Su invito del Centro Culturale Crossroads, due astrofisici – Marco Bersanelli e monsignor Michael Heller – in una serata dal titolo “Stupore e conoscenza: un dibattito su cosa è alla radice della scoperta scientifica” hanno parlato del loro amore per la natura, e per il Mistero al quale la natura tende. Malgrado nell’opinione corrente il ragionamento scientifico e quello “meramente personale” (come purtroppo lo definì Einstein) vengano spesso contrapposti, è quel misterioso desiderio che don Giussani chiama “senso religioso” che dà motivo allo scienziato per esplorare la natura. Secondo Bersanelli e Heller, se accogliamo seriamente questo desiderio così come esso viene risvegliato dalla natura, invece di censurarlo o ignorarlo, ci troveremo impegnati nella ricerca di qualcosa oltre la natura. Come ha sintetizzato Suzanne Tanzi nella sua introduzione: «C’è una diffusa visione sbagliata della scienza, come qualcosa che sia solo oggettività e distacco, come un processo meccanico. Ma la storia mostra che i grandi scienziati erano uomini appassionati alla conoscenza, affascinati dalla natura. Solo un interesse verso il mistero dell’universo e il desiderio di conoscerlo, li ha resi in grado di guardare con gli occhi spalancati e di andare oltre i preconcetti della loro epoca».
Bersanelli insegna Astrofisica all’Università di Milano. La sua disciplina, la cosmologia osservativa, studia l’universo nelle sue proporzioni più vaste e nella sua più ampia dilatazione temporale a ritroso. La stazione spaziale Planck, lanciata di recente e della quale è uno dei maggiori artefici, ha iniziato a mappare le origini del cosmo attraverso le tracce lasciate nella radiazione cosmica di microonde. Questa radiazione emana da ogni direzione nel cielo ed è la “post-luminescenza” del Big Bang.
Durante la sua presentazione, Bersanelli ha mostrato al pubblico alcune delle prime immagini giunte da Planck, che mostrano gli elementi costitutivi della struttura dell’universo moderno con una precisione di dettagli mai vista prima. Monsignor Heller, vincitore del Premio Templeton 2008, è filosofo, teologo e astrofisico e ha accostato le origini dell’universo e la sua successiva evoluzione dal versante teoretico, come esperto nel campo della relatività generale e della fisica dei buchi neri. La sua presentazione ha illustrato i modi che la cosmologia e la filosofia hanno cercato per comprendere come è iniziato l’universo. Secondo Heller, scienza e filosofia, e in particolare la filosofia resa viva dalla rivelazione cristiana, sono metodi diversi di esplorare la stessa natura. «Se vuoi cercare Dio nella scienza – ha affermato -, non cercarlo in possibilità astruse, ma in ciò che la scienza ha già afferrato del Logos dell’universo».
Il professor John McCarthy, docente di Filosofia alla Catholic University of America, ha introdotto la serata con un aneddoto. Una volta suo figlio, vedendo la falce della luna, ha esclamato: «Guarda, papà, la luna è rotta, prendi il cacciavite e aggiustala!». Questo stupore è all’inizio della ricerca scientifica. Lo stupore, ha detto McCarthy, è la convinzione che questa certa cosa in natura «ha qualcosa a che fare con me».
Il nuovo libro di Bersanelli, Da Galileo a Gell-Mann: lo stupore che ha ispirato i più grandi scienziati di tutti i tempi, (Ed italiana Solo lo stupore conosce, Rizzoli, BUR 2003) scritto con Marco Gargantini, è il racconto di come questo stupore ha operato nella vita dei più grandi scienziati della storia. La prima testimonianza riportata nel libro è di Max Planck (che ha dato il nome della stazione spaziale): «Chi ha raggiunto lo stadio di non meravigliarsi più di nulla dimostra semplicemente di aver perduto l’arte del ragionare e del riflettere». La nozione che c’è una esperienza “soggettiva” (stupore) alla base delle scoperte scientifiche si ritrova nel pensiero di Planck, Einstein, Feynman, Heisenberg e altri, per non dire di Galileo e Gell-Mann.
Heller ha affermato che «il mistero dell’esistenza è uguale al mistero della comprensibilità del mondo. Qualcosa di assolutamente irrazionale non avrebbe potuto essere creato, non potrebbe proprio esistere, perché Dio è razionale».
La razionalità, ossia la comprensibilità di una cosa, è alla radice dell’affermazione che questa cosa «ha qualcosa a che fare con me».
Perché la matematica, creata dalla mente dell’uomo, infinitamente piccola rispetto al cosmo, dovrebbe occuparsi delle galassie più lontane, o delle origini dello stesso universo? E ha proseguito citando Leibniz: «Perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla? Dopo tutto, il nulla è più semplice e facile di qualcosa». Questa seconda domanda di Leibniz viene oggi spesso confinata nel campo dell’irrazionale, ma Heller ha riferito che sant’Agostino, cercando di rispondervi molti secoli prima, arrivò alla conclusione che il tempo stesso era un fenomeno creato, e che la creazione non era accaduta “nel tempo”, ma “con l’inizio del tempo”. E questo è proprio il modo con cui la teoria della relatività generale è arrivata a spiegare l’inizio dell’universo, ossia che il tempo e l’espandersi dello spazio sono davvero iniziati al principio di tutto, e avevano poco significato prima. Ciò non significa che sant’Agostino stesse facendo una previsione empirica, ma piuttosto che, scandagliando il fondo della questione – «Perché esiste l’universo» – gli accadde di guardare allo stesso universo che molti secoli più tardi si è cercato di comprendere attraverso il linguaggio matematico della relatività generale. Ha proseguito dicendo che «persino nei più piccoli successi della scienza c’è sempre una promessa di qualcosa di più grande, di una spiegazione definitiva. Il nostro anelito verso una spiegazione definitiva è correlato con domande molto ambiziose e profonde: come, quando e perché l’universo è giunto a esistere?».
Nella sua presentazione, Bersanelli ha affermato che lo stupore che motiva la ricerca non è «solo un’emozione, ma genera un processo conoscitivo. Di solito noi pensiamo alla scienza come quel modo di spiegare la realtà che, tanto più progredisce, tanto più estromette lo stupore, perché possediamo la spiegazione… Ma quanto più progredisce la conoscenza, tanto più profondi e affascinanti misteri emergono. Costruire uno strumento è come porre una domanda». «Bisogna porre una buona domanda per avere una buona risposta! L’osservazione è tutt’altro che una attività ovvia». Il gesto concreto di preparare un esperimento o di compiere un’osservazione controllata richiede apertura alla realtà al di là di quella che abbiamo già immaginato. Ha proseguito stupendo l’uditorio con l’ultima mappa del cielo inviata dalla stazione Planck: immagini straordinariamente nitide delle piccole, impercettibili increspature (anisotropie) nella radiazione di fondo a microonde che George Smoot (suo collega) scoprì insieme a John Mather (entrambi premi Nobel per la fisica). Queste increspature sono le prime tracce di una struttura dopo il Big Bang, e da loro ha inizio il processo che ha portato al formarsi delle galassie.
Agli occhi di Bersanelli, la natura non è passiva; di fatto, ogni scoperta è una “risposta” attiva che riceviamo dalla natura. «Non si può fermare la verità», mi ha ricordato poco prima dell’inizio della presentazione.
Seguendo il tema del titolo, “Da Galileo a Gell-Mann”, ha descritto il percorso della scoperta basato su quattro colonne portanti: stupore, osservazione, scoperta e scopo. Poi ha considerato il complesso dei punti di vista degli scienziati a questo riguardo. Il più sintetico è la nota affermazione del fisico Stephen Weinberg, secondo cui «quanto più l’universo appare comprensibile, tanto più appare senza scopo». Molto meno nota – ha sottolineato Bersanelli – è l’affermazione con cui, rispondendo ad alcune osservazioni dell’astronomo Gerard de Vaucouleurs, Weinberg stesso esprime «la nostalgia di un mondo in cui i cieli narravano la gloria di Dio».
Bersanelli ha proseguito: «Persino nella posizione più radicalmente pessimista c’è una nostalgia ineliminabile. Nella posizione degli scienziati credenti cristiani, essi identificano il loro lavoro come una consapevole preghiera al Creatore. Questo è un modo particolarmente interessante di concepire il lavoro scientifico».
Lo spazio
riservato alle domande non è stato meno affascinante. «Se davvero lo stupore è parte integrale della scoperta, questo rifiuto non ha in un certo senso un riflesso negativo sulla loro ricerca?» ha chiesto McCarthy. Bersanelli ha risposto con un paragone con la vita familiare, dove uno può avere un figlio, ma essere un cattivo padre. In altre parole, lo stupore suscitato dalla scoperta può soffrire se non è alimentato; nel processo di ricerca del significato è la libertà a essere intimamente implicata. «L’evoluzione biologica è solo una fibra dell’evoluzione cosmica», ha detto Heller rispondendo a un altro intervento che chiedeva che cosa hanno a che fare l’evoluzione della vita e l’evoluzione del cosmo. «Noi siamo composti di atomi di carbonio. Per produrre il carbonio, occorrono molte generazioni di stelle. Gli elementi più pesanti sono concentrati all’interno delle stelle calde». John McCarthy ha concluso l’incontro sottolineando che i due scienziati sono animati dalla convinzione che c’è un modo di guardare alla natura che può rendere ciascuno più attento al mondo che ci circonda.