Non capita tutti i giorni di vedere il Papa che ha tra le mani una pietra quasi certamente proveniente da Marte, che osserva al microscopio un frammento di meteorite rinvenuto vicino alla “sua” Monaco di Baviera, che sfoglia antichi volumi di Copernico, Keplero e Newton. È accaduto mercoledì pomeriggio, 16 settembre, a Castel Gandolfo, nel corso della visita di Benedetto XVI ai nuovi edifici della Specola Vaticana. Gli astronomi gesuiti hanno infatti lasciato in giugno il Palazzo Pontificio – che li ospitava con i loro strumenti dal 1935 – trasferendosi nell’antico monastero delle basiliane, situato sempre all’interno delle Ville Pontificie, ma all’estremo confine meridionale, dove si accede anche dal cancello che affaccia su piazza Pia, nel centro storico di Albano.
Nei locali ristrutturati il Papa ha trascorso quasi un’ora con la piccola comunità scientifica, in un clima molto familiare. Accompagnato dall’arcivescovo James Michael Harvey, prefetto della Casa pontificia, dai monsignori Georg Gänswein, suo segretario particolare, e Alfred Xuereb, della Segreteria particolare, e da Saverio Petrillo, direttore delle Ville Pontificie, Benedetto XVI è stato accolto dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato, da cui la Specola dipende, e dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, segretario generale; dai padri gesuiti Adolfo Nicolás Pachón, preposito generale, e José
Gabriel Funes, direttore dell’Osservatorio dal 2006. All’ingresso, il Pontefice è stato salutato con un applauso dalla comunità e dal personale, quindi ha benedetto i locali e guidato un breve momento di preghiera, al termine del quale il cardinale Lajolo gli ha mostrato la targa marmorea a ricordo dell’avvenimento.
È seguita la visita agli uffici, alla sala conferenze, alla zona scuola, alla biblioteca e alla residenza dei gesuiti che lavorano all’Osservatorio. Tra antichi telescopi e astrolabi, Benedetto XVI si è soffermato davanti alla ricca collezione di meteoriti, dalle quali gli studiosi ricavano preziose informazioni sui primordi del sistema solare. L’astronomo statunitense Guy Consolmagno, fratello gesuita, ha prelevato dalla bacheca alcuni reperti a cominciare da quello di Nakhla – dal nome della località egiziana in cui è stato avvistato e rinvenuto nel 1911 – che sarebbe piovuto sulla terra dal “Pianeta rosso” milioni di anni fa. Il Pontefice ha preso in mano il piccolo minerale – avvolto in un fazzoletto bianco – e incuriosito ha fatto alcune domande sulla sua composizione, chiedendo anche com’è stato possibile accertare che sia di provenienza marziana. Poi ha toccato un grosso pezzo del “Canyon Diablo”, l’enorme meteorite che circa decine di migliaia di anni fa colpì la terra in Arizona, nel punto dove ora si trova il cratere più famoso del mondo. Infine ha ammirato un piccolo frammento di terreno lunare.
Successivamente nella sala conferenze l’ingegner Cuscianna, direttore dei Servizi tecnici del Governatorato, ha illustrato al Papa i lavori eseguiti: è stata prevista anche una foresteria destinata ai ricercatori esterni. Quindi nella biblioteca, il giovane padre David Brown, laureato a Oxford, gli ha mostrato antiche edizioni di opere che hanno fatto la storia dell’astrofisica e della cosmologia: De revolutionibus orbium coelestium di Copernico; Epitome astronomiae di Keplero; Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton. Benedetto XVI li ha sfogliati con cura soffermandosi in particolare su Le stelle di padre Angelo Secchi – che per primo classificò gli astri in base ai loro spettri – il cui nome gli ha evocato ricordi sul suo ministero di giovane sacerdote a Monaco. E con il pensiero alla città è tornato quando subito dopo, al microscopio, ha potuto osservare un frammento di meteorite rinvenuto nel 1768 proprio nella terra bavarese che 82 anni fa ha dato i natali a Joseph Ratzinger.
Infine, raggiunto in ascensore il piano superiore, il Papa si è inginocchiato in preghiera nella piccola cappella della comunità dei gesuiti, della quale è superiore padre Giuseppe Koch. Al termine Benedetto XVI ha firmato la pergamena che sarà collocata a fianco di quella con i nomi dei suoi predecessori. Tra questi spicca l’autografo di Pio xi, che per una singolare coincidenza porta la data di esattamente 75 anni prima: il 16 settembre 1934.
Nel corso dell’incontro padre Funes ha anche parlato del libro The hevavens proclaim. Astronomy and Vatican edito quest’anno dalla Libreria Editrice Vaticana e ha fatto ripercorrere al Pontefice la storia di uno degli Osservatori astronomici più antichi del mondo, la cui origine risale alla seconda metà del sedicesimo secolo, quando Gregorio XIII fece erigere in Vaticano nel 1578 la Torre dei Venti, invitando i gesuiti astronomi e matematici del Collegio Romano a preparare la riforma del calendario che porta il suo nome, realizzato poi nel 1582. Sulla base di questa tradizione Leone XIII, per contrastare le accuse di oscurantismo rivolte alla Chiesa, con il motu proprio Ut mysticam del 14 marzo 1891 rifondò poi l’Osservatorio sul colle Vaticano, dietro la basilica di San Pietro.
Da allora, quella attuale è la quarta sede. Senza contare che dal 1981 la Specola ha anche un secondo centro di ricerca negli Stati Uniti a Tucson, ospite dell’università dell’Arizona, dove i gesuiti – in collaborazione con l’Osservatorio Steward – hanno portato a termine la costruzione del primo telescopio ottico-infrarosso, collocandolo sul Monte Graham, il migliore sito astronomico del continente nordamericano. Il Telescopio vaticano a tecnologia avanzata è un gioiello la cui realizzazione è stata possibile grazie alla Vatican Observatory Foundation, presieduta dal gesuita George Coyne, già direttore della Specola, anch’egli presente alla cerimonia inaugurale di mercoledì pomeriggio.
Gabriel Funes, direttore dell’Osservatorio dal 2006. All’ingresso, il Pontefice è stato salutato con un applauso dalla comunità e dal personale, quindi ha benedetto i locali e guidato un breve momento di preghiera, al termine del quale il cardinale Lajolo gli ha mostrato la targa marmorea a ricordo dell’avvenimento.
È seguita la visita agli uffici, alla sala conferenze, alla zona scuola, alla biblioteca e alla residenza dei gesuiti che lavorano all’Osservatorio. Tra antichi telescopi e astrolabi, Benedetto XVI si è soffermato davanti alla ricca collezione di meteoriti, dalle quali gli studiosi ricavano preziose informazioni sui primordi del sistema solare. L’astronomo statunitense Guy Consolmagno, fratello gesuita, ha prelevato dalla bacheca alcuni reperti a cominciare da quello di Nakhla – dal nome della località egiziana in cui è stato avvistato e rinvenuto nel 1911 – che sarebbe piovuto sulla terra dal “Pianeta rosso” milioni di anni fa. Il Pontefice ha preso in mano il piccolo minerale – avvolto in un fazzoletto bianco – e incuriosito ha fatto alcune domande sulla sua composizione, chiedendo anche com’è stato possibile accertare che sia di provenienza marziana. Poi ha toccato un grosso pezzo del “Canyon Diablo”, l’enorme meteorite che circa decine di migliaia di anni fa colpì la terra in Arizona, nel punto dove ora si trova il cratere più famoso del mondo. Infine ha ammirato un piccolo frammento di terreno lunare.
Successivamente nella sala conferenze l’ingegner Cuscianna, direttore dei Servizi tecnici del Governatorato, ha illustrato al Papa i lavori eseguiti: è stata prevista anche una foresteria destinata ai ricercatori esterni. Quindi nella biblioteca, il giovane padre David Brown, laureato a Oxford, gli ha mostrato antiche edizioni di opere che hanno fatto la storia dell’astrofisica e della cosmologia: De revolutionibus orbium coelestium di Copernico; Epitome astronomiae di Keplero; Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton. Benedetto XVI li ha sfogliati con cura soffermandosi in particolare su Le stelle di padre Angelo Secchi – che per primo classificò gli astri in base ai loro spettri – il cui nome gli ha evocato ricordi sul suo ministero di giovane sacerdote a Monaco. E con il pensiero alla città è tornato quando subito dopo, al microscopio, ha potuto osservare un frammento di meteorite rinvenuto nel 1768 proprio nella terra bavarese che 82 anni fa ha dato i natali a Joseph Ratzinger.
Infine, raggiunto in ascensore il piano superiore, il Papa si è inginocchiato in preghiera nella piccola cappella della comunità dei gesuiti, della quale è superiore padre Giuseppe Koch. Al termine Benedetto XVI ha firmato la pergamena che sarà collocata a fianco di quella con i nomi dei suoi predecessori. Tra questi spicca l’autografo di Pio xi, che per una singolare coincidenza porta la data di esattamente 75 anni prima: il 16 settembre 1934.
Nel corso dell’incontro padre Funes ha anche parlato del libro The hevavens proclaim. Astronomy and Vatican edito quest’anno dalla Libreria Editrice Vaticana e ha fatto ripercorrere al Pontefice la storia di uno degli Osservatori astronomici più antichi del mondo, la cui origine risale alla seconda metà del sedicesimo secolo, quando Gregorio XIII fece erigere in Vaticano nel 1578 la Torre dei Venti, invitando i gesuiti astronomi e matematici del Collegio Romano a preparare la riforma del calendario che porta il suo nome, realizzato poi nel 1582. Sulla base di questa tradizione Leone XIII, per contrastare le accuse di oscurantismo rivolte alla Chiesa, con il motu proprio Ut mysticam del 14 marzo 1891 rifondò poi l’Osservatorio sul colle Vaticano, dietro la basilica di San Pietro.
Da allora, quella attuale è la quarta sede. Senza contare che dal 1981 la Specola ha anche un secondo centro di ricerca negli Stati Uniti a Tucson, ospite dell’università dell’Arizona, dove i gesuiti – in collaborazione con l’Osservatorio Steward – hanno portato a termine la costruzione del primo telescopio ottico-infrarosso, collocandolo sul Monte Graham, il migliore sito astronomico del continente nordamericano. Il Telescopio vaticano a tecnologia avanzata è un gioiello la cui realizzazione è stata possibile grazie alla Vatican Observatory Foundation, presieduta dal gesuita George Coyne, già direttore della Specola, anch’egli presente alla cerimonia inaugurale di mercoledì pomeriggio.