Gianluca Lapini, IlSussidiario.net, 11 settembre 2009
«Io sono il vento, sono la furia che passa e che porta con sé…» così iniziava una bella canzone di tanti anni fa che andrebbe bene come inno della Sky WindPower Corporation la società nata per commercializzare l’idea del professore australiano Bryan Roberts di sfruttare i venti di alta quota per produrre energia elettro-eolica in quantità molto maggiore di quanto si può fare con i venti che spirano a livello del terreno.
Si è ormai ampliato il comparto scientifico-industriale che trenta/quaranta anni fa, sull’onda delle prime crisi petrolifere, giocò la scommessa di rivitalizzare la vecchia tecnologia dei mulini a vento (nata nel medioevo e prosperata fino all’Ottocento, per essere poi gradualmente scalzata dalle macchine a vapore) facendola divenire la più promettente alternativa alla produzione di energia elettrica da combustibili fossili. La scommessa si è dimostrata alla lunga vincente e in tale scenario la Sky WindPower si trova in quello che gli americani chiamano cutting edge, la punta avanzante della ricerca e sviluppo, che ara terreni ancora inesplorati cercando di trasformare idee che oggi ci possono sembrare fantascientifiche in ciò che potrà essere la realtà industriale di un futuro non troppo lontano. Ma di strada le idee di Roberts ne hanno da fare sicuramente tanta: immaginate infatti di piazzare il rotore di 70-80 metri di diametro del vostro generatore eolico, non in cima ad un palo alto 90-100 metri, da collocare su una collina ventosa o in mezzo al mare, che è già una bella impresa, ma di portarlo ad alta quota, a 9-10.000 metri, dove spirano i venti forti e costanti delle “correnti a getto”, quelle che gli aeroplani di linea sfruttano per ridurre i tempi dei lunghi voli intercontinentali.
Per far questo trasformate il vostro rotore in una specie di aquilone ancorato ad un lungo cavo, che oltre a trattenerlo porta a terra l’energia elettrica prodotta. Per essere più precisi due o quattro rotori verrebbero connessi fra di loro mediante un telaio rigido, quasi a formare un gigantesco elicottero multi rotore, in grado di innalzarsi da sé, nella fase iniziale, quando i suoi generatori elettrici verrebbero usati come motori per portarlo in quota. Una volta raggiunta la quota delle correnti a getto l’inclinazione delle pale dei rotori verrebbero opportunamente variata in modo da far ruotare le pale nel vento, generando nel
contempo sia la portanza necessaria a mantenere la macchina in volo stazionario, sia la potenza elettrica utile. Che una simile macchina possa funzionare è già stato dimostrato da Roberts e dalla Sky WindPower con dei piccoli prototipi, per il momento fatti funzionare a quote piuttosto basse, anche se già interessanti perché come è noto l’intensità del vento cresce sensibilmente innalzandosi anche di poche centinaia di metri sul terreno. In questo senso non mancano le idee di sfruttare un simile vantaggio, anche con delle configurazioni di generatori eolici “terrestri”, ma azionate da un “carosello” di aquiloni, che avrebbero probabilmente minor impatto di macchine ancorate a cavi di migliaia di metri di lunghezza.
La grande potenzialità dei venti di alta quota è stata nel frattempo ampiamente studiata e stimata nel corso di ricerche sistematiche come quella condotta da Cristina Archer e Ken Caldera della Stanford University (California), che hanno analizzato lunghe serie di dati sui venti di alta quota disponibili presso i centri di previsione meteorologica di tutto il mondo. I due ricercatori hanno in particolare puntato la loro attenzione sui potenziali eolici d’alta quota delle aree più vicine ai grandi centri urbani, con l’intento di verificare che l’energia producibile sia disponibile non in arre remote, ma in vicinanza delle zone di maggior consumo. Ne sono scaturite interessanti conclusioni, come quella che grandi aree urbane poste a latitudini intermedie, quali New York e Tokyo, si trovano in zone di grandi potenzialità eoliche d’alta quota, mentre lo sono meno aree urbane più vicine ai tropici, quali Città del Messico o San Paolo.
Ovviamente, al di là degli impressionanti numeri di producibilità energetica complessiva che simili studi hanno resi noti e che naturalmente, come tutte le notizie del genere, sono stati “pompati” da molte fonti di informazione, è importante accennare anche ad alcuni dei più ovvi punti di domanda che questa tecnologia porrebbe (oltre alla intrinseca fattibilità tecnica), specie in termini di sicurezza (cose succederebbe se un cavo di ancoraggio si rompesse?) ed interferenza con altre attività umane, in particolare il traffico aereo.
Ognuno potrà poi assumere un’opinione di fiducia o di scetticismo nei confronti di simili futuribili idee, pur rimanendo ancorati alla constatazione storica che se la tecnologia ha spesso superato la fantasia dei contemporanei, non tutte le più pazze idee degli inventori sono divenute realtà industriali.