Una candela a 2 milioni di km

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Il 30 novembre 1609 Galileo catturò l’intimità della Luna. Rivolgendo il suo cannocchiale all’astro più brillante del cielo notturno, scoprì qualcosa che nessuno aveva mai visto prima: la superficie del nostro satellite non era perfettamente levigata (come invece ritenevano le teorie aristotelico-tolemaiche allora in voga), ma rugosa e irregolare.
Fu la prima di una serie di prove sperimentali che avrebbero messo in discussione secoli di insegnamenti ecclesiastici e ridimensionato per sempre l’egocentrismo dell’uomo come unica creatura nell’Universo.
Nessun altro strumento ha inciso tanto nei modi di intendere noi stessi come il telescopio e, a distanza di 400 anni da quella pietra miliare della scienza moderna, una nuova generazione di enormi cannocchiali è pronta per riscrivere le tante teorie, spesso non confermate, del cosmo. Tra questi, c’è il Large Binocular Telescope in Arizona, un doppio telescopio dotato di specchi primari di 8,4 metri ciascuno e la cui costruzione ha coinvolto aziende statunitensi, tedesche e italiane.
Unico nel suo genere, lavora a pieno ritmo dalla primavera del 2008 con una risoluzione d’immagine equivalente a quella che otterrebbe un telescopio monoculare di 22,8 metri di diametro. 
Meglio di Hubble 
Questa caratteristica permette di rivelare la luce di una candela a 2,5 milioni di chilometri di distanza, rendendolo superiore per prestazioni perfino al telescopio orbitante Hubble. E, sebbene molti possano pensare che in questo paragone l’assenza dello «schermo» dell’atmosfera sia un punto a favore dell’osservatorio orbitante, l’utilizzo dell’«ottica adattiva» (come è spiegato nella scheda) sta riducendo sempre di più la distanza tra lo spazio e la Terra in termini di qualità di immagini astronomiche. Da qualche anno, infatti, l’applicazione di questa tecnica è il fiore all’occhiello di molti telescopi, come per esempio il Gran Telescopio de Canarias – il GranTeCan – installato a oltre 2400 metri nell’isola La Palma. Inaugurato il 24 luglio scorso, è il più grande al mondo attualmente in funzione: è costituito da uno specchio primario, che è composto di 36 elementi esagonali, uniti a formare una superficie equivalente a quella di un unico specchio circolare di 10.4 metri di diametro.
Eppure, nonostante il suo primato, il GranTeCan è già destinato a diventare il fratello minore di una famiglia di telescopi che presto saranno i protagonisti di un’ennesima rivoluzione scientifica. Dal 2015, infatti, sarà operativo sulle Ande cilene di Cerro Pachón il Large Synoptic Survey Telescope (LSST), «il primo telescopio capace di catalogare un numero di oggetti celesti maggiore di quello delle persone presenti sulla Terra», secondo la definizione di Zeljko Ivezi, ricercatore dell’Università di Seattle. Benché il suo «occhio» di 8,4 metri di diametro sia inferiore a quello del GranTeCan, l’LSST è dotato di un’area per la raccolta di fotoni corrispondente a quella di circa 50 lune piene e, quindi, è in grado di studiare l’intera volta celeste in appena poche notti.
L’esercizio verrà ripetuto più volte in modo da unire tutte le immagini e realizzare così il primo film dell’Universo visibile, accumulando un terabyte di dati durante ogni notte di osservazione. «In pratica, in un’unica nottata, questo gigantesco telescopio farà il lavoro che quelli odierni svolgono in un anno intero», continua Ivezi. Comparando le immagini effettuate durante notti differenti, sarà perciò possibile scovare fenomeni fugaci, e ancora in parte enigmatici, come le esplosioni di supernove, ma anche eseguire un accurato monitoraggio degli asteroidi più piccoli, che potrebbero raggiungere la superficie terrestre.
Diametro di 100 metri
Tuttavia per riuscire a studiare gli oggetti celesti più lontani e più deboli del cielo è necessario disporre di  osservatori dalle dimensioni ancora più elevate, dal momento che tanto maggiore è la quantità di luce rilevata quanto più grande è il diametro dello specchio primario del telescopio. Partendo da questi presupposti, negli ambienti dell’European Southern Observatory (ESO) era nata, qualche anno fa, l’idea di un telescopio con un diametro di 100 metri, l’Overwhelmingly Large Telescope (OWL), successivamente sostituito per i costi insostenibili da un altro, soprannominato European Extremely Large Teescope (E-ELT).
Si deve ancora decidere dove installarlo – Canarie, Cile, Marocco e Argentina sono tra i Paesi candidati – ma di sicuro l’E-ELT sarà il più caro dei telescopi mai realizzati, con un costo non inferiore ai 950 milioni di euro. Eppure, secondo Roberto Gilmozzi dell’ESO, che è il principale responsabile del progetto, con i suoi 42 metri «l’E-ELT permetterà di fare un ulteriore salto di qualità, proprio come quando Galileo Galilei smise di scrutare il cielo a occhio nudo».