Gingerich (Harvard): Galileo e Copernico, quando la bellezza genera conoscenza

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Incontrare Owen Gingerich significa avere la possibilità di ripercorrere un pezzo di storia della scienza attraverso le parole precise e documentate di un uomo pacato e disponibile al dialogo e all’ascolto. Gingerich è professore emerito di astronomia e storia della scienza a Harvard, oltre che astronomo emerito allo Smithsonian Astrophysical Observatory: è una delle autorità mondiali nel suo campo e in particolare è il massimo studioso di Copernico e Keplero. Questo lo ha portato inevitabilmente ad approfondire l’avventura scientifica (e umana) di Galileo e in questo anno dedicato allo scienziato pisano ha girato il mondo raccontando le sue scoperte circa le scoperte astronomiche di Galileo. Un percorso che lo ha condotto fino a Rimini, dove al Meeting ha catturato l’interesse di migliaia di persone intervenendo alla presentazione della mostra “Cose mai viste” dedicata appunto a Galileo e alle sue osservazioni di 400 anni fa.
La conversazione con lui non può che prendere le mosse da Copernico e dal suo libro il cui titolo contiene sì la parola Revolutionibus, ma per indicare il moto di rivoluzione dei pianeti attorno al Sole più che per annunciare intenzioni rivoluzionarie. Il bello è che a questo libro Gingerich ha dedicato 30 anni di studi, andando ad esaminare e a censire 580 copie originali del sedicesimo secolo distribuite nelle biblioteche non solo europee e americane ma anche cinesi, giapponesi e australiane. Ne è uscito un volume monografico monumentale di oltre 400 pagine e successivamente un libro che racconta queste peregrinazioni copernicane intitolato Il libro che nessuno ha letto (anche se poi nell’edizione italiana è diventato, un po’ cinematograficamente, Alla ricerca del libro perduto).
Cosa ha scoperto di Copernico il professor Gingerich? «Potrei dire che Copernico ha trasformato la Terra in un pianeta e così ha inventato il Sistema Solare. Il suo infatti è stato un paziente lavoro di analisi e rielaborazione dei dati astronomici per arrivare a un modello che è come una raccolta di ricette per i calcoli planetari: ricette che non modificano la costruzione tolemaica fatta di una combinazione di moti circolari, se non per il fatto di promuovere il Sole al ruolo di centro di tutto il sistema».
Gingerich tiene a sottolineare che l’innovazione copernicana è stata spinta da un principio estetico: la configurazione eliocentrica era “più bella” e Copernico era un uomo sensibile al bello anche nella scienza. «Pochi hanno apprezzato questo cambiamento di paradigma, e fra questi c’era senz’altro Galileo. Che era copernicano fin dai suoi primi momenti del suo percorso scientifico; ma era un copernicano timido e all’università di Padova continuava ad insegnare il sistema geocentrico costruito da Tolomeo».
Ma poi è accaduto qualcosa. È arrivata la notizia del cannocchiale e a Galileo non è sfuggita la grandezza dell’invenzione e la possibilità di perfezionarla e potenziarla. Oltre ai vantaggi delle due lenti ben lavorate di cui ha potuto disporre, Galileo ha apportato accorgimenti essenziali come il diaframma di carta che lascia libera solo la parte centrale della lente ma così evita i possibili disturbi dovuti alla aberrazione sferica. Questo tuttavia ha avuto anche i suoi svantaggi, perché ha ridotto ulteriormente il campo di visuale del cannocchiale galileiano. «Così la Luna vista da Galileo nel dicembre 1609 era inquadrata un pezzo alla volta e mai tutta intera. Si capiscono in tal modo le forzature presenti nei suoi bellissimi disegni del nostro satellite, dove si vedono mari e crateri più grandi di come dovrebbero essere e collocati in posizioni improbabili». Anche per questo però Gingerich trova una spiegazione da storico della scienza: «A Galileo non interessava la cartografia, bensì la topografia. Cioè il suo interesse non era diretto a disegnare mappe precise e dettagliate della superficie lunare quanto piuttosto a raffigurarne la struttura irregolare, increspata, ondulata, che la faceva assomigliare ad alcuni ambienti terrestri togliendole la cristallina levigatezza e sconvolgendo la visione aristotelica millenaria».
Se l’obiettivo di inficiare il modello aristotelico è stato pienamente centrato, anche se a fine cinquecento tale sistema non era poi così in salute, meno conclusivo è stato l’appoggio a Copernico: «Galileo non è riuscito a dimostrare il sistema Copernicano, né a fornire la prova che la Terra è in movimento sulla sua orbita attorno al Sole. Ha però reso il copernicanesimo più ragionevole e rendendo queste idee rispettabili e credibili ha cambiato il modo di fare scienza».
Il nostro interlocutore non si sottrae a un cenno sulla annosa questione del processo del 1633; processo del quale ha potuto qualche anno fa esaminare la documentazione presso gli archivi vaticani. Gingerich ritiene che Galileo era desideroso «di convincere le autorità della Chiesa a non attaccarsi a un solo particolare modello di universo, quale era quello aristotelico-tolemaico». E la sua antica amicizia col Papa Urbano VIII lo ha portato a sottovalutare la criticità del contesto storico e culturale. «Dal canto suo Urbano VIII, nel favorire inizialmente la stesura del Dialogo dei massimi sistemi, non immaginava il testo che poi Galileo ha prodotto: probabilmente si aspettava qualcos’altro, un’opera più tecnica, più neutrale dal punto di vista ideologico».
Anche alla luce di una precisa ricostruzione storica, come quella che può fare uno studioso come Gingerich, l’espressione che più efficacemente sembra identificare il “caso” Galileo è quella coniata da Giovanni Paolo II nel 1992: “tragica reciproca incomprensione”.