Orientarsi per viaggiare e conoscere il mondo; rappresentarne le forme, o i dettagli, per risolvere i problemi della vita quotidiana o per conservare gli elementi che costituiscono il paesaggio. Come si è posto l’uomo di fronte a questi problemi? Come si pone oggi, in un clima culturale che privilegia gli aspetti virtuali della realtà, mettendo spesso in secondo piano gli elementi che la costituiscono? Un viaggio affascinante nelle tecniche di rappresentazione del paesaggio; una proposta di rilettura del problema geografico interessante per tutti i livelli di scuola; un percorso che apre, anche a livello culturale, il dibattito sulle prospettive attuali della geografia. Quando si usa la parola paesaggio, si presuppone, sovente, l’esistenza di un ambiente prevalentemente naturale, quasi incontaminato, dove la presenza dell’uomo, attraverso le sue infinite opere di trasformazione, rimanga pur sempre discreta, rispetto a una sorta di equilibrio che l’occhio umano e la sua capacità di giudizio estetico possano percepire con una gradevole sensazione di stupore.
Nel linguaggio corrente il termine paesaggio implica l’esistenza di un mondo naturale, particolarmente piacevole da osservare, circoscritto all’orizzonte visivo dello spettatore e con un’infinità di caratterizzazioni che la cultura e la sensibilità di ognuno fa emergere con sottolineature particolari.
Ma, come diceva argutamente il Senatore Giulio Carlo Argan, in occasione dell’approvazione della Legge Galasso (L. 431 del 1985): “La cosiddetta bellezza della natura è in realtà il prodotto dell’intelligenza del pensiero e del lavoro umano nel corso di più millenni: è un immenso libro, un palinsesto in cui sono scritti millenni di storia.”
Infatti, stando a una ricerca del WWF, soltanto il 20% del territorio nazionale risulterebbe ancora non manipolato dal processo di antropizzazione diretta: ci si riferisce, sostanzialmente alle aree di alta montagna del paesaggio alpino e, parzialmente, alle aree naturali protette che, secondo una stima ISTAT del 1998, ricoprono il 4,30% del territorio nazionale.
Lettura e rappresentazione del paesaggio
Le difficoltà che oggi si incontrano nella lettura, nell’interpretazione e nella successiva rappresentazione cartografica del paesaggio terrestre, sono certamente dovute a una molteplicità complessa di fattori: tra questi sembra prevalere una sostanziale ignoranza, a livello educativo più elementare, dei principali criteri interpretativi dello spazio in generale e del paesaggio in particolare.
Infatti, per l’intero arco della scuola di base italiana, dalle elementari al liceo, l’individuo ha improbabili opportunità di accedere a categorie di giudizio capaci di individuare elementi paesistici, organizzati secondo livelli di sistematicità.
Fin dalla scuola elementare, i bimbi vengono invitati a esprimere la loro capacità figurativa secondo tecniche che potremmo definire “inesatte”: la rappresentazione grafica e pittorica della realtà passa attraverso la lettura di uno o più elementi che, nella maggior parte dei casi, sono posti “di fronte” all’artista o al disegnatore senza alcuna contestualizzazione spaziale.1 “Di fronte” significa con una certa prospettiva, ma, sostanzialmente, l’oggetto o la persona da rappresentare giacciono sullo stesso piano fisico di chi li osserva. Paradossalmente, questo non impedisce al disegnatore di avere uno o più punti di vista della realtà, ma elude, quasi inconsciamente, la possibilità di localizzare puntualmente l’oggetto nel contesto di riferimento, sia esso un luogo chiuso o aperto.
Una modella che posa in un atelier, per essere ritratta da un pittore o da un gruppo di allievi, è considerata un oggetto in prospettiva attraverso le sue forme, il suo sguardo, il suo atteggiamento; risulta tuttavia un essere a – spaziale, non solo al di fuori dello spazio in generale, ma piuttosto dello spazio organizzato: ciò che conta in quella occasione, infatti, non è il luogo in cui si svolge l’evento, potrebbe essere una cantina o un’aula di disegno, ma l’anatomia vivente che, a ogni artista, suggerisce interpretazioni diverse.
La visione aerea
La sommità di una montagna, ma ancora meglio la volta celeste, costituiscono un punto di osservazione ottimale, sono il luogo da cui è possibile “controllare strategicamente” una situazione, da cui è più facile capire le relazioni o la distribuzione degli oggetti sul territorio: basti pensare al recente tragico evento dei bombardamenti in Serbia per rendersi conto della assoluta dominanza della visione aerea rispetto a quella terrestre.Queste brevi osservazioni hanno lo scopo di aiutare a comprendere l’utilità e la funzionalità della rappresentazione del paesaggio che, in termini tecnici, viene definita “cartografia”, ovvero, in parole piuttosto essenziali, la rappresentazione o il disegno della terra vista dal cielo, cioè dall’alto.
Paesaggio sensibile e paesaggio grafico
“La stessa parola paesaggio ha tuttavia bisogno di essere anzitutto definita. Vi è il paesaggio sensibile o visivo, costituito da ciò che l’occhio può abbracciare in un giro di orizzonte o, se si vuole, percettibile con tutti i sensi; un paesaggio che può essere riprodotto da una fotografia (meglio se a colori) o dal quadro di un pittore, o dalla descrizione, breve o minuta, di uno scrittore. Quest’ultimo può già introdurvi qualche elemento che attenui l’immobilità dell’immagine, perché il paesaggio terrestre è sempre animato, non fosse altro per effetto delle oscillazioni luminose e termiche alle quali è esposta ogni parte della superficie della terra. La cinematografia perciò, più di ogni immagine fissa, è giunta a rappresentare il mezzo più adatto a rendere con fedeltà, anche nel loro dinamismo, gran parte degli elementi di questo paesaggio visibile.”
La progressiva propagazione delle immagini televisive ha certamente contribuito a incrementare, nelle giovani generazioni, la capacità di osservazione di questo iniziale aspetto del paesaggio visivo, facendo giocare, in contemporanea, l’accuratezza e la dinamicità dell’immagine con la novità dei luoghi considerati. Tuttavia, la necessità di entrare più precisamente nel merito di una metodologia interpretativa della realtà, ha dato vita, all’interno della disciplina geografica, a una sistematizzazione delle categorie di fenomeni naturali: clima, morfologia, idrografia e vegetazione hanno, oramai stabilmente, contribuito all’espressione fenomenologica dell’impianto paesaggistico.
“Prende pertanto valore quello che è stato chiamato il paesaggio grafico ed è una sintesi astratta di quelli visibili, in quanto tende a rilevare da essi gli elementi o i caratteri che presentano le più frequenti ripetizioni sopra uno spazio più o meno grande, superiore, in ogni caso, a quello compreso da un solo orizzonte. Il paesaggio sensibile è costituito da un numero grandissimo di elementi e difficilmente si ripresenta integralmente in punti diversi della superficie emersa, o questo può avvenire soltanto se la visibilità è oltremodo limitata (per esempio, il paesaggio nell’interno di una foresta boreale o nel profondo di una gola di erosione fluviale) oppure se il paesaggio è eccezionalmente uniforme (pianure steppiche, superfici nivali o glaciali). Il paesaggio geografico deve essere, al contrario, costituito da un piccolo numero di elementi caratteristici (o, forse, da pochi gruppi di elementi): in tal modo è resa possibile la sua descrizione sintetica e può essere anche tentata l’identificazione e la comparazione delle forme principali del paesaggio.”
Costruire un modello matematico
All’interno di questa evoluzione si è persa, o si sta perdendo progressivamente, “una convergenza, un momento vissuto”: “il legame interno” o “l’impressione che unisce tutti gli elementi” lasciano spazio a un più razionale e oggettivo modello matematico. La misura dei singoli elementi che lo compongono, prendendo il sopravvento sull’intuizione, traccia una fredda sequenza espressiva, dove il paesaggio è scomposto in innumerevoli elementi, misurabili e confrontabili tra loro.
Una volta raccolte le informazioni, deve essere compiuta un’attenta pianificazione per assicurarsi che tutte le indicazioni rilevanti siano esposte con chiarezza e in maniera accurata. I dati raccolti vengono inseriti in forma di punti in una griglia realizzata sulla base della proiezione piana o di sviluppo che si è adottata.
I rilievi sono indicati, quando richiesto, facendo ricorso alle curve di livello, che vengono tracciate utilizzando coppie di fotografie stereoscopiche.
Nello stesso modo si tracciano le strade, i fiumi e tutti gli altri elementi di riferimento. La preparazione finale per la stampa della carta geografica prevede la realizzazione di una serie di pellicole colorate, i cosiddetti “tipi geografici”, sulle quali i vari simboli vengono tracciati con la tecnica della litografia.
Il paesaggio può essere quindi considerato, tra le altre cose, come il luogo della misura delle sue componenti, ove solo un sistema efficiente di monitoraggio, attento e continuo, ne consente una specifica salvaguardia e conservazione a livello culturale e patrimoniale.
Nel mondo della scuola italiana non sono ancora abbastanza note o diffuse le modalità con cui possa avvenire tale controllo, mentre emerge, in modo sempre più evidente, la necessità di comunicare, permanentemente, al grande manipolatore dell’ambiente l’evolversi dello stato di salute del pianeta.
La modalità tecnica di comunicazione uomo – paesaggio è la risultante di una complessa attività di rilevamento di informazioni e di osservazioni finalizzate alla creazione di sistemi informativi, considerati tali proprio in quanto le variabili che li costituiscono sono sperimentalmente interattive.
Le tecniche di manipolazione dei dati permettono di rappresentare in modo virtuale la forma o i tematismi afferenti al paesaggio stesso, con precisione topografica e con un discreto livello di rappresentatività. Questo avviene attraverso un processo di georeferenziazione che, in termini elementari, significa attribuire a un punto della superficie terrestre le sue esatte coordinate: latitudine, longitudine e quota sul livello del mare.
In Italia esiste ancora, in particolare nell’ambito pubblico, una mentalità estremamente retriva per tutto ciò che concerne l’architettura, l’elaborazione e la diffusione di sistemi informativi territoriali: ogni soggetto pubblico di rilevanza nazionale, deputato al controllo della realtà ambientale, ritiene, da un lato, di avere la possibilità di costruire una banca dati relativa al territorio unica nel suo genere e, dall’altro, di non dover trasferire le informazioni acquisite alle altre strutture operative sul territorio.
Ne deriva una sorta di Babele informatica, dove gli sprechi finanziari sono a dir poco scandalosi, con una scarsissima fruibilità pubblica dei prodotti finanziati e con una pesante inefficienza sul piano del controllo e della tutela del paesaggio.
Cartografia (da: Enciclopedia Microsoft Encarta 99)
Con il termine cartografia si intende tutto ciò che riguarda la realizzazione e lo studio delle carte geografiche. Per creare una carta sono necessari alcuni requisiti: la capacità di trovare e selezionare le informazioni provenienti da varie fonti della geografia per poi sintetizzarle in un corpo informativo organico e compatto; la capacità di illustrare correttamente il messaggio della carta, che deve risultare chiaro a una gamma di utenti che differiscono profondamente nelle loro capacità di leggere la carta stessa; l’abilità grafica nel trasmettere le informazioni attraverso il ricorso a simboli, a linee e a colori, rendendo semplici i messaggi più complessi e assicurando la piena leggibilità della carta geografica. La cartografia è stata spesso impiegata per rappresentare la realtà territoriale in funzione di certi obiettivi, falsandola per ragioni politiche o di propaganda […]. Proprio per questa capacità di riflettere intendimenti storici e sociali la cartografia è diventata oggetto di studi approfonditi, in quanto offre una valida documentazione sulla vita di una società o di uno stato. La realizzazione di una carta geografica non segue una formula rigida, assoluta. Essa dipende dagli strumenti di cui si dispone, dagli scopi della carta e dalle conoscenze generali del realizzatore.
Brevi cenni di storia della cartografia
Le più antiche carte geografiche di cui abbiamo notizia furono realizzate dai babilonesi intorno al 2 300 a.C.: disegnate su supporti di terracotta, consistevano essenzialmente in rilevamenti delle proprietà agricole compiuti allo scopo di tassarle. La capacità di realizzare carte geografiche si afferma in diverse parti del mondo antico; straordinaria la particolare mappa realizzata dagli abitanti delle isole Marshall: utilizzando una corda di fibra vegetale opportunamente annodata, rappresentavano la posizione delle isole nell’oceano. Il primo tentativo di rappresentare il mondo conosciuto risale al VI secolo a.C. ed è attribuito al filosofo greco Anassimandro: una carta di forma circolare rappresentava le terre che si estendevano intorno al mare Egeo, circondate dai misteriosi oceani. Tra le carte più note della classicità vi è quella attribuita a Eratostene (200 ca. a.C.): rappresenta il mondo conosciuto, i cui margini erano le Isole Britanniche a nord-ovest, il fiume Gange (in India) a est, la Libia a sud e fu la prima carta dotata di linee parallele che indicavano la latitudine, oltre ad alcuni meridiani di longitudine che erano però riportati a distanze irregolari. Intorno al 150 d.C. lo studioso egiziano Tolomeo produsse il suo trattato di geografia, che conteneva alcune carte del mondo. In esse veniva utilizzata per la prima volta una forma di proiezione conica basata sui precetti della matematica, facendo uso di un rudimentale reticolo di meridiani e paralleli; gli errori nella descrizione delle dimensioni dell’Asia sono comunque molti. Con la caduta dell’Impero Romano, la cui produzione di carte culmina nella cosiddetta Tabula Peutingeriana, (un particolare nella figura a lato) l’attività cartografica in Europa subì un quasi totale arresto; rimasero le carte prodotte dai monaci, che avevano come unico scopo quello di mostrare la centralità di Gerusalemme nel mondo e che per questo erano disposti a tradire i principi affermati della geografia scientifica.
Ai secoli bui dell’Europa si contrappose la vivace produzione cartografica dei naviganti e dei geografi arabi: nel 1154 il geografo Al – Idrisi produsse una particolare carta del mondo. A partire dal XIII secolo i navigatori cominciarono a realizzare accurate carte marittime, note come portolani, che solitamente non avevano meridiani e paralleli ma che usavano come sistema di riferimento un insieme di linee tratteggiate che indicavano le rotte per raggiungere i principali porti.
Nel XV secolo furono nuovamente pubblicate le carte tolemaiche, che per molti secoli successivi avrebbero influenzato in maniera determinante i cartografi europei. Nel 1507 la carta di Martin Waldseemüuller fu la prima a riportare con il nome di America (in onore di Amerigo Vespucci) la “nuova” terra scoperta in quegli anni a occidente dell’oceano Atlantico. L’opera del cartografo tedesco, realizzata su dodici fogli separati, fu la prima a distinguere con chiarezza i continenti americano e asiatico.
Nel 1570 il fiammingo Abramo Ortelio pubblicò il primo atlante moderno, dal titolo Theatrum Orbis Terrarum, che conteneva 70 carte. Nella carta delle Americhe riportata a lato si riconoscono, per l’accuratezza e la ricchezza di toponimi, le zone meglio note agli europei in quell’epoca. Con Ortelio inizia una scuola fiamminga di cartografia che realizzerà in seguito carte e atlanti (come quello di Blaeu) apprezzati ancora oggi come capolavori dell’arte cartografica. A questa diedero fondamentali contributi anche diversi cartografi italiani.
I grandi sviluppi della cartografia si ebbero nel corso del XVI secolo, quando molti cartografi raccolsero nei loro lavori la grande messe di informazioni che navigatori ed esploratori riportavano dai loro viaggi.
Il fiammingo Gerardo Mercatore (1512 – 1594) si elevò al di sopra di tutti i suoi contemporanei, mettendo a punto un tipo di proiezione cartografica (isogonica), di cui è riportata a lato una raffigurazione dell’area mediterranea, che si dimostrò di valore inestimabile per tutti i navigatori del suo secolo e di quelli successivi. Con il passare dei secoli le carte del mondo diventarono via via più precise grazie alla determinazione della latitudine e della longitudine e alle maggiori informazioni sulle dimensioni e sulla forma della terra.
Nella prima metà del XVII secolo apparvero le prime carte che mostravano le variazioni dei campi magnetici suscettibili di interessare la bussola, mentre nel 1665 fu prodotta la prima carta geografica che forniva indicazioni sulle correnti oceaniche.
Con l’inizio del XVIII secolo tutti i principi scientifici che stanno alla base della cartografia moderna erano stati fissati: gli errori nella rappresentazione cartografica riguardavano ormai solamente le zone inesplorate del mondo e in particolare certe zone interne dei continenti. Nella seconda metà del XVIII secolo alcuni paesi europei iniziarono il rilevamento sistematico del proprio territorio. Nel 1793 fu ultimata la prima carta completa della Francia: misurava circa 11 m di lato ed era di forma quadrata. Gran Bretagna, Spagna, Austria, Svizzera e altri paesi fecero lo stesso negli anni immediatamente successivi. Negli Stati Uniti il primo rilevamento geologico del territorio fu avviato nel 1879 e due anni più tardi il Congresso geografico internazionale propose la realizzazione della carta del mondo in scala 1:1.000.000, un progetto che deve ancora essere completato.
Nel XX secolo la tecnica cartografica si è arricchita della fotografia aerea, che fu sviluppata nel corso della prima guerra mondiale e fu utilizzata in maniera sistematica in quella successiva. Il lancio del satellite Pageos nel 1966 e, negli anni Settanta, dei tre satelliti Landsat, rappresentarono una svolta ulteriore per la ricerca cartografica, assicurando carte di altissima precisione di molte zone poco conosciute del mondo. Nonostante tutto restano comunque ancora prive di carte dettagliate importanti porzioni della superficie terrestre.
I diversi tipi di carte
La suddivisione più comune è quella tra carte topografiche e carte tematiche. Le carte topografiche mostrano parti di superficie terrestre in cui sono inserite anche le opere dell’uomo: generalmente sono indicate le principali vie di trasporto (strade, linee ferroviarie, canali navigabili, sentieri, aeroporti), gli insediamenti umani (villaggi, paesi e città) sullo sfondo dello spazio naturale, rappresentato con i fiumi, le coste, i rilievi. Le carte tematiche sviluppano invece temi specifici come, ad esempio, la geologia di una determinata area.
Un’ulteriore distinzione viene fatta tra le carte a grande o a piccola scala. Le carte a grande scala dell’Europa e di alcune altre parti del mondo arrivano a mostrare le singole costruzioni sul terreno. Di solito le carte più dettagliate sono quelle delle proprietà agrarie: in Svezia vengono aggiornate dall’inizio del XVIII secolo e normalmente hanno una scala compresa tra 1:500 e 1:5000.
Le carte geografiche a piccola scala, come le carte murali che si usano nelle scuole, ammettono delle generalizzazioni. Strade e linee ferroviarie, per esempio, possono essere deviate rispetto al loro percorso reale per ridurre la confusione, a patto che tutti gli elementi rappresentati vengano indicati nella loro corretta interrelazione. Nei casi estremi (carte di scala 1:1.000.000 o anche più piccole), il risultato è quello di un’illustrazione che offre un buon colpo d’occhio d’insieme ma ben poche informazioni affidabili (ad esempio la distanza tra due punti). Il tipo di proiezione scelta per produrre la carta può incidere in maniera determinante sul risultato. La maggior parte di ciò che è stato prodotto dalla cartografia tradizionale è il risultato di un lavoro compiuto per conto di organismi che fanno parte del servizio pubblico. Praticamente ogni paese ha un proprio servizio cartografico che dipende dallo Stato, il quale provvede alla realizzazione delle carte di base del territorio nazionale: ciò a fini amministrativi, statistici, militari ecc. In Italia l’IGM (Istituto geografico militare) sin dagli anni successivi all’unità ha realizzato il rilevamento del territorio, traducendolo in una serie di tavole alla scala 1:25.0000 (e alla scala 1:200.000). Da queste derivano generalmente tutte le carte che usualmente vengono pubblicate per i più vari scopi. Raramente infatti gli editori privati possono permettersi di produrre carte di interesse nazionale, preferendo concentrarsi su quei settori che per ragioni diverse, di carattere o turistico o imprenditoriale, sono in grado di assicurare una ricca clientela ai loro prodotti.
Le tecniche di lettura del paesaggio geografico
Il dato più semplice è la permanenza di un metodo di osservazione, definito appunto “osservazione diretta”, che dall’antichità ai nostri giorni è rimasto il fulcro di qualunque discorso speculativo nei confronti del paesaggio. In altri termini si potrebbe rilevare come questa appartenenza stretta dell’uomo al territorio implichi un sostanziale concetto di “presenza” dell’uomo nell’ambiente, una presenza capace di osservare, di leggere, di cogliere le sfumature dei colori e i profumi dell’aria, di giudicare ciò che vede: il paesaggio come risultante di una mediazione diretta.
è proprio questo termine, “presenza”, che consente oggettività alla mediazione, individuando una o più identità del paesaggio, determinate non solo da livelli di impressione momentanea, ma sempre più connessi a una sorta di metodo speculativo, progressivamente dettagliato e, negli ultimi decenni, trasformato in un modello matematico capace di cogliere le molteplici interrelazioni presenti nella realtà.
La grande evoluzione culturale degli ultimi due secoli, volendo sintetizzare il dato più emblematico, è consistita nell’abbandono progressivo dei dettami della Geografia umana classica di tipo descrittivo e nell’acquisizione di una metodologia di ricerca tipicamente scientifica, cioè quantitativa.
Se questo debba essere considerato un progresso in campo culturale, o piuttosto un inaridimento nella capacità di prendere parte alla vita del paesaggio, può dipendere da infiniti punti di vista, o, più significativamente, soggiace alle finalità rispetto alle quali si intende compiere l’azione.
Poiché la finalità prima dell’uomo nei confronti del paesaggio e dell’ambiente è quella di comprenderlo, cioè di conoscerlo al fine di conservarlo nel tempo per le generazioni future, certamente i metodi più recenti di scansione della realtà paesistica consentono all’uomo di incrementare il proprio livello conoscitivo e di stabilire di conseguenza un tipo di rapporto teso a ottimizzare le relazioni di tipo ambientale.
Oggi è difficile supporre quali potranno essere le conseguenze di queste metodiche di approccio alla realtà del paesaggio terrestre. Certamente, se da un lato dobbiamo riconoscere una logica razionale e mirata nell’osservazione del paesaggio, peraltro dobbiamo constatare una certa aridità culturale nel modo di porsi di fronte alle problematiche sottese alle variabili considerate. All’interno di questa valutazione, puramente accennata, trae vantaggio il discorso della rappresentazione del reale che, tanto più è misurato o meglio dimensionato e tanto più sono chiare le interdipendenze funzionali, in modo altrettanto più preciso sarà rappresentato cartograficamente.
Verso la rappresentazione automatica del paesaggio
Fino al 1985 la divisione dei ruoli e delle professionalità nel settore della mappatura topografica erano chiari e inequivocabili. I geodeti si occupavano delle prove strumentali e analizzavano i risultati che permettevano di definire con sempre maggior esattezza la forma dell’area studiata. Da queste prime informazioni i topografi, operando sul terreno, iniziavano a colmare gli spazi bianchi con i dettagli, lavoro che, in alternativa, poteva essere compiuto dai fotogrammetristi anche ricorrendo alla fotografia aerea.
Nel corso degli ultimi dieci anni la situazione è radicalmente cambiata. Gran parte delle professionalità legate alla cartografia sono state eliminate dall’introduzione dei sistemi satellitari del tipo Global Positioning System (GPS). I ricercatori hanno la possibilità di utilizzare programmi informatici per produrre carte che, per eleganza e leggibilità, competono con quelle realizzate con sistemi tradizionali.
D’altra parte è sbagliato pensare di trovarsi di fronte a un settore in declino. La diffusione dell’uso dei computer ha portato allo sviluppo di una nuova serie di strumenti di studio, collettivamente chiamati Sistemi Informativi Geografici e noti con l’acronimo inglese GIS (Geographic Information System). Il primo di questi sistemi fu costruito in Canada nel 1965 per realizzare l’inventario della fauna e della flora del paese. Oggi ve ne sono decine di migliaia in tutto il mondo.
I GIS assicurano poi un altro grande vantaggio: sono gli unici strumenti capaci di intrecciare le informazioni raccolte da diverse organizzazioni di ricerca. Queste possono per esempio compiere valutazioni sulla produttività agricola di una determinata regione e accantonare i dati raccolti: grazie al GIS milioni di dati possono essere comparati automaticamente con quelli raccolti da un’altra società, per ragioni completamente diverse, sulla medesima area di interesse. In che modo queste nuove tecnologie possono incidere sulla scienza della cartografia e quindi nella rappresentazione virtuale del paesaggio? La paura che le nuove tecnologie per la trasmissione delle informazioni geografiche possano cancellare il ricorso alle carte non è motivata. Sono infatti due strumenti che convivono e si alimentano reciprocamente perché, se è vero che il supporto cartaceo non è in grado di contenere la complessità delle informazioni di un sistema GIS, d’altra parte questo non è in grado di rappresentare con la chiarezza e l’immediatezza di una carta topografica le variazioni qualitative e quantitative che si verificano sul territorio.
Lo sviluppo combinato del GIS e della più recente tecnica cartografica basata sui computer sta provocando una rapida espansione dell’uso delle carte che, come si può intuire, non hanno più molto a che spartire con le carte geografiche tradizionali: l’immagine “volatile” dello schermo del computer è sempre più l’immagine del mondo che si trasforma, perché vive.
Il rapporto uomo-terra
La concezione dell’uomo nel suo rapporto con la crosta terrestre è profondamente mutata. Da una posizione interrogativa e problematizzante di tipo ottocentesco, la tensione attuale sembra decisamente rivolta alla conoscenza sistematica dei luoghi, dei paesaggi, delle loro componenti. La realtà, spogliata di ogni sentimento e di ogni impressione, serve all’uomo per la sua vita, nella quale il consumismo è divenuto il fattore determinante di qualunque tipo di scelta. L’antico desiderio dell’uomo di possedere il mondo si rigenera oggi dentro la dimensione informatica, sicché, in nome di un’efficiente interpretazione dello spazio, è possibile o, meglio, diventa giustificabile qualunque tipo di conquista. Questo modello culturale, creato dalla civiltà occidentale e solo parzialmente radicato nella moderna cultura geografica del nostro Paese, ha in sè una matrice positiva, che sembra consistere in un nuovo modo di esplorare la superficie terrestre, attraverso una Weltanschaung ecologica. Essa riconosce nella biosfera “un vasto sistema di materia vivente, e non vivente, di estrema complessità e molteplicità, che ha tuttavia una sua funzionalità unitaria, che persegue un dinamismo evolutivo, originato in remotissime età del mondo, che riceve e ridistribuisce enormi quantità di energia cosmica, e che determina e regola ad un tempo equilibri dinamici essenziali della litosfera, dell’atmosfera, della idrosfera. L’idea che sorge spontanea da un simile quadro è quella di un gigantesco organismo vivente, alla cui esistenza attiva e funzionale concorrono forze cosmiche e materie terrestri in tutte le loro forme, strutture e organizzazioni. Il discorso della vita nel mondo si allarga allora impensatamente e offre occasione a tutte le più svariate discussioni scientifiche e filosofiche.”7 All’interno di questa intuizione si muove anche il discorso inerente la rappresentazione della crosta terrestre e, quindi, del paesaggio.
La dilatazione dell’uso del calcolatore, con le innumerevoli applicazioni, che nel settore cartografico sono state compiute e sono in fase di elaborazione in questi ultimi anni, ha costituito, di fatto, un immenso processo di accelerazione nel rendere concreta e sperimentabile l’intuizione della conservazione e della tutela del paesaggio come patrimonio dell’umanità. Infatti, ciò che sta catturando l’interesse del moderno osservatore della superficie terrestre è una serie infinitamente grande di variabili, che si trasformano secondo una velocità propria e che godono della proprietà di appartenere ad un unico sistema: la Terra, un piccolo granello di polvere, sperduto nell’infinità dell’universo, dove, tuttavia, ognuno di noi esiste. Base di dati e cartografia automatica sono, in questo periodo storico, la risposta più esauriente alla esigenza di lettura, di interpretazione e di rappresentazione della superficie terrestre.
L’informatica per il paesaggio
In anni recenti le problematiche riguardanti la qualità dell’ambiente e la corretta fruizione delle risorse primarie hanno assunto un ruolo sempre più importante nella definizione delle linee di pianificazione e d’intervento sul territorio e sulla possibilità di rappresentare il paesaggio. “I gravi problemi ambientali del pianeta – l’effetto serra, le piogge acide, la riduzione delle superfici forestali… -, e l’esperienza quotidiana – lo smaltimento dei rifiuti, l’inquinamento atmosferico e acustico, l’urbanizzazione incontrollata…- hanno contribuito al diffondersi nelle coscienze la necessità di organizzare in maniera razionale le risorse territoriali disponibili, rispettando gli equilibri ecologici e gli specifici caratteri strutturali. Questa volontà ha comportato, innanzi tutto, la necessità di integrare e unire “la conoscenza” con “l’intervento”, al fine di un’ottimizzazione funzionale e di una riqualificazione complessiva del territorio in cui si intende intervenire.”
Ciò comporta, a vari livelli territoriali, una nuova domanda di strumenti e di servizi informatici e, soprattutto, di strutture di Monitoraggio Ambientale e di Sistemi Informativi Territoriali (chiamati GIS in altre parti del presente lavoro) che guidano la definizione di modelli gestionali capaci di valorizzare pienamente le risorse ambientali disponibili. Il fine é quello di garantire al meglio la salute del cittadino, la stabilità ambientale e, contemporaneamente, rispondere in maniera adeguata alle svariate esigenze economiche e culturali della collettività.
Tenuto conto dei mutamenti che intervengono in maniera continua sul territorio e la necessità di censire tutte le informazioni presenti e visualizzare su cartografia adeguata gli interventi, si intuisce quanto sia importante poter disporre di uno strumento di supporto flessibile per la gestione di tali informazioni.
In tema di pianificazione territoriale le esigenze di un’Amministrazione comunale di una città, anche di dimensione medio – piccola, sono complesse e molto vincolanti per la scelta di un sistema informativo territoriale. Soprattutto per quanto riguarda i flussi di dati che interessano le varie aree dell’Amministrazione, che devono essere attentamente analizzati affinché il sistema possa funzionare correttamente.
La possibilità di disporre di informazioni organizzate e strutturate è un’esigenza di primaria importanza. Tale necessità si rivela ancor più impellente qualora la dimensione quantitativa dei dati da gestire si presenti rilevante e le relazioni tra gli stessi frequenti e complesse. Poter disporre velocemente e in maniera flessibile delle informazioni necessarie al momento opportuno può essere considerato il primo e indispensabile step di ogni processo orientato al problem solving in qualsiasi ambito ci si trovi ad operare. Risulta quindi opportuno l’impiego di risorse, allo scopo ben strutturate e pianificate, che siano di supporto nell’acquisizione, memorizzazione e gestione delle informazioni.
La scelta di qualsiasi supporto funzionale agli obiettivi citati deve essere condotta con estrema precisione e analiticità. Devono attentamente essere tenuti in considerazione i seguenti elementi: la tipologia dei dati in oggetto; la dimensione quantitativa degli stessi; le relazioni e i legami tra i diversi tipi di dati; la necessità di eventuali sviluppi futuri; l’interoperabilità con altri strumenti; la flessibilità e semplicità nell’utilizzo.
E’ importante notare che le scelte operate nella progettazione del supporto da utilizzare per l’elaborazione e la gestione delle informazioni determinano in maniera rilevante le modalità operative del lavoro che si deve svolgere. Il supporto informatico di seguito analizzato propone un’ipotesi di soluzione a questo problema.
Geographic Information Systems (GIS)
Un sistema informativo territoriale è uno strumento informatico utilizzabile mediante personal computer, con ordinaria configurazione hardware, che consente di rappresentare e gestire tutte le problematiche legate al territorio, fornendo a tutti gli utenti un mezzo di pianificazione e controllo delle aree di loro competenza. Il suo utilizzo è vastissimo: contempla la pianificazione territoriale, la gestione di reti tecnologiche, di cartografie tematiche, geologiche, sismiche e di uso del suolo e via di seguito. Una caratteristica fondamentale è la possibilità di associare agli elementi grafici le informazioni alfanumeriche gestite da un database; ciò permette di realizzare la georeferenziazione delle informazioni al territorio. Infatti, è possibile lavorare con cartografia tramite computer, acquisendola o dagli Enti locali o mettendo su scanner le immagini cartografiche. Successivamente, disegnando su dei layer è possibile rappresentare vettorialmente qualsiasi oggetto, inserito quindi con latitudine e longitudine. Ne deriva che, cliccando su un oggetto, possono apparire le informazioni che si desiderano, foto compresa. Le operazioni da compiersi per la strutturazione e gestione di un GIS funzionale alle esigenze dell’utente possono schematizzarsi nel seguente modo: acquisizione della cartografia di base; georeferenziazione; posizionamento degli elementi di interesse nella forma grafica opportuna; associazione di informazioni alfanumeriche agli elementi posizionati; interrogazione del database ed interazioni con la rappresentazione grafica. Per quanto riguarda il primo punto, è necessario poter acquisire agevolmente la cartografia del territorio, anche in funzione delle eventuali variazioni che si possono verificare nel tempo a livello infrastrutturale. Flessibilità, versatilità e semplicità di utilizzo, come più volte ricordato, devono essere le qualità fondamentali possedute da questo strumento per la gestione complessiva del sistema. Inoltre bisogna considerare la possibilità di eventuali sviluppi integrati che consentano l’introduzione di tematismi particolari sul territorio come valido supporto al professionista, favorendo, in questo modo, le relazioni tra le realtà operative interessate (Comuni, Enti provinciali, eccetera). La caratteristica di interoperabilità del supporto a livello di rete deve essere attentamente valutata anche nei confronti delle altre realtà operanti sul territorio in qualsiasi ambito, dalla mobilità alle infrastrutture; potrebbe costituire un importante strumento comunicativo in grado di favorire l’integrazione operativa tra i vari interlocutori del settore.
Il programma Italia 2000
L’ortofoto digitale a colori è lo stadio più recente dell’evoluzione delle metodologie di rappresentazione del territorio e si impone, per efficacia, rapidità di consultazione ed economicità dei costi, come strumento imprescindibile per la costituzione o l’integrazione e l’aggiornamento della base di riferimento di un Sistema Informativo Territoriale. Ottenuta attraverso sofisticate elaborazioni digitali delle fotografie aeree, si caratterizza per l’immediatezza, l’attualità e la ricchezza del contenuto informativo, per la precisione geometrica, paragonabile a quella di cartografie di pari scala e per la flessibilità di gestione all’interno di un sistema informatico. Facilita la soluzione di problemi di navigazione aerea, marittima e terrestre ed è preferibile alla carta tradizionale anche per il maggiore livello di aggiornamento. Meno costosa e di più veloce producibilità rispetto alla carta convenzionale, integra in modo efficace le principali caratteristiche delle foto aeree (contenuto informativo) e della carta tradizionale (contenuto metrico).
Nel 1998 sono state realizzate riprese aerofotogrammetriche che coprono il 60% del territorio nazionale; il programma sarà completato entro il 1999. L’ortofoto digitale a colori che ne è derivata ha la scala nominale 1: 10 000 e risoluzione sul terreno pari a 1 metro. è il risultato del raddrizzamento differenziale dell’immagine aerofotogrammetrica digitalizzata, georeferenziata nel sistema geodetico – cartografico nazionale (Roma 40 – Gauss Boaga) e geometrizzata sulla base di un modello digitale del terreno realizzato ad hoc. Il modulo minimo è costituito dalla porzione di territorio coperta da una sezione della carta tecnica regionale 1:10 000 ed è inquadrato nella cartografia I.G.M. 1:50 000 come suo sottomultiplo. Le immagini riportate nelle pagine seguenti sono un esempio, parziale ma significativo, del patrimonio cartografico computerizzato relativo al nostro bel Paese, attraverso il quale è possibile realizzare elaborazioni complesse e rappresentare in modo sinottico i tematismi più svariati, afferenti alle problematiche del paesaggio italiano.
© Pubblicato sul n° 7 di EMMECIquadro
* Docente di Geografia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi della Calabria, si occupa principalmente di Sistemi di Informazione Geografica (GIS). Dal 1994, è membro della Commissione Tecnico – Scientifica del Ministero dell’Ambiente, dove lavora a tempo pieno.