Dal 1987 si svolge ogni anno a Venezia, all’Università “Ca’ Foscari”, il convegno «Matematica e Cultura», che ha lo scopo di approfondire le possibili connessioni tra la matematica e altri aspetti del sapere.
Questa iniziativa è ideata e organizzata da Michele Emmer, matematico che insegna “Atelier di disegno industriale e Istituzioni matematiche” all’Università “La Sapienza” di Roma. Impegnato nel campo della cultura scientifica e non, ha vinto il premio Galilei nel 1998 e ha realizzato numerosi film e DVD sul tema «arte e matematica».
Nel mese digiugno 2006 ci ha rilasciato la seguente intervista.
Matematico, regista, critico d’arte, appassionato di matematica, arte e cinema e a tutte le forme di divulgazione della cultura in generale; come si definirebbe?
Una persona che è piena di interessi, che è pronta a cogliere qualsiasi stimolo, che osserva, che si guarda intorno, che legge, che ascolta, che va al cinema, a teatro, ai concerti, all’opera, alle mostre. Sempre attento a ciò che succede intorno. Credo che sia una caratteristica ereditata da mio padre. Un regista di cinema è un osservatore, in fondo.
Dieci anni di Matematica e Cultura a Venezia. Da un convegno di matematica molti si aspetterebbero teoremi, dimostrazioni, congetture, calcoli e proposte tecniche e didattiche, mentre lei, nella sua Lettera aperta edita da Venezia Viva,dove fa il punto di dieci anni di Convegno, parla di incontri, di esperienze vissute. Anche chi fosse passato solo distrattamente per Palazzo Santa Margherita durante i giorni della manifestazione, ha notato un clima diverso. Ci può spiegare meglio? Perché Venezia? Qual è il legame tra lei, la matematica e la città «unica al mondo»?
Di convegni se ne fanno tanti in tutto il mondo ed è giusto così, anche se sono francamente troppi, specie quelli in cui gli argomenti trattati sono un poco vaghi. La scelta di Venezia era per riuscire a creare un luogo di incontro, di discussione che coinvolgesse artisti, scienziati, scrittori, registi, attori in modo non banale, non come un festival in cui si va per strappare un brandello di parole dallo scrittore più in voga, ma in cui si è profondamente coinvolti. Cercando in ogni settore di essere molto chiari, precisi, immaginativi, ma rigorosi allo stesso tempo. Non è un caso che non sono ammesse le domande. Tutti, chi parla e chi partecipa, restano lì per tutto il tempo, e gli incontri nei corridoi e nel campo Santa Margherita, sono altrettanto importanti di quelli che avvengono nell’auditorio. Si è creata una comunità che sente il convegno come «suo», che si ritrova, che si incontra, che discute, si emoziona, partecipa. Non era facile e io sono molto orgoglioso di esserci riuscito. Devo dire che, con tanti amici che collaborano da anni, tutto funziona perché prendo io tutte le decisioni, in tempo reale, senza consultare nessuno. Infine il legame con Venezia: città di mio nonno Pietro, ingegnere capo del comune, progettista e costruttore della città di Marghera; di mio padre Luciano, regista che è vissuto tanti anni a Venezia, dove ha iniziato ad amare il cinema; di mio zio Claudio, fotografo d’arte e di sua moglie Nelsa; della nonna di mia moglie sepolta a San Michele; di mio cugino Silvio, che spero sarà sepolto a Torcello dove viveva; di mio figlio Matteo che qui ha studiato e si è sposato; dell’università di Ca’ Foscari dove sono stato per cinque anni e da dove me ne sono andato per motivi personali. È la città dove sono i miei amici, Lilli e Silvano, gli artisti del Centro Internazionale della Grafica, gli amici universitari, gli amici dell’Harry’s Bar dove mi ha introdotto quarant’anni fa Claudio. Quindi Venezia è il luogo dell’incontro. Soprattutto perché Venezia è Venezia, la città di tanti, magica, di Corto Maltese e dell’arte indimenticabile, la città che riserba sempre sorprese.
Per un matematico la visione della realtà avviene attraverso la creazione di modelli; per lei qual è il rapporto tra «astrazione» e «realtà»?
I matematici, una buona metà di loro, ritiene che le idee matematiche esistano, siano del tutto reali, anche se in generale non sono poi così attratti da queste problematiche. Fortunatamente non sappiamo bene che cosa sia la realtà così, come non sappiamo bene che cosa sia la matematica.
Non vi sono dubbi che, per dirla con una frase famosa, la matematica sia irragionevolmente utile. Non vi sono dubbi che leggi e modelli matematici riescano a comprendere, spiegare e prevedere il comportamento del mondo che ci circonda. I modelli matematici servono per affrontare quei problemi che non ammettono una soluzione esplicita, caso tipico le previsioni del tempo. Oggi la modellizzazione matematica è divenuta forse la parte più importante e interessante della matematica moderna. Non credo sia un caso che il congresso mondiale di matematica che si tiene a Madrid nell’agosto di quest’anno si aprirà con una conferenza di Alfio Quarteroni, un matematico applicato italiano tra i più importanti al mondo che si è occupato di modelli matematici per i by pass coronarici, barca Alinghi che ha vinto la Coppa America. Non vi è dubbio che la grande caratteristica, il grande vantaggio della matematica sia nella sua astrazione. La capacità di trattare problemi diversi con uno stesso modello è una questione che ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo. Il computer, risultato di idee astratte, quali l’algebra di Boole, le idee di Turing, i tentativi inglesi di decriptare il sistema nazista Enigma durante la guerra, la tecnologia elettronica, è un esempio straordinario in questo senso. E i progressi della grafica hanno di molto aumentato le nostre capacità di cercare di comprendere il mondo. Anche se, come diceva Shakespeare, ci sono molte più cose in cielo e in terra di quante non ne possano immaginare i filosofi.
Il matematico, e in generale lo scienziato, elaborano modelli che vogliono rappresentare la realtà, rispondendo a criteri di verità. Per questo motivo devono essere creativi e appassionati al reale. Ma il modello possiede dei limiti?
Meno male, altrimenti avremmo capito tutto e non avremmo più motivo per vivere. Non arriveremo mai a comprendere «tutto», la nostra è una ricerca in cui l’utopia della ricerca non finirà mai.
Come intende il rapporto tra matematica e arte?
Ho scritto tanti libri, articoli, ho realizzato film e DVD sull’argomento negli ultimi trenta anni. È una storia lunga quella delle relazioni tra matematica e arte. Ci sono stati momenti in cui questi legami sono stati evidenti, il periodo classico, il Rinascimento, le avanguardie artistiche del Novecento, la computer graphics, altri in cui questi legami sembravano quasi scomparsi. Credo che uno dei testi più interessanti sull’argomento rimanga l’articolo che Max Bill, uno dei «giovani » del Bauhaus, ha scritto nel 1949 sull’approccio matematico all’arte. Tra l’altro in questi giorni vi è una grande mostra di Bill a Palazzo Reale a Milano. La matematica nell’arte, scriveva Bill, non è ovviamente la matematica come la intendono i matematici. Può essere un insieme di suggestioni, di idee, di rapporti, confronti, deformazioni, in cui certo è presente anche l’aspetto tecnico, a volte, ma in cui sono le idee a fornire e suggerire come operare. Pensiamo all’idea della topologia, della trasformazione, così importante nell’architettura contemporanea. D’altra parte, diceva Musil, nella matematica vi è l’essenza dello spirito. E, aggiungeva Bill, non è neppure vero che la matematica sia il regno dell’aridità e della mancanza di emozioni.
Che ruolo giocano nello sviluppo della matematica i criteri estetici: armonia, eleganza, bellezza?
Ho appena finito di scrivere un libro in cui una parte è dedicata a questo argomento. Non vi è alcun dubbio che i matematici abbiano criteri estetici cui riferirsi nella propria attività. Senza che questi criteri arrivino a oscurare gli aspetti più essenziali e fondamentali (correttezza, calcoli, dimostrazioni, eccetera). Il problema è che, ovviamente, i criteri estetici dei matematici non sono facilmente comprensibili da chi matematico non è e, anzi, anche tra di loro i matematici hanno idee molto diverse in proposito, e una parte di loro addirittura non si interessa, anche giustamente, di queste questioni. È stato Platone il primo a dire, a proposito dei poliedri regolari dello spazio a tre dimensioni, che non esistevano oggetti più belli di questi. Per uno scienziato la scoperta è una particolare interazione tra soggetto e realtà. Quali implicazioni può avere questa osservazione nel campo dell’educazione? Io non mi sono mai occupato di educazione, anche se ovviamente ho insegnato per trentacinque anni all’università. Io credo che la caratteristica principale di qualsiasi tipo di educazione sia l’entusiasmo, saper trasmettere entusiasmo in chi ci ascolta, far vedere che noi per primi siamo interessati a quello che vuole trasmettere. Non è facile, è quasi impossibile a scuola, difficile all’università. Certo l’entusiasmo è una conseguenza della conoscenza, e anche del livello di conoscenza, e dunque chi non sa non ce l’ha, non può averlo. E il fascino della scoperta può riguardare anche solo un bambino che dimostra il teorema di Pitagora e in questo processo capisce e fa propria una grande idea.
© Pubblicato sul n° 27 di EMMECIquadro