Per costruire un giudizio su un tema attuale ma difficile, su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto, occorre fissare alcune idee chiare. Se è possibile raccogliere da siti Internet, o dalla lettura di riviste specialistiche, le informazioni sul Progetto Genoma Umano, è molto difficile passare da queste a una conoscenza articolata e critica del problema senza la quale non si dà insegnamento. In questo articolo il tema è sviluppato in termini storici e culturali molto chiari; l’autore, attraverso un percorso ragionato, documentato e giudicato, illustra il rapporto tra il significato scientifico del progetto genoma e la posizione umana, quindi etica, del ricercatore.
Tra qualche tempo, quando la storia sarà rivista dai principali bersagli della scienza nel passaggio tra i due millenni, si parlerà del punto di flesso che implica, per la biologia e per l’uomo stesso, la conoscenza fino all’ultimo dettaglio dell’informazione genetica contenuta nel genoma umano. Per questo è interessante analizzare le radici dell’idea dell’ingente progetto che lo ha reso possibile. In prima approssimazione si possono indicare varie ragioni, che vanno dal semplice desiderio di approfondire la conoscenza scientifica, o di trovare nuovi metodi per la diagnosi e la cura delle malattie, fino al desiderio di comprender meglio un fenomeno tanto difficile da definire come è la vita.
James Watson, co-scopritore della struttura molecolare del DNA e uno dei promotori del Progetto Genoma Umano, nel 1990 diceva: «È in gioco l’orgoglio nazionale nordamericano: nello stesso modo in cui nel 1961 il presidente Kennedy prese la decisione di mandare un uomo sulla Luna, ora la nazione si è messa in gioco in un obiettivo altamente visibile e importante. […] Anche se il costo globale del sequenziamento di tutto il DNA umano [stimato all’inizio in 3 000 milioni di dollari] sarà di un ordine di grandezza inferiore a quello dell’invio dell’uomo sulla luna, le ripercussioni saranno molto più grandi.» L’iniziativa di avviare le ricerche per conoscere il nostro genoma è simile ad altre imprese dell’intelletto che qualche volta spingono l’uomo verso opere grandi. C’è una reiterazione causale nella storia degli uomini: il pensiero, l’arte, la scienza e la tecnologia partono dallo stesso impulso intellettuale proprio della condizione umana. Il fatto di rivelare il nostro genoma è paragonabile alla conquista della Luna o all’impresa di Vesalio che, nel XVI secolo, usava la dissezione per arrivare a conoscere nel dettaglio tutti i particolari dell’anatomia umana. Gran parte del successo di Vesalio, nonostante mettesse in dubbio le tradizionali conoscenze di Galeno, si deve attribuire all’emergere della stampa che permise di illustrare le sue dettagliate descrizioni. In questo parallelismo storico, il Progetto Genoma Umano deve il suo successo all’emergere della rivoluzione informatica, che permette di ordinare e immagazzinare tutta l’informazione che si è andata accumulando dal suo inizio.
L’idea del Progetto Genoma Umano iniziò la sua gestazione nel 1984, in una riunione scientifica ad Alta (California), quando si discusse sulla convenienza di far partire un programma di grande importanza e costo economico per facilitare l’identificazione delle mutazioni geniche che causano alcune malattie. Due anni dopo, in una riunione nella città californiana di Santa Fe, si fece la prima proposta di un Progetto Genoma Umano come condizione indispensabile per capire una patologia come il cancro. Il progetto iniziò nel 1990, doveva durare 15 anni, e il preventivo di spesa si fissò in circa 200 milioni di dollari all’anno. Tanto il tempo, come il costo finale sono stati sensibilmente inferiori.
All’origine del Progetto Genoma Umano ci sono tante altre ragioni più profonde. È implicito il desiderio di entrare in profondità nel mistero della nostra esistenza e del rapporto con il mondo che ci circonda. Se c’è qualcosa su cui gli scienziati sono d’accordo, è l’esistenza di enigmi insondabili che costituiscono il motore reale di tutta la ricerca. Per questo, Julian Huxley, nel primo capitolo della sua opera Essays of a Biologist, si domandava: «Qual è la necessità fondamentale dell’uomo?», e lui stesso anticipava la seguente risposta: «Non oso fare congetture sulla varietà di risposte che si potrebbero dare, però azzardo la convinzione che la maggior parte sarebbe d’accordo nel dire che la necessità più profonda è scoprire quel qualcosa, quell’essere o potere, quella forza o tendenza che modella i destini del mondo, qualcosa che non è lui stesso, che è più grande di lui, che sente tuttavia essere in armonia con la sua natura, qualcosa in cui potrebbe placare i suoi dubbi e nella cui fede arriverebbe a raggiungere la fiducia e la speranza».
Le domande ultime sul senso della nostra vita e sul nostro destino, sono ugualmente presenti nel pensiero di Jacques Monod, premio Nobel per le sue ricerche sull’espressione dei geni che, nel primo paragrafo della sua opera Il caso e la necessità afferma che «l’ambizione ultima della scienza intera è fondamentalmente quella di chiarire la relazione dell’uomo con l’Universo», e che «alla biologia corrisponde un ruolo centrale, per essere la disciplina che tenta di andare più direttamente al cuore dei problemi che devono essere risolti prima di poter proporre quello della “natura dell’uomo”».
Non c’è dubbio che l’approfondirsi della conoscenza del mondo delle particelle subatomiche, degli atomi, delle molecole, della vita e dell’universo conduce alla conclusione che c’è una tendenza verso sistemi ogni volta più efficaci, ordinati e complessi. Questo induce a pensare che né l’Universo, né la vita, né la comparsa dell’uomo, né la sua intelligenza possono essere un semplice frutto del caso, ma conseguenza di qualcosa di trascendente, che non può essere sottomesso alla razionalità, che non si riesce a comprendere e per questo spinge l’uomo verso la ricerca di nuove spiegazioni, che mai appaiono sufficienti. A questo si riferisce Victor McKusich, uno dei promotori del Progetto Genoma Umano e responsabile di una banca dati sulle malattie ereditarie dell’uomo, quando segnala che «quando il raggio della conoscenza si amplifica, la circonferenza dello sconosciuto (il mistero) si ingrandisce». Francis Crick, premio Nobel per il suo contributo alla scoperta della molecola del DNA, segnala che «un uomo onesto che fosse provvisto di tutto il sapere che è oggi alla sua portata, dovrebbe affermare che l’origine della vita sembra provenire da un miracolo. […] Solo un miracolo può permettere che ci siano tutte insieme le condizioni necessarie per lo stabilirsi della vita.» Lo spagnolo Julian Rubio, umanista e professore di genetica, oggi scomparso, in un saggio scritto nel 1972 (Genética. Su posición entre las Ciencias Biológicas), ricordava che «da sempre l’uomo impressionato per il sorprendente e multiforme spettacolo della vita, lo ha abbordato con il tipico doppio atteggiamento radice di tutta la scienza: la curiosità per svelare il suo segreto e l’affanno del suo sfruttamento a beneficio dell’uomo.» Sembra evidente che il Progetto Genoma Umano risponde alla chiamata di questi atteggiamenti e si giustifica come prodotto di un interesse applicato in un ampio contesto di base.
Il germe e le ragioni del progetto
Nell’anno 2000 si è celebrato il centenario della riscoperta dei lavori di Mendel, avvenimento del 1900 che diede inizio alla genetica, il ramo più giovane e dinamico della biologia, che in poco tempo diventerà il centro e il punto di riferimento obbligato dei più importanti fenomeni biologici e in particolare di quelli evolutivi. Se fu importante per la biologia il XX secolo, non meno importante è il XXI, che coincide con il termine della prima tappa del Progetto Genoma Umano. In cento anni si è riempito di contenuto il corpo dottrinale della genetica, che principalmente spiega i due fenomeni più caratteristici della vita: l’eredità e la variabilità. Precisamente, si può definire la genetica come la scienza che studia il gioco equilibrato e antagonista della conservazione e del cambiamento, nella cui analisi si incontra la chiave per spiegare la capacità di evolversi dei viventi.
È interessante constatare la rapidità e l’armonia con le quali si sono succedute le scoperte genetiche fino ad arrivare all’inizio del Progetto Genoma Umano. Infatti, fino al 1944 si ignorava qual era la «molecola della vita». Si era speculato sopra vari tipi di biomolecole come candidati a essere la materia prima dei geni, però fu necessario aspettare fino a quell’anno perché attraverso un elegante esperimento i ricercatori americani Avery, Mac Leod e Mac Carthy, dimostrassero che il DNA, e non le proteine, costituiscono la sostanza dei geni. I ricercatori non tardarono a dirigere la loro attenzione verso quelle molecole e, nel 1953, James Watson e Francis Crick pubblicarono le loro conclusioni sulla struttura della «doppia elica». La molecola del DNA possiede un «disegno» perfetto per spiegare tutti i requisiti necessari per conservare l’informazione e spiegare la variabilità genetica. In sintesi: il DNA è composto da due polimeri, in forma di catene costituite da unità alternate di zucchero e fosfato che si avvolgono in eliche parallele e che si appaiano tra loro per mezzo di alcuni ponti perpendicolari al filo proiettati verso l’interno della doppia elica e costituiti dalle cosiddette basi nucleotidiche. Ci sono quattro tipi di basi (adenina, guanina, timina e citosina) che nei ponti sembrano appaiate a due a due: adenina con timina e guanina con citosina. In questo modo, ogni polimero mostra una successione di basi aleatoria, il che spiega l’enorme capacità di informazione che si può raggiungere nella lunghezza di una molecola di varie centinaia di migliaia di coppie di basi. Inoltre la sequenza di un polimero è complementare a quella che ha di fronte ( A-T, T-A, C-G e G-C), il che costituisce il fondamento per comprendere la conservazione dell’informazione. In effetti la molecola si impacchetta formando una doppia elica che può aprirsi come una cerniera, in modo che, quando si duplica, ognuno dei due filamenti serve da stampo per la sintesi del filamento complementare. Fondamentalmente questo spiega la conservazione dell’informazione da una cellula all’altra e da una generazione all’altra. Un semplice errore che conduca alla variazione di una sola coppia di basi durante la duplicazione può spiegare una mutazione.
Dopo queste importanti scoperte, dieci anni più tardi si era identificato il «codice genetico»: il sistema di principi e regole attraverso le quali l’informazione contenuta nel DNA si traduce infine nelle proteine. Queste biomolecole, la cui struttura è composta dall’assemblaggio lineare di amminoacidi (ci sono 20 tipi di amminoacidi differenti) costituiscono il prodotto finale dell’espressione dei geni; esse formano parte della struttura di cellule, tessuti e organi (proteine strutturali), o si comportano come catalizzatori di reazioni (enzimi). Le proteine non contengono informazioni per se stesse, ma sono destinatarie dell’informazione dei geni. Per chiarire questa relazione può essere utile un asserto classico in genetica: «un gene una proteina». La scoperta del codice genetico, che risale agli anni Sessanta, stupì per la sua universalità, cioè per il fatto che lo stesso sistema di codificazione funziona per i virus, i batteri, le piante e gli animali. In parole semplici e attuali, nel mondo della vita non c’è un sistema MacIntosh e uno Microsoft, ma tutti gli esseri viventi condividono uno stesso tipo di molecola ereditaria, il DNA, e un identico sistema di codificazione che è universale nella sua struttura e mostra differenze solo nella sua utilizzazione. A rigor di logica, questo dimostra l’unità dell’origine di tutti gli esseri viventi e, in un certo senso, facilita le ricerche nei rami recentemente emersi della «genomica» e della «proteomica».
Alla fine degli anni Settanta si misero a punto due tecniche molto efficaci per conoscere e decifrare le sequenze delle basi nucleotidiche di piccoli pezzetti di genoma, di genomi semplici, o di geni preventivamente isolati. Questo fu il germe per dare l’avvio alla conoscenza in esteso delle sequenze dei genomi completi e, nella fase che emergerà in seguito anche dei genomi più complessi. Infatti, a metà degli anni Ottanta erano disponibili tutti gli ingredienti per far partire i progetti genoma e verso il 1985 si era decifrato completamente il genoma di diversi virus batterici MS2, fX174, T7 e l, dei virus animali SV40 e Epstein-Barr e del DNA mitocondriale umano (vedi tabella che segue).
Organismo | Dimensione del genoma | N° di geni | Anno |
VIRUS |
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BATTERI |
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FUNGHI |
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PIANTE |
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ANIMALI | 16.569 pb 112.300.000 pb | 37 13.500 | 1981 2000 |
Si può pertanto dire che all’inizio degli anni Ottanta la scienza della genetica, in interazione con la biochimica, la biologia molecolare e gli altri rami della biologia erano in condizioni di abbordare lo studio delle sequenze dei genomi. Inoltre, dato che si conosceva il codice genetico universale, era a portata di mano la decifrazione di tutti e di ciascuno dei geni contenuti in ogni genoma studiato.
Prima di continuare è interessante definire e precisare il concetto di genoma. In modo semplice potremmo dire che il genoma è l’informazione genetica completa contenuta nelle molecole geneticamente informative di un essere vivente (normalmente DNA, occasionalmente RNA in certi virus). Se ci riferiamo agli organismi superiori, il genoma sarebbe l’insieme globale dell’informazione genetica che esiste nel DNA riunito nel nucleo della cellula iniziale, lo zigote, formato dopo la fecondazione, e che si conserva invariato in tutte e in ciascuna delle cellule di un individuo.
Quando parliamo del genoma umano ci riferiamo logicamente all’insieme dell’informazione genetica specifica dell’uomo che è quello che si vuole conoscere mediante il Progetto Genoma Umano. Il nostro genoma contiene poco più di 3 000 milioni di coppie di basi nel totale delle molecole di DNA, che sono ripartite in 23 coppie di cromosomi. D’altra parte, quando parliamo della mappa del genoma umano, ci stiamo riferendo alla rappresentazione ordinata dei geni e sequenze di tutti i tipi. Per questo è importante localizzarli nei cromosomi umani e stabilire le mappe di ognuno di loro.
È anche importante tenere in considerazione che lo sviluppo dell’essere umano consiste in un processo dinamico di divisioni cellulari accompagnate da differenziazioni delle cellule che si stanno producendo. Infatti, si parte da una cellula iniziale unica, lo zigote, che già ha in sé un’informazione genetica propria, personale e irripetibile, e si riesce a raggiungere circa 10 bilioni di cellule che sono quelle che danno volume all’essere umano adulto. Con validità universale, si può affermare che immediatamente dopo il concepimento esiste in essenza il programma completo di sviluppo di un nuovo essere umano, e che questo programma è singolare e discriminante di ogni persona. In ogni divisione cellulare si produce una replica esatta del genoma e degli altri componenti cellulari. Tutte le nostre cellule, come quelle degli altri esseri pluricellulari, ricevono una copia identica dell’insieme di geni che c’è nella cellula originale unica, che nel caso dell’uomo si stima non superiore a 39 000. Dobbiamo inoltre sapere che ogni gene è costituito da una frazione del DNA totale e che nell’uomo i geni hanno una dimensione media di circa 10 000-15 000 pb (coppie di basi) anche se esiste un’enorme variabilità. Alcuni dei nostri geni superano appena le 1 000 coppie di basi, come succede per il gene che codifica per l’insulina. Ci sono altri geni che superano i due milioni di coppie di basi, come il gene della distrofia che codifica per una importante proteina del tessuto muscolare. È necessario tenere in considerazione che di ogni gene, di ogni unità di informazione responsabile di una proteina, possono esistere numerose varianti, chiamate alleli, anche se ogni persona è portatrice di solo due alleli per ogni gene, uno proveniente dal padre e l’altro dalla madre. L’enorme diversità che riscontriamo tra le persone che ci circondano si deve principalmente all’espressione del repertorio particolare della combinazione delle circa 39 000 coppie di alleli propri di ciascun individuo, in interazione con l’ambiente, cioè con le condizioni e episodi successi durante lo sviluppo. Molte delle malattie che ci affliggono trovano la loro causa nell’eredità di mutazioni che implicano l’alterazione dell’informazione corretta di qualche gene, che si esprime dando origine a una proteina incompleta o inattiva. Per esempio, alterazioni nei geni che codificano l’insulina o la distrofina possono determinare, insieme ad altri fattori, la comparsa del diabete o della distrofia muscolare rispettivamente. D’altra parte sappiamo che ogni persona è il risultato dell’espressione ordinata dei geni che possiede e che la differenziano dagli altri esseri umani. Il Progetto Genoma Umano cerca di rivelare l’insieme di istruzioni codificate nella sequenza di basi nucleotidiche di ciascun gene, allo scopo di conoscere le piccole variazioni che spiegano la diversità tra gli individui e le popolazioni, e le possibili cause di numerose malattie.
Se è chiaro quanto detto finora, non ha senso discutere su quando ha inizio la vita. Dal punto di vista genetico si constata che questo accade nel momento stesso della fecondazione: l’unico momento nel quale c’è un prima e un dopo rispetto all’identità genetica. Nel concepimento si costituisce un programma completo, personale, che ha una combinazione di geni distinta da quella dei genitori ed è frutto della fusione dei nuclei gametici della cellula uovo e dello spermatozoo. In questo momento tutto è pronto per lo sviluppo, con le conseguenze positive o negative che i geni uniti dettano. Questo patrimonio ereditario proprio non varierà, a meno di mutazioni somatiche, né tra le cellule di una stessa persona, né lungo il tempo. Nella doppia dimensione dello sviluppo biologico, spaziale e temporale, è inutile parlare di identità parziali o successive. L’individuo mantiene in tutte e in ciascuna delle sue parti, crescendo nelle diverse tappe della sua vita, la stessa identità genetica con cui è stato concepito. È importante tener conto di questi concetti nelle discussioni di natura etica su pratiche come l’aborto, la clonazione o la manipolazione degli embrioni. Se si congela, si disgrega o si distrugge un embrione, si sospende o si altera il corso di una vita che sarebbe proseguita senza nessun dubbio in uno sviluppo naturale fino alla configurazione di un individuo adulto, singolare nei suoi caratteri morfogenetici. Questo non significa che il fenotipo, l’aspetto che mostra una persona lungo la sua vita, non possa andare cambiando con il tempo. Di fatto questo accade, anche se il genotipo si mantiene invariabile, come conseguenza di un’attività genetica differenziata durante lo sviluppo e in risposta alle influenze ambientali.
Le attività avviate per conoscere gli aspetti di base del nostro genoma corrispondono a quella che è stata chiamata «genomica strutturale» e che ha permesso di arrivare a mappare il nostro genoma e a conoscere nel dettaglio le sequenze da un’estremità all’altra di ogni cromosoma. Pertanto, la genomica strutturale non è un fine in se stessa. Essa vuole soprattutto conoscere l’informazione contenuta nelle sequenze e come funzionano i geni, qual è la missione di ciascuno di essi, in quale momento dello sviluppo e in che tipo di cellule o organi si esprimono lungo la vita. Oggi sappiamo che lo sviluppo di un individuo è il risultato di un programma ordinato di attività genetiche differenziate nello spazio e nel tempo. Questa è la sfida con cui la scienza deve fare i conti dopo aver svelato la struttura del nostro genoma. È quella che è stata chiamata «genomica funzionale». In definitiva, il Progetto Genoma Umano, si propone, in primo luogo, di «conoscere» la struttura per «decifrare» in seguito le attività del messaggio genetico completo del nostro genoma, con il fine di utilizzare questa informazione come un «libro di istruzioni» che ci permetta di identificare, interpretare e dar soluzione a qualunque problema di natura biologica. Grazie alla conoscenza del genoma umano, avremo la chiave per la comprensione di molte malformazioni e malattie congenite e potremo, a suo tempo, mettere in atto soluzioni mediante tecniche di «terapia genica» o di altre applicazioni biotecnologiche. Nel processo storico del Progetto Genoma Umano, si è soliti parlare di diverse tappe. Corrisponde al periodo 1988-1990 il lancio del progetto negli Stati Uniti e in seguito nei paesi che più hanno contribuito al suo sviluppo: Giappone, Gran Bretagna, Francia e Germania. Nel 1990 il Progetto Genoma Umano assunse una dimensione internazionale con la costituzione della Human Genome Organization (HUGO). All’inizio il progetto incontrò ostacoli nella comunità scientifica negli Stati Uniti e in altri paesi perchè sembrava non aver molto senso il sequenziamento totale del DNA umano «da un’estremità all’altra» anche in relazione all’elevato costo economico che comportava. Soprattutto si pensava che avrebbe danneggiato lo sviluppo di altri progetti di grande interesse come le ricerche sul cancro, sull’AIDS o sul miglioramento genetico di piante coltivate e animali domestici. Tuttavia, le prevedibili applicazioni nel campo della medicina, pur non esenti da certi rischi, e le conquiste della biologia molecolare e della genetica offrivano un panorama troppo attraente perché l’idea fosse abbandonata. Il progetto, approvato dalle autorità scientifiche americane, – l’Accademia delle Scienze, l’Istituto Nazionale della Salute e il Governo – fu votato alla fine dal Congresso degli Stati Uniti nel 1988. Il progetto si configurò intorno a otto obiettivi, riportati sinteticamente come segue:
- Decifrare tutto il messaggio del genoma umano (genomica strutturale)
- Sviluppare una tecnologia efficiente per il sequenziamento di tutto il menoma
- Identificare variazioni all’eliche
- Interpretare le funzioni (genomica funzionale)
- Decifrare e analizzare le sequenze di organismi modello (lieviti, nematodi, Drosophila e topo)
- Esaminare le Implicazioni Etiche, Legali e Sociali (ELSI) dell’indagine gnomica
- Sviluppare strumenti di bioinformatica e strategie computazionali per l’uso dei dati di geni e sequenze
- Addestrare scienziati per l’indagine e l’analisi dei genomi
Il progetto consisteva nello stabilire tre tipi di mappe: fisiche, genetiche, di sequenze. Si trattava di applicare un insieme di tecniche straordinariamente efficaci per sezionare il genoma in migliaia di piccoli frammenti, conservarli come cloni che si replicano in microrganismi (librerie genomiche) e che si dovevano sequenziare e ordinare, come un enorme puzzle, con l’aiuto dell’analisi informatica e di alcune strategie sperimentali enormemente ingegnose. Tralasciando le spiegazioni tecniche dell’approccio sperimentale per la costruzione delle mappe dei geni e delle sequenze proprie del genoma, basta segnalare che l’immenso lavoro che si sarebbe dovuto affrontare a partire dal 1990 si fondava su un buon coordinamento degli sforzi e sullo sfruttamento delle risorse offerte dalle due grandi rivoluzioni tecnologiche della fine del XX secolo, la biologia molecolare e l’informatica.
Il lavoro fondamentale coinvolgeva sedici istituzioni, la maggior parte negli Stati Uniti. Il progetto fu pianificato in due tappe, di cui la prima si doveva cominciare alla fine del 2001 il cui culmine fu una «bozza» (working draft) del genoma. È giusto sottolineare che sia l’iniziativa, sia l’85% della realizzazione del progetto sono stati americani. Dobbiamo anche segnalare che i lavori sono stati accelerati, in parte per la competizione con un progetto parellelo di iniziativa privata diretto da Craig Venter e sviluppato dal gruppo Celera Genomic, nel quale si adottarono strategie di analisi che davano la priorità a certe regioni del genoma che ospitano i geni di maggior interesse. Altro fatto di grande importanza è che i progressi nella conoscenza sono via via resi pubblici in tempo reale e in forma ordinata in un grande centro di dati consultabile in Internet (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/genome/seq). Il 23 ottobre 1998, Francis S. Collins, direttore del consorzio pubblico del Progetto Genoma Umano pubblicò un articolo sulla rivista Science in cui faceva un bilancio dell’avanzamento del progetto e una previsione sul futuro per gli anni 1998-2003. Nell’articolo esprimeva il suo ottimismo per l’esistenza di un’efficiente organizzazione e per il buon avanzamento degli obiettivi previsti all’inizio del progetto che erano stati ampiamente coperti. Alla fine del 1999 la rivista Nature pubblicò la sequenza completa del cromosoma 22, il più piccolo del genoma, che è portatore di circa 33 milioni di coppie di basi e contiene l’informazione di circa 3 000 geni.
L’8 maggio 2000 la stessa rivista pubblicò la sequenza del cromosoma 21 di grande rilevanza per la sua implicazione nella sindrome di Down e in altre malattie umane. Dopo solo un mese, il 6 giugno, si annunciò la conclusione della «bozza di lavoro» in una conferenza stampa alla Casa Bianca, nella quale giocò il ruolo di anfitrione il presidente Clinton e a cui parteciparono i responsabili dei due programmi: Francis Collins rappresentava il consorzio pubblico e Craig Venter la compagnia privata Celera Genomics.
Alcuni mesi più tardi, nel febbraio 2001, le prestigiose riviste scientifiche Nature e Science, rispettivamente inglese e americana, dedicavano un numero speciale per pubblicare articoli sui risultati delle analisi del nostro genoma e le principali caratteristiche della sua organizzazione. La presentazione si fece in una serie di conferenze stampa nelle capitali dei paesi che più attivamente avevano partecipato al progetto.
Il genoma che da allora conosciamo è relativo al sequenziamento dei circa 3 000 milioni di coppie di basi contenute nel nostro genoma, però contiene alcune ambiguità e piccoli «buchi». Si tratta ancora di una bozza che richiede un lavoro più fine che dovrà essere terminato alla fine del 2003.
Come abbiamo detto, il Progetto Genoma Umano implicava anche l’avvio di progetti genoma relativi ad altre specie. È importante indicare che attualmente si è conclusa la fase di genomica strutturale di una quarantina di specie batteriche, tra cui la più rappresentativa è quella del bacillo Escherichia coli. Si è anche completata la conoscenza di altri genomi: del lievito Sacharomyces cerevisiae, del verme nematode Caenorhabditis elegans, della pianta crucifera Arabidopsis thaliana; inoltre sono in fase molto avanzata i progetti relativi al genoma del moscerino della frutta Drosophila melanogaster e del topo Mus musculus. Tutte queste specie si considerano modello di differenti sistemi di organizzazione biologica e serviranno per rivelare molti aspetti di tipo e funzionale e evolutivo di grande interesse in biologia.
L’importanza del Progetto Genoma Umano per la scienza
Tutto ciò che concerne il Progetto Genoma Umano è stato sopradimensionato e esagerato già dal primo momento della sua attivazione, quando si cominciarono a utilizzare termini come «pietra filosofale» della vita, o quando si collocava il progetto in ciò che si cominciò a chiamare big-science. La realtà è ben diversa e il progetto, alla frontiera delle sue applicazioni, è più ricco di tecniche che di idee visto che parte da un argomento semplice e riduzionista: frammentare il genoma in migliaia di pezzetti, isolare i frammenti, moltiplicarli inserendoli in cromosomi artificiali o in altri veicoli di replicazione autonoma dentro microrganismi e studiare le sue sequenze così da ricomporre l’insieme e studiare il significato genetico di ciascun componente. Si tratta quindi di disintegrare un genoma di circa 3 000 megabasi in parti piccole e maneggiabili da cento, mille basi, per poter procedere all’analisi individuale e in seguito alla reintegrazione, interpretando il significato e la logica di ciascuna parte. È evidente che questo noioso e complesso lavoro ha richiesto molta più tecnologia che idee. Il Progetto Genoma Umano deve considerarsi big-technology prima che big-science. Lo studio del nostro genoma può aiutarci a capire come siamo, qual è la nostra origine evolutiva e quali sono le nostre differenze formali e materiali con gli altri esseri viventi, ma non sarà tanto facile spiegare quello che siamo né capire il significato della nostra presenza nel mondo. A volte, contrariamente a quanto sostiene Francis Crick nel suo saggio ¿Ha muerto el vitalismo?, con la sola analisi delle sequenze del DNA del nostro genoma si mantengono aperti molti più interrogativi di quelli a cui si può pensare di trovare una risposta. L’autentico valore del Progetto Genoma Umano consiste nella soluzione di problemi di base di grande importanza in questo campo della scienza e nelle sue potenziali applicazioni. Uno degli aspetti di maggior interesse è il contributo alla risoluzione dei grandi interrogativi riguardanti l’evoluzione. Dato che tutte le specie, tutti gli esseri viventi, sono in relazione per l’origine evolutiva comune, i genomi racchiudono, scritti nelle loro sequenze, segni del passato evolutivo. Le sequenze di geni che svolgono funzioni equivalenti, però presenti in specie diverse, devono mostrare distinti gradi di somiglianza. Due specie qualsiasi saranno tanto più strettamente imparentate quanto più esiste somiglianza tra i loro genomi. Questo ha aperto le porte alla «genomica comparata» che permetterà di conoscere la storia evolutiva di gruppi di specie. Si apre così una nuova tappa della genetica evolutiva, quella dell’«archeologia molecolare» che cerca di descrivere la storia evolutiva dei genomi. Inoltre, i progetti genoma permetteranno di approfondire la conoscenza dell’espressione genica, di comprendere meglio i processi di differenziazione cellulare e dello sviluppo in termini molecolari, di valutare la diversità genetica della nostra specie a livello degli individui, delle popolazioni, eccetera.
Un tema che ha suscitato un grande interesse e esercita una speciale attrazione per la biologia è quello che potremmo chiamare «paradosso del numero dei geni» cioè l’apparente mancanza di relazione tra il numero dei geni di una determinata specie e quello che si suppone dovrebbe possedere in relazione alla sua posizione nella scala evolutiva o alla sua apparente complessità biologica. Le ricerche sul nostro genoma indicano che il numero dei geni è a dir tanto di circa 39 000, e questo non sembra giustificare la nostra posizione privilegiata nella scala evolutiva. Questo numero di geni sembra basso a confronto con quelli contenuti in altre specie che supponiamo inferiori (si veda la tabella a pagina 11). Quello che possiamo dire, in accordo con i dati disponibili dalla genomica funzionale di diversi organismi, è che importa di più il modo di utilizzare l’informazione delle sequenze geniche per la sintesi delle proteine e probabilmente le interazioni e le integrazioni tra le regioni codificanti piuttosto che il loro numero più o meno alto. Infine, quello che a volte più interessa all’opinione pubblica è che mediante il Progetto Genoma Umano si arrivino a risolvere problemi di salute. In effetti ci sono tre campi della medicina che trarranno vantaggi immediati dalla conoscenza del nostro genoma: la diagnostica, la terapeutica e la farmacologia. La conoscenza della base genetica delle malattie ereditarie permetterà di mettere a punto prove di laboratorio per il rilevamento di alterazioni nella sequenza del DNA e perciò di diagnosticarle persino prima della loro manifestazione o già nelle prime tappe dello sviluppo embrionale. D’altro canto, a partire dalla conoscenza della base molecolare delle alterazioni dei geni si possono sviluppare protocolli di terapia genica che permetteranno di curare alcune malattie mediante l’inserzione di sequenze geniche corrette nel genoma del paziente portatore di geni alterati. Allo stesso modo, la conoscenza delle sequenze dei geni e la possibilità di isolarli, o di isolare sequenze codificanti implicate in numerose e diverse funzioni, permette applicazioni di ingegneria genetica: inserirli in cromosomi artificiali o in plasmidi batterici per la clonazione e espressione in microrganismi, lieviti o in piante o animali transgenici. In questo modo si possono ottenere proteine umane di interesse farmacologico (ormoni, insulina, fattori di coagulazione eccetera) in altri esseri e su grande scala. Il Progetto Genoma Umano ha ripercussioni importanti per l’uomo per la natura stessa delle sue potenziali applicazioni. Francis Collins, fin quasi dall’inizio del progetto, spinse lo sviluppo di un programma internazionale denominato ELSI (acronimo inglese delle Implicazioni Sociali, Legali ed Etiche) per cercare di analizzare le conseguenze per l’uomo e la natura in tutti gli aspetti: filosofici, etici, sociologici, teologici, economici e giuridici. Si tratta di studiare numerose questioni che pongono sfide importanti alla società. Così, a partire dalla conoscenza delle sequenze implicate nelle malattie, si pone il problema della liceità di concedere brevetti per lo sfruttamento commerciale delle sequenze a fini terapeutici, o quello delle interazioni con le compagnie di assicurazioni che potrebbero pretendere di utilizzare la conoscenza del rischio di contrarre una malattia ereditaria per stabilire le tariffe nelle polizze di assicurazione sulla vita o altre, eccetera.
La società moderna si trova davanti a una doppia logica che può creare polemiche. Da una parte c’è la logica del sentimento, che fa del desiderio una meta irrinunciabile e dall’altra parte quella della tecnica che non sembra disposta a rinunciare a nulla di ciò che è possibile. Non possiamo obiettare nulla rispetto agli immensi benefici per la scienza della biologia derivati dalla conoscenza del nostro genoma in tutti gli aspetti fondamentali segnalati in precedenza. Tuttavia le manipolazioni genetiche che conducono alla correzione delle malattie, possono ispirare altre applicazioni eticamente discutibili. Questa possibilità si rinforza in connessione con l’altra grande innovazione biotecnologica che comporta la clonazione e la manipolazione degli embrioni umani. Al di là dei progressi scientifici e delle possibilità tecnologiche, esistono principi etici irrinunciabili che spingono a tracciare un limite tra ciò che è tecnicamente possibile e ciò che è eticamente accettabile.
Chi può decidere ciò che è desiderabile e ciò che non lo è?
Rispetto a una malattia lo sappiamo, ma chi frenerebbe l’ingegneria genetica con scopi differenti da quelli di correggere una malattia? Qualsiasi divergenza rispetto a una pretesa norma aprirebbe la via a equivoche giustificazioni come fondamento per definire il concetto di malattia. D’altra parte l’originalità dell’individuo e l’imperfezione sono proprie della natura umana. Se si volesse definire l’uomo in accordo a una norma immaginaria per manipolarlo geneticamente in modo conforme a essa, si agirebbe contro la legge fondamentale dell’uomo e si rovinerebbe profondamente la sua dignità. In accordo con l’articolo 10 della Dichiarazione Universale sul Genoma Umano e i Diritti Umani dell’UNESCO, votata dai delegati di 186 paesi a Parigi nel 1997: «Nessuna ricerca o sua applicazine relative al Genoma Umano, in particolare nella sfera della biologia, della genetica e della medicina, potranno prevalere sul rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e sulla dignità umana degli individui, o dei gruppi umani».
Senza dubbio la maggior polemica è suscitata da ciò che è in relazione con la clonazione e vorrei insistere nell’esistenza di alcuni principi fondamentali, unanimemente riconosciuti e complementari: il «rispetto della vita umana», che inizia nel momento stesso del concepimento, appartiene all’ordine dell’oggettività, e deve servire come punto di riferimento in qualsiasi decisione etica, e il «principio dell’autodeterminazione» della persona, che rimanda al dominio della soggettività ed è il motore di qualsiasi atto morale. La scienza nella quale crediamo genera conoscenze oggettive e incontrovertibili basandosi su dimostrazioni empiriche, ma il comportamento delle persone obbedisce a impulsi soggettivi di ordine morale. Non è pertanto la scienza che deve essere condannata di fronte a determinati comportamenti o possibilità di applicazione, ma le decisioni che ai confini delle verità oggettive generate dalla scienza entrano nell’ambito dell’azione delle persone come esseri liberi.
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* Ordinario di Genetica e direttore della Unidad de Biología Molecular presso la Universidad de Alcalá de Henares (Madrid, Spagna). È stato presidente della Sociedad Española de Genética (SEG). È membro della Asocia-cion para la Investagacion y la Docencia Universitas.
© Pubblicato sul n° 13 di EMMECIquadro