Astrobiologia, nuova sfida per i teologi

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

È  un tema che fa venire le vertigini, quello della possibilità della vita, e della vita intelligente, al di fuori di quella presente nel nostro pianeta. Ma la Chiesa non ha paura di affrontarlo. E lo fa ai massimi livelli. In Vaticano, riunendo i massimi esperti del campo. Merito della Specola Vaticana, guidata dal padre gesuita José Gabriel Funes, argentino, che ne è il direttore.

 Padre Funes, perché affrontate una disciplina così particolare come l’astrobiologia?
«L’iniziativa nasce all’interno dell’Anno dell’astronomia. E il tema dell’astrobiologia ci è sembrato particolarmente adatto per la Pontificia accademia, perché richiede la partecipazione di diverse discipline scientifiche: astronomia, biologia, geologia, fisica. Senza contare poi che il tema della ricerca di forme di vita nell’universo è appassionante…».

Si tratteranno solo gli aspetti scientifici del problema o si toccheranno anche le eventuali implicazioni filosofiche e teologiche?
«Certamente queste implicazioni ci sono. Ma in questo convegno sono stati invitati solo scienziati. In futuro se ne potrebbe pensare ad un altro  invitando invece filosofi e teologi».

Immaginare la vita intelligente al di fuori del nostro pianeta provoca una vertigine e, a un credente, pone delle domande serie anche su questioni di fede. Lei si è posto questo tipo di domande?
«Più che pormele, mi vengono fatte». 
 
 
E che risposte dà?
«Qui siamo nel campo delle ipotesi. Finora infatti non abbiamo prove dell’esistenza di forme di vita nell’universo. Vedremo da questo convegno se verranno fuori dati interessanti sull’argomento. E così per prima cosa bisogna vedere appunto se c’è vita fuori della Terra. Poi bisogna verificare se, e qui il ‘se’ è molto grande, esistono forme di vita  intelligente.
D’altra parte sappiamo che nell’Universo esistono miliardi di galassie, ciascuna di esse può avere cento miliardi di stelle, e queste stelle possono avere dei pianeti simili al nostro. Ci può essere quindi una probabilità che da qualche parte si sia sviluppata una vita in un modo più o meno simile a quello che è successo sulla Terra. Questa ipotesi non si può escludere».

In passato questa ipotesi è stata ventilata o studiata nella Chiesa?
«Questa ipotesi la faceva anche padre Angelo Secchi, che fu direttore dell’Osservatorio del Collegio romano nell’Ottocento. Non c’è nulla di nuovo. Se non che ora abbiamo più dati scientifici».

E padre Secchi non venne messo sotto inchiesta dal Sant’Uffizio?
«No. E neanche io. Per adesso [sorride,ndr]».

Ma tutte queste ricerche non possono mettere in crisi l’immaginario dei semplici fedeli, legati ad un linguaggio o ad una iconografia in cui il Cielo ha un significato ben preciso che mal si concilia il progresso scientifico?
«Questa è una sfida pastorale. Come spiegare, cioè, i nostri misteri della fede – ad esempio la creazione, l’incarnazione e la sua unicità – oppure cosa significa la parola cielo nella Bibbia, o l’Ascensione di Nostro Signore o l’Assunzione della Beata Vergine Maria. L’Apocalisse parla di cieli nuovi e terra nuova, ma l’autore sacro non sta parlando delle galassie. Molte volte le incomprensioni tra scienza e fede nascono da una non sufficiente conoscenza reciproca».

In che senso?
«Nella Chiesa non tutti devono essere astronomi ma i teologi, come diceva Giovanni Paolo II, dovrebbero essere più informati dei risultati della scienza. Dall’altra però gli scienziati dovrebbero essere più informati su cosa è la Chiesa e su cosa dice la Bibbia. Su questo molti hanno una idea un po’ primitiva. Pensano di avere di fronte la Chiesa di alcuni secoli fa, invece abbiamo fatto dei progressi…».

Per il suo lavoro ha modo di avere contatti costanti col mondo scientifico.
Come viene vista la Chiesa in quel mondo?
«Qualcuno può avere ancora qualche riserva. Ma forse si tratta di chi non conosce quello che fa la Santa Sede attraverso, ad esempio, le pontificie accademie e la Specola.
Altri invece, che hanno avuto la possibilità di collaborare o di partecipare all’attività di queste istituzioni, e non si tratta solo di cattolici, hanno un grande rispetto per quello che fanno la Chiesa, il Vaticano per le scienze. E di questo ho avuto una esperienza recente».

Quando?
«Lo scorso 30 ottobre il Papa ha incontrato in udienza i partecipanti all’incontro promosso dalla Specola in questi giorni. Ho potuto vedere da vicino gli astronomi che hanno ringraziato il Papa per le sue parole. Non solo. Ma il discorso del Santo Padre è stato inserito nel sito internet dell’Anno internazionale dell’astronomia».

Col Papa ha mai avuto modo di parlare delle implicazioni teologiche delle scoperte astronomiche di cui si parlava prima?
«Sono stato ricevuto in udienza dal Papa circa un anno fa. E gli ho illustrato le nostre iniziative.
Quest’estate poi il pontefice ha inaugurato i nuovi locali della Specola e si è intrattenuto con noi per un’ora. Non si sono trattati specificatamente questi argomenti e il Papa ci ha incoraggiato nel proseguire il nostro lavoro».