Adesso il mondo inizia a chiedersi: che fine ha fatto il global warming?

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Il Foglio, 23 ottobre 2009, di Piero Vietti
L’autorevole quotidiano francese Le Monde, mercoledì apriva la prima pagina con una grande foto di un iceberg in Groenlandia e un titolo a tre colonne su due righe: “Clima: il riscaldamento segna una pausa?”. L’articolo, pur sostenendo l’origine antropica del riscaldamento globale, spiegava che “le temperature potrebbero leggermente abbassarsi da qui a dieci-vent’anni”. Ecco perché “il dibattito tra gli esperti rende più difficile la conclusione di un accordo a Copenaghen”. Per “Copenaghen” si intende il grande summit mondiale che a dicembre vedrà tutti i paesi del mondo impegnati a firmare un documento comune per combattere i cambiamenti climatici.
Il termine interessante nell’articolo del Monde è “dibattito”, parola che da qualche anno era scomparsa dagli scritti sull’argomento.

Il dibattito – si diceva – è finito, ormai è chiaro che l’uomo è responsabile dell’innalzamento delle temperature sul nostro pianeta. Ultimamente, almeno fuori dall’Italia, sembra che questa non sia più una certezza: testate storicamente schierate con il catastrofismo spinto, sempre più scienziati e una grossa fetta di opinione pubblica stanno ritrattando la definitività delle loro posizioni. Ammettono cioè che forse il dibattito non è del tutto chiuso. Anche perché nel mondo fa freddo. Qualche esempio: la stagione calda 2008-2009 dell’emisfero sud della Terra ha fatto segnare un record non di poco conto: mai, da quando sono iniziate le misurazioni, era capitato che si sciogliesse così poco ghiaccio. In diversi paesi europei come l’Austria e la Polonia, nevicava a inizio ottobre, negli Stati Uniti si sono toccate temperature basse come mai negli ultimi cinquant’anni e in Alberta, Canada, non faceva così freddo dal 1928.
“Che cosa è successo al Global Warming? Così le basse temperature stanno iniziando a scuotere la teoria del riscaldamento globale”, titolava il Daily Mail qualche giorno fa facendo eco al “Che è successo al global warming?” della Bbc della settimana prima. “Questo titolo potrebbe sorprendervi – scriveva l’articolista inglese – così come sapere che l’anno più caldo registrato globalmente non è né il 2007 né il 2008, ma il 1998. Eppure è vero. Negli ultimi undici anni le temperature non sono aumentate”.

Negli stessi giorni, segnalato dal Times e ripreso dal Corriere della Sera, si scopriva che “il diario di Cook svela che il clima è immutato”. Cook è James Cook, famoso esploratore britannico di fine Ottocento. Le note metereologiche contenute nei suoi diari di viaggio e rilette oggi ci dicono che da una parte negli ultimi 190 anni il livello dei ghiacci della baia di Baffin si è ridotto in modo “lieve ma significativo”, ma altre misurazioni suggeriscono che la temperatura dei mari artici è cambiata di poco o niente e che nell’artico norvegese a inizio Ottocento le temperature rilevate in estate non erano molto più fredde di quelle registrate alla fine del Novecento.

Che cosa significa tutto questo? Di sicuro che l’osservazione della realtà comincia a introdurre dubbi nelle previsioni fatte al computer con modelli non ancora verificati. Questo fa sì che i cosiddetti scettici si stiano liberando della definizione di “negazionisti” coniata per loro da chi riteneva chiuso il discorso sul clima e comincino a far sentire la loro voce. Il film “Not evil, just wrong” è un esempio in tal senso: uscito pochi giorni fa, è un contro-documentario che critica le “verità scomode” del lungometraggio con cui l’ex vicepresidente americano Al Gore vinse l’Oscar e il Nobel per la Pace nel 2007. Diretto da Phelim McAleer, “Non cattivo, semplicemente sbagliato” cerca di frenare l’isteria che il catastrofismo à la Gore ha generato negli ultimi anni. Al è in difficoltà, e non solo per la sorta di “nuvoletta di Fantozzi” che tradizionalmente lo accompagna quando parla di global warming in giro per il mondo (dove arriva lui si registrano quasi sempre temperature sotto la media), ma perché in troppi si stanno accorgendo delle esagerazioni apocalittiche che contraddistinguono i sostenitori del riscaldamento globale per cause antropiche: la scorsa settimana, dopo quattro anni passati lontano da domande scomode, Al Gore ha accettato di partecipare a una sorta di conferenza stampa in cui avrebbe risposto a tutte le domande dell’associazione dei giornalisti ambientali, la Society of Enironmental Journalists. A quell’incontro c’era anche, come membro effettivo dell’associazione, Phelim McAleer, regista di “Not evil, just wrong”, che a un certo punto ha chiesto la parola e, ottenutala, ha domandato ad Al che cosa pensasse dei “nove importanti errori” che un giudice inglese ha individuato nel suo film, tanto da vietarne la proiezione nelle scuole inglesi. Gore ha risposto dicendo che nelle scuole invece il suo film è stato fatto vedere, ma McAleer ha insistito, chiedendo al premio Nobel di entrare nel merito, volendo sapere se avrebbe fatto qualcosa per riparare a quegli errori. A quel punto McAleer è stato circondato da due energumeni che lo hanno invitato fisicamente a tacere, con – nitida – la voce di uno dei responsabili dell’associazione di giornalisti che, rivolto alla sala regia, diceva: “Kill the mic!”, “spegnigli il microfono”.

Quando si alza il tono dello scontro si ammettono implicitamente delle difficoltà. Così il governo inglese guidato da
Gordon Brown (che due giorni fa spiegava che se a Copenaghen non si raggiungerà un accordo la Terra ha i giorni contati) ha messo in onda uno spot dedicato ai bambini sui pericoli che derivano dalla produzione di CO2. Non riuscendo ad avere presa sugli adulti nonostante i messaggi sui media siano a senso unico (tutti i sondaggi dicono che la gente è più preoccupata di economia e terrorismo che dei cambiamenti climatici) provano a spaventarli fin da piccoli: nel commerciale andato in onda questa settimana si vede un papà che racconta la favola della buonanotte alla piccola figlia che ascolta la storia con volto spaventato: “Cera una volta un paese in cui il clima era diventato molto molto strano”, dice il babbo; gli scienziati avevano detto che la colpa era della CO2 e che per questo molte città sarebbero state sommerse e i bambini avrebbero perso i loro cuccioli travolti da catastrofi naturali. Come combattere tutto questo? Ad esempio spegnendo la luce in camera quando non serve. “C’è un lieto fine?”, chiede la bimba spaventata. “Dipende da te”, risponde la voce fuori campo. Oltre alla grossolanità della soluzione prospettata nello spot, questa campagna (costata sei milioni di sterline al governo britannico) ha scatenato le ire di moltissimi genitori oltre che dell’opposizione conservatrice: “Una pubblicità – ha detto Philip Davies – che rivela quanto logoro sia il punto di vista del governo se decide di spaventare i ragazzini per combattere il cambiamento climatico”. Ma il portavoce del dipartimento per il cambiamento climatico ha risposto che “per proteggere la prossima generazione dobbiamo motivarla”. Appunto, non terrorizzarla.

Lo spot in questione
è però in linea con gli allarmismi del premier inglese, che ha da poco dichiarato che “la Conferenza sul clima di Copenaghen è l’ultima possibilità per raggiungere un accordo globale, ridurre le emissioni ed evitare il disastro. Se non raggiungeremo un’intesa non ci sono dubbi: una volta che il danno delle emissioni è fatto, sarà troppo tardi”. In effetti col passare dei mesi l’appuntamento danese è passato da momento catartico e decisivo per il futuro dell’umanità a semplice punto di incontro dei vari potenti del mondo per riempirsi la bocca di clima. Così diversi politici già avvertono che non ci si deve aspettare molto da quello che nell’immaginario comune dovrebbe essere un “Kyoto 2”.
Come nel romanzo di Michael Crichton “Stato di paura”, più il meeting sul clima si avvicina più i media rilanciano i disastri per spaventare l’opinione pubblica e incastrare Obama e compagnia alle loro responsabilità. Responsabilità (vere o presunte che siano) di cui già approfittano non pochi paesi poveri: a fine agosto dieci paesi africani si sono riuniti per chiedere ai paesi industrializzati 46 miliardi di dollari perché per colpa loro in Africa fa caldo. Se il conto non verrà pagato, hanno avvertito, Copenaghen rischia di saltare.

In tutto questo per fortuna il dibattito sulle vere cause del global warming si è riaperto, e ciò non può che giovare alla causa. L’articolo del Monde, oltre a sostenere che lo stop al riscaldamento globale non significa assolutamente che l’uomo non ne sia il responsabile, ammetteva che questo “raffreddamento” potrebbe essere dovuto a cause naturali. E questa è una notizia: a leggere certe cose, negli ultimi tempi, sembrava che la natura fosse stata ormai sostituita in toto dall’uomo.