Nello scorso numero Stanley Jaki aveva argomentato a partire dal Teorema di Incompletezza di Kurt Gödel contro le pretese di alcuni fisici di costruire una Teoria del Tutto che si imporrebbe come necessaria in virtù della sua sola consistenza logica interna. Interviene ora il filosofo della scienza Paolo Musso con alcune osservazioni critiche.
Stanley Jaki, nel suo articolo sulla rilevanza del Teorema di Gödel (TdG) in fisica, solleva una questione di estrema importanza che però richiede anche, a mio avviso, alcune precisazioni. Una delle ragioni, e non l’ultima per importanza, della scarsa popolarità di tale teorema, infatti, è senza dubbio la difficoltà di determinarne l’esatto significato, che, a causa delle sue molteplici sottigliezze, sfugge spesso anche agli addetti ai lavori. Anzitutto diciamo che più che «del» TdG bisognerebbe parlare «dei» TdG: nella sua breve memoria, infatti, Kurt Gödel ne dimostrò ben undici, dei quali quelli davvero importanti sono gli ultimi due. Il primo di essi stabilisce che qualsiasi sistema formale, purché sia abbastanza potente da poter formalizzare almeno l’aritmetica1, se è coerente, allora è incompleto, in quanto in esso si troverà necessariamente almeno una proposizione vera ma indimostrabile, cioè tale da non poter essere dedotta dagli assiomi secondo le regole del sistema. Il secondo afferma invece che è impossibile dimostrare la coerenza di un sistema formale all’interno del sistema stesso.
Le due questioni sono strettamente collegate, ma distinte. In particolare, la seconda è conseguenza logica della prima, ma non viceversa. Gödel infatti dimostrò il primo teorema costruendo (attraverso uno dei procedimenti più sottili e geniali che mai mente umana abbia saputo escogitare) una proposizione G2 esprimibile nei termini dell’aritmetica e tale da asserire la propria indimostrabilità. Ne segue che se G fosse dimostrabile si avrebbe una contraddizione: dunque il sistema può essere coerente solo se G è effettivamente indimostrabile. Tuttavia ciò implica che la proposizione G sia vera: infatti essa proprio questo asserisce, cioè di essere indimostrabile. Questo non è un punto secondario, ma anzi è il perno di tutta l’argomentazione di Gödel. Infatti un sistema non è incompleto solo perché da esso non è possibile dedurre una qualsiasi proposizione. Al contrario, ciò è addirittura inevitabile, se si vuole che il sistema sia coerente: è solo da assiomi contraddittori che è possibile dedurre qualsiasi cosa, cioè, letteralmente, «tutto e il contrario di tutto» come già ben sapevano i medioevali. Un sistema è incompleto se e solo se da esso non è possibile dedurre una qualsiasi proposizione vera (esprimibile nel sistema stesso). Da ciò segue poi l’impossibilità di dimostrare la coerenza all’interno del sistema. Infatti, per la cosiddetta «regola di separazione», necessariamente contenuta in qualsiasi sistema capace di formalizzare almeno l’aritmetica, dalla proposizione «Se il sistema è coerente, allora G è indimostrabile» segue che se la prima parte di essa («Il sistema è coerente») fosse dimostrabile, allora dovrebbe esserlo anche la seconda («G è indimostrabile»), il che però porterebbe a una contraddizione e quindi, contro l’ipotesi, all’incoerenza del sistema stesso. Ciò posto, Jaki ha certamente ragione a sostenere, contro quella che sta diventando una pericolosa tendenza di molta fisica contemporanea, che il TdG proibisce di dimostrare la coerenza logica di un sistema formale e quindi, a fortiori, di dimostrare che esso sia l’unico logicamente possibile, venendo così a coincidere con «la mente di Dio», qualsiasi cosa con ciò si voglia intendere. E Jaki ha ancora ragione quando sottolinea che questa è una vera impossibilità di principio. Spesso si sente dire che il TdG vieterebbe soltanto una prova di coerenza assoluta, ma questa espressione è ambigua, perché la prova «relativa» di coerenza può essere ottenuta solo all’interno di un sistema più potente di quello in esame, il quale però soffrirà a sua volta del medesimo problema: questa strada, dunque, è inconcludente perché conduce a un regresso all’infinito. La reale portata di tale fatto, però, non va eccessivamente sopravvalutata. Infatti, anche se fosse possibile dimostrare la coerenza di un sistema formale, questo non implicherebbe affatto che sia possibile dimostrarne anche l’unicità: anzi, una delle conquiste più notevoli della logica contemporanea è stata proprio la scoperta della possibilità di costruire sistemi formali basati su principi logici differenti e irriducibili gli uni agli altri. Quindi, anche se si potesse provare formalmente la coerenza logica della Teoria del Tutto (TOE, da Theory Of Everything), ciò non significherebbe affatto che non ne possano esistere delle altre, non meno complesse e non meno coerenti, che Dio avrebbe potuto usare per creare un universo certo diverso da questo, ma tuttavia perfettamente funzionante, anche se noi magari non riusciamo nemmeno a immaginarle (il che non è poi sorprendente, dato che non siamo ancora riusciti a elaborare nemmeno quella relativa al nostro universo: come potremmo quindi pensare di essere capaci di costruire quelle relative ad universi soltanto possibili, non accessibili ai nostri sensi e ai nostri esperimenti?). È dunque vero che «il TdG si oppone a tutti gli sforzi di avanzare, con un occhio alla teoria fisica, una obiezione alla contingenza dell’universo» ma va aggiunto che tali sforzi sarebbero comunque destinati al fallimento. Tuttavia è indubbio che il TdG rafforza l’argomento in tal senso, e soprattutto lo rende persuasivo anche per chi non abbia sensibilità filosofica. Qui sta dunque la parte di verità del discorso di Jaki.
Dove egli invece sbaglia è nell’affermare che il TdG «pone fine alla ricerca di una teoria definitiva quale scopo principale della fisica» in quanto «i fisici […] possono anche elaborare una teoria che al momento della sua formulazione dia una spiegazione di tutti i fenomeni fisici conosciuti, ma nei termini del TdG tale teoria non può comunque essere presa come necessariamente vera». Nei termini del TdG certamente no, ma qui l’errore (paradossalmente identico a quello dei suoi avversari) è quello di confondere necessità logica con necessità fisica. In realtà nessuna teoria fisica viene ritenuta vera in base a ragioni puramente logiche: la coerenza garantisce infatti soltanto che, poste certe premesse, certe conclusioni seguono necessariamente, ma nulla dice sulla necessità delle premesse stesse, e quindi su quella del sistema nel suo insieme. Essa è quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente. Se così non fosse, del resto, la verifica sperimentale sarebbe superflua: ma la scienza moderna (come Jaki stesso ha così ben mostrato in altra sede) è nata proprio dalla negazione della possibilità di fare fisica a priori. Cionondimeno, le teorie scientifiche possono essere dimostrate vere, proprio tramite un’opportuna combinazione di formalismo logicomatematico e verifica sperimentale. Non esiste alcuna necessità logica per cui la velocità della luce nel vuoto debba essere costante e uguale a circa 300.000 km/s, tuttavia esiste per ciò una necessità fisica (nel senso che il nostro universo di fatto è costruito in modo tale da implicare necessariamente questa conseguenza), la cui verità può essere, ed è stata di fatto, riconosciuta e dimostrata. Allo stesso modo, è perfettamente concepibile che il progresso scientifico possa alla fine condurre ad una teoria unificata di tutte le forze fondamentali (cosa che peraltro nemmeno Jaki nega), che, riguardandole appunto tutte, non potrebbe che essere definitiva, e potrebbe anche essere dimostrata tale, in modo non diverso da qualsiasi altra teoria fisica3. Il fatto che la sua coerenza non possa essere provata logicamente non costituisce un’obiezione, o, almeno, non costituisce un’obiezione diversa da quella che potremmo avanzare nei confronti dell’aritmetica o di qualsiasi altra teoria matematica o fisica: infatti noi non possiamo provare la coerenza di nessun sistema formale, ma ciò non toglie che in moltissimi casi di tale coerenza possiamo ugualmente arrivare a essere certi, in quanto la nostra ragione non si riduce al solo aspetto logico-formale, ma si basa originariamente su un «vedere » intellettuale («con l’occhio dell’anima», come direbbe Platone) che ci permette di cogliere immediatamente l’evidenza e la necessità di certi nessi direttamente all’interno della realtà, senza alcun bisogno di dedurla da altro (il che, Gödel o non Gödel, condurrebbe comunque necessariamente ad un regresso all’infinito).
Del resto, se così non fosse non esisterebbe nemmeno lo stesso TdG. Abbiamo visto infatti che per esso è cruciale che la proposizione G sia vera. Poiché però essa è indimostrabile, la sua verità non può essere dedotta per via logica, ma viene invece stabilita proprio in base alla sua «corrispondenza ai fatti» G è vera perché afferma di essere indimostrabile e si rivela indimostrabile di fatto (posto che il sistema sia coerente). In effetti, una delle implicazioni, e forse la più importante, del TdG è proprio quella di aver provato una volta per tutte (benché molti non se ne vogliano ancora dare per intesi) che quello della verità non è, nella sua essenza, un problema logico. Se il problema della coerenza non è dunque rilevante quanto alla creazione di una TOE, a ciò sembrerebbe però opporsi quello dell’incompletezza. Ma anche qui bisogna stare attenti a non sopravvalutarne la portata, così come, del resto, quella della stessa TOE. Nessuno infatti ha mai pensato che da essa si potrebbe dedurre realmente «tutto» nel senso di «ogni singolo fenomeno» che possa verificarsi nel nostro universo: Hawking stesso, anche prima di convertirsi al TdG, l’aveva detto chiaramente, specificando che in ogni caso ciò sarebbe impedito dal fenomeno del caos deterministico, oltre che dall’indeterminazione quantistica e dai suoi amati buchi neri. Una TOE sarebbe dunque tale soltanto a livello delle proprietà fondamentali dell’universo, e non escluderebbe affatto la possibile esistenza di un numero indefinito (e anzi addirittura potenzialmente infinito) di fenomeni nuovi e inattesi a livelli diversi da quello fondamentale, proprio come il numero degli elementi stabili (92) è determinato una volta per tutte, senza che ciò pregiudichi in alcun modo l’illimitata ricchezza delle loro possibili combinazioni chimiche. Così stando le cose, non pare che la costruzione di una TOE possa essere realmente ostacolata dall’incompletezza gödeliana. Inoltre, non bisogna dimenticare che quest’ultima ha per oggetto proposizioni molto particolari, costruite ad hoc per questo preciso scopo, ma di interesse matematico praticamente nullo. Tentativi di estenderne la portata a proposizioni più rilevanti sono stati fatti, ma con esiti finora estremamente limitati4. Benché qualcuno5 abbia ipotizzato che alcune verità matematiche di cui si è praticamente certi da secoli, ma che sfuggono tuttora alla dimostrazione, possano essere tali proprio perché gödelianamente indecidibili, si tratta per ora solo di congetture. In mancanza di una prova certa, o almeno di indizi seri in tal senso, occorre attenersi ai fatti. E i fatti dicono che, almeno fino ad oggi, il TdG ha sì fatto tramontare il sogno hilbertiano di un’auto-fondazione della matematica e della logica, ma per il resto non ha avuto la benché minima influenza pratica sulla ricerca in tali campi: non per nulla, anche le prove dell’«impatto» del TdG sulla matematica portate da Jaki nel suo articolo e a suo dire indebitamente trascurate dai fisici riguardano solo le reazioni soggettive e, talora, emotive dei vari autori, ma nessuna ha a che vedere con qualche difficoltà reale incontrata nel corso del loro lavoro. E lo stesso vale anche per gli stessi fisici, i quali se ignorano il TdG è solo perché fino a oggi non si sono mai imbattuti in proposizioni fisiche indecidibili: altrimenti, volenti o nolenti, sarebbero stati comunque costretti a farci i conti, come è già accaduto in passato per altre verità fisiche «spiacevoli» quali, per esempio, l’indeterminismo quantistico.
Jaki afferma che la cosa «può essere in parte spiegata con il fatto che molti di loro lavorano su problemi specifici, e questi possono essere risolti senza alcun riferimento a teorie che pretendono di essere teorie finali onnicomprensive». Ma ciò rappresenta un autentico fraintendimento dell’indecidibilità gödeliana, la quale vale esattamente allo stesso modo per tutti i sistemi formali, tanto onnicomprensivi che settoriali. E poiché fino a oggi essa si è dimostrata irrilevante per le teorie fisiche, è difficile pensare che le cose possano andare molto diversamente in futuro, anche per quanto riguarda la TOE. In ogni caso, come già visto prima e come è bene ribadire in conclusione, la possibilità o meno di costruire una TOE unica e definitiva a proposito del nostro universo non ha nulla a che vedere col problema della sua unicità di principio e, quindi, col problema se Dio abbia o no avuto scelta nel creare il mondo in questo modo. Questo è infatti un problema genuinamente filosofico, che, così come non può essere risolto dalla scienza, nemmeno può esserlo attraverso la logica formale.
Il punto vero della questione è, come sempre, quello di distinguere correttamente i diversi livelli della realtà che entrano in gioco. Non vi è invece alcun vantaggio nel tentare di porre dei limiti aprioristici alle possibilità di sviluppo della scienza, su cui l’ultima parola deve toccare sempre e soltanto alla realtà stessa, per il tramite della verifica sperimentale.
Note:
- Nel seguito daremo per scontata questa precisazione, omettendo di ripeterla tutte le volte
- G sta (ovviamente) per «Gödel» o per «Gödeliana»
- È noto che molte teorie epistemologiche contemporanee (che peraltro Jaki notoriamente non condivide) negano tale possibilità. Non posso qui affrontare l’argomento, che è troppo vasto e
peraltro esula dal nostro tema (per questo rimando a Paolo Musso, Forme dell’epistemologia
contemporanea, Urbaniana University Press, 2004): mi limito a notare che il problema non riguarda in modo particolare le Teorie del Tutto, ma si pone esattamente negli stessi termini a
proposito di qualsiasi teoria scientifica - Per esempio Gregory Chaitin, che di Kurt Gödel fu l’allievo prediletto, ha dimostrato a proposito di una particolare equazione diofantea lunga 200 pagine e contenente oltre 17000 variabili
che è impossibile determinare se essa ammette un numero finito o infinito di soluzioni per ciascun valore assunto da un determinato parametro (cfr. Gregory Chaitin, La casualità in aritmetica, in Giulio Casati (ed.), Il caos. Le leggi del disordine, Le Scienze, Milano 1991, pp.
193-197). Nonostante il suo indubbio interesse concettuale, non pare una questione destinata a far perdere il sonno ai matematici - Ancora Chaitin. Su ciò si veda Paolo Musso, Formalismo e casualità in matematica, in Emmeciquadro n. 11, aprile 2001 e Gregory Chaitin, cit..