romana. Ma è l’ esistenza stessa delle scritte sulla Sindone a non trovare riscontri». Lo spiega Bruno Barberis, direttore del Cis: «Le elaborazioni al computer su cui si basa la Frale hanno scarso valore, in quanto realizzate su foto in bianco e nero scattate da Giuseppe Enrie nel 1931, con lastre ortocromatiche che danno un’ottima resa estetica, ma per la loro grana pesante forniscono un’informazione ottica assai inferiore a quella di una foto a colori e sono inadatte a un esame scientifico. Ora ci sono le immagini ad altissima definizione realizzate dalla società Hal9000 ed è su quelle che bisogna cercare eventuali segni». La Frale replica ricordando che le scritte, da lei considerate come tracce del certificato di morte di Gesù stilato su cartigli di papiro da un necroforo ebreo, sono state individuate nel 1998 da scienziati francesi del prestigioso Institut d’Orsay: «Il lavoro di André Marion e Anne-Laure Courage è uscito su una rivista di fisica ottica e ha ottenuto un premio importante. Non credo fossero vittime di allucinazioni». Ghiberti però nota che abbiamo anche foto a colori del retro della Sindone, sul quale sarebbero stati incollati i cartigli, rimasto a lungo invisibile perché coperto dalla fodera cambiata con il restauro del 2002: «È stato pubblicato tutto, con un’accurata relazione scientifica, da Mechthild Flury-Lemberg: sul retro del telo si vedono le tracce di sangue, non si vede la figura umana e non appaiono scritte». La Frale obietta: «In realtà le foto di Enrie forniscono più informazioni di quelle realizzate oggi con procedimento digitale. E poi la Sindone sbiadisce con il tempo, quindi le immagini più recenti sono meno affidabili». Ma Barberis smentisce: «Non è vero che la figura sul telo nel 1931 fosse più visibile di quanto non sia oggi». Altre critiche alla Frale vengono da Andrea Nicolotti, studioso dell’ università di Torino, che ha preparato due saggi in materia per il sito www.christianismus.it: «La manipolazione indiscriminata di immagini ottenute sulla base di una lastra fotografica vecchia di ottant’ anni può facilmente favorire la formazione accidentale di segni e sagome non presenti sull’ originale, che con un po’ di immaginazione possono far pensare a una scritta. Ma anche ammettendo, e non concedendo, che le scritte ci siano davvero e che a Gerusalemme ci fosse qualcuno che appiccicava papiri sulle lenzuola dei cadaveri, nel guazzabuglio di parole spezzate, mal disposte e sgrammaticate, scritte in tre diverse lingue, che risulterebbe dalle foto, sembra comunque impossibile riconoscere la traccia di un certificato di sepoltura di Gesù. Tra l’ altro la Frale nel suo libro compie macroscopici errori di grammatica e ortografia della lingua ebraica». L’ autrice difende il suo lavoro: «Succede sempre che di fronte a novità clamorose si manifesti un forte scetticismo. Ma quelle scritte hanno una forma assolutamente compatibile con un documento databile al I secolo d.C. E antiche fonti ebraiche avvalorano la mia tesi. I cartigli erano documenti bilingui, in greco e in aramaico, due idiomi che si usavano normalmente nella Palestina dell’ epoca. Poi c’ è un inserto latino, tratto dalla sentenza di Ponzio Pilato. È vero che il testo, soprattutto nella parte greca, presenta errori di ortografia e grammatica, ma non c’ è da stupirsi, perché perfino a Roma troviamo scritte in latino piene di strafalcioni». Nicolotti riapre anche la questione dei Templari: «Nel libro precedente Barbara Frale non ha riprodotto il testo latino dei brani di cui fornisce la traduzione. Ha trascritto solo poche parole, tra cui le più importanti di tutte, riferibili alla Sindone, sarebbero signum fustanium, cioè oggetto di fustagno, di stoffa. Ma dal manoscritto risulta chiaramente che la parola fustanium non esiste: il testo dice fusteum, cioè oggetto di legno. Quindi la Sindone non c’ entra». Una tesi sostenuta anche da Rinaldi e Ciccone, nonché da uno storico medievista, Massimo Vallerani, autore di un articolo assai severo verso la Frale su «Historia Magistra», rivista edita da Franco Angeli e diretta da Angelo d’ Orsi.
L’ autrice spiega le sue ragioni: «La lettura signum fusteum, proposta dai miei critici, non ha senso, perché signum nel latino medievale indica un’ entità bidimensionale, un disegno, mentre fusteum è qualcosa ricavato dal fusto di un albero, necessariamente tridimensionale. Invece fustanium è un panno, che ha appunto due dimensioni come un foglio di carta. Perciò è la lettura corretta». Nicolotti non ci sta: «Bidimensionale? Il vocabolo signum era usato comunemente nel Medioevo per indicare oggetti di varia foggia; per esempio in quel periodo un pellegrino chiama signum la statua equestre di Marco Aurelio in Campidoglio». Vallerani concorda: «La Frale nega l’ evidenza, riscontrabile per esempio sul Glossarium mediae et infimae latinatis del Du Cange. Inoltre ha isolato singole frasi da un contesto di interrogatori in cui i Templari confessavano anche di aver sputato sul crocifisso. Lo ha fatto perché non avrebbe avuto senso l’ adorazione della presunta Sindone (in realtà un idolo di legno) insieme al rinnegamento del simbolo cristiano». La Frale replica che bisogna distinguere: «Una cosa sono le ammissioni di colpa strappate con la tortura; un’ altra le poche descrizioni dell’ idolo prive di elementi demoniaci e quindi affidabili».
L’ autrice spiega le sue ragioni: «La lettura signum fusteum, proposta dai miei critici, non ha senso, perché signum nel latino medievale indica un’ entità bidimensionale, un disegno, mentre fusteum è qualcosa ricavato dal fusto di un albero, necessariamente tridimensionale. Invece fustanium è un panno, che ha appunto due dimensioni come un foglio di carta. Perciò è la lettura corretta». Nicolotti non ci sta: «Bidimensionale? Il vocabolo signum era usato comunemente nel Medioevo per indicare oggetti di varia foggia; per esempio in quel periodo un pellegrino chiama signum la statua equestre di Marco Aurelio in Campidoglio». Vallerani concorda: «La Frale nega l’ evidenza, riscontrabile per esempio sul Glossarium mediae et infimae latinatis del Du Cange. Inoltre ha isolato singole frasi da un contesto di interrogatori in cui i Templari confessavano anche di aver sputato sul crocifisso. Lo ha fatto perché non avrebbe avuto senso l’ adorazione della presunta Sindone (in realtà un idolo di legno) insieme al rinnegamento del simbolo cristiano». La Frale replica che bisogna distinguere: «Una cosa sono le ammissioni di colpa strappate con la tortura; un’ altra le poche descrizioni dell’ idolo prive di elementi demoniaci e quindi affidabili».