Il Foglio, 27 ottobre 2009, di Stefania Vitulli
“Per la cultura non c’è salvezza se non come espressione di ricerca della Verità ovvero se non come espressione della Fede”. Che formulata da uno tra i membri più giovani de l’Académie des Sciences è sempre un’affermazione di un certo peso. “Il motivo per cui abbandonai l’incarico al ministero? Ho smesso di pensare che volevo salvare il mondo”. Nel dettaglio, il mondo di Laurent Lafforgue, 43enne matematico cattolico, medaglia Fields 2002, il Nobel per la matematica, genio indiscusso della teoria dei numeri e della geometria algebrica, è l’intero sistema educativo francese. Del quale si è impicciato per un lustro e che ora ha lasciato al suo destino: “Avete una sola fortuna in Italia: essere arretrati rispetto alla disfatta educativa della Francia”. Protagonista nel 2005 di un “affaire” che lo vide nominato da Chirac membro dell’Haute Conseil de l’Education e dimissionato già dopo la prima riunione per “propositi violenti” nei confronti dei “colleghi”- esposti in un dossier in cui esprimeva dubbi cìrca l’adeguata preparazione dell’intero ministero dell’Educazione: “E’ come se un Comitato per i diritti dell’uomo si affidasse – ai consigli dei khmer rossi” – Lafforgue è di genialità dimessa, ma letale. Uno spirito à la Occam che lo ha portato a piazzarsi in prima fila tra i 700 intellettuali (“Ma ormai la Francia è orfana di maître à penser. I veri filosofi, Michel Henry, Philippe Muray, Rémi Brague, Fabrice Hadjadj, non sono mai stati invitati in tv”) che accolsero il Papa al Collège des Bernardins. Oggi Lafforgue è in Italia per una lezione al Centro culturale di Milano, ispirata dall’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”. Il titolo è intrigante, “Amore e conoscenza”. Chiedergli come il potenziale rapporto d’amore nella trasmissione di conoscenza si sia ridotto a dito puntato sui sexgate e che fine abbia fatto la paideia – per lui “educazione” – è naturale: “Che sia venuta a mancare la relazione educativa tra adulti e minori è un fatto. Gli adulti sono incapaci di farsi carico dei bisogni di bambini e adolescenti, incapaci di capire l’infanzia e l’inunaturità, l’enigma dell’essere umano che si sta formando e trasformando. Incapaci dì nutrirne lo spirito, di trasmettere loro cultura. Perciò cercano di far crescere i piccoli il prima possibile, vogliono trattare solo con adulti, con individui autonomi. Abbiamo un dubbio fondamentale sul valore di ciò che trasmetteremo. II motivo è la perdita di certezze. Charles Péguy diceva: ‘Una civiltà che non insegna è una civiltà che non ama se stessa’. Ci siamo persi dopo la Prima guerra mondiale, avanza Lafforgue. Il tornante post anni Sessanta è solo un contraccolpo dei conflitti, in particolare del suicidio dell’Europa del 1914, che dominava il mondo, brillante nelle arti e nelle scienze, ma al fondo falsa nel suo modello laico, positivista, di morale esigentissima e ammirevole, ma di ambigui valori. “Siamo molto orgogliosi. Pensiamo di essere superiori a tutti e invece affondiamo” aggrava Lafforgue, di cui esce in Italia “La disfatta della scuola” (Marietti). “In Francia il numero di suicidi tra i giovani è altissimo. La cultura è atrofizzata, delegittimata con l’arma delle scienze positive. La passione giovanile si concentra sulla musica, unico collante sociale, privo di ogget tività e che non dà alcuna soddisfazione intellettuale all’esigenza di Verità”. All’adolescente europeo dissociato, schifiltoso del proprio retaggio spirituale, toccano soprattutto genitori inani al “No”, che rifiutano il dolore legato al ruolo educativo: “Solo gli imprenditori sono allentati: non vedono successori”. Lafforgue non è uscito dal “giro”. Si occupa dì educazione in scuole private radicalmente intese: non quelle pienamente riconosciute dallo stato, ma le “hors contrat”, a pagamento, senza finanziamenti pubblici: ‘Le uniche microrealtà in cui si riesca a capire se la cultura è ancora un valore”.
“Per la cultura non c’è salvezza se non come espressione di ricerca della Verità ovvero se non come espressione della Fede”. Che formulata da uno tra i membri più giovani de l’Académie des Sciences è sempre un’affermazione di un certo peso. “Il motivo per cui abbandonai l’incarico al ministero? Ho smesso di pensare che volevo salvare il mondo”. Nel dettaglio, il mondo di Laurent Lafforgue, 43enne matematico cattolico, medaglia Fields 2002, il Nobel per la matematica, genio indiscusso della teoria dei numeri e della geometria algebrica, è l’intero sistema educativo francese. Del quale si è impicciato per un lustro e che ora ha lasciato al suo destino: “Avete una sola fortuna in Italia: essere arretrati rispetto alla disfatta educativa della Francia”. Protagonista nel 2005 di un “affaire” che lo vide nominato da Chirac membro dell’Haute Conseil de l’Education e dimissionato già dopo la prima riunione per “propositi violenti” nei confronti dei “colleghi”- esposti in un dossier in cui esprimeva dubbi cìrca l’adeguata preparazione dell’intero ministero dell’Educazione: “E’ come se un Comitato per i diritti dell’uomo si affidasse – ai consigli dei khmer rossi” – Lafforgue è di genialità dimessa, ma letale. Uno spirito à la Occam che lo ha portato a piazzarsi in prima fila tra i 700 intellettuali (“Ma ormai la Francia è orfana di maître à penser. I veri filosofi, Michel Henry, Philippe Muray, Rémi Brague, Fabrice Hadjadj, non sono mai stati invitati in tv”) che accolsero il Papa al Collège des Bernardins. Oggi Lafforgue è in Italia per una lezione al Centro culturale di Milano, ispirata dall’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”. Il titolo è intrigante, “Amore e conoscenza”. Chiedergli come il potenziale rapporto d’amore nella trasmissione di conoscenza si sia ridotto a dito puntato sui sexgate e che fine abbia fatto la paideia – per lui “educazione” – è naturale: “Che sia venuta a mancare la relazione educativa tra adulti e minori è un fatto. Gli adulti sono incapaci di farsi carico dei bisogni di bambini e adolescenti, incapaci di capire l’infanzia e l’inunaturità, l’enigma dell’essere umano che si sta formando e trasformando. Incapaci dì nutrirne lo spirito, di trasmettere loro cultura. Perciò cercano di far crescere i piccoli il prima possibile, vogliono trattare solo con adulti, con individui autonomi. Abbiamo un dubbio fondamentale sul valore di ciò che trasmetteremo. II motivo è la perdita di certezze. Charles Péguy diceva: ‘Una civiltà che non insegna è una civiltà che non ama se stessa’. Ci siamo persi dopo la Prima guerra mondiale, avanza Lafforgue. Il tornante post anni Sessanta è solo un contraccolpo dei conflitti, in particolare del suicidio dell’Europa del 1914, che dominava il mondo, brillante nelle arti e nelle scienze, ma al fondo falsa nel suo modello laico, positivista, di morale esigentissima e ammirevole, ma di ambigui valori. “Siamo molto orgogliosi. Pensiamo di essere superiori a tutti e invece affondiamo” aggrava Lafforgue, di cui esce in Italia “La disfatta della scuola” (Marietti). “In Francia il numero di suicidi tra i giovani è altissimo. La cultura è atrofizzata, delegittimata con l’arma delle scienze positive. La passione giovanile si concentra sulla musica, unico collante sociale, privo di ogget tività e che non dà alcuna soddisfazione intellettuale all’esigenza di Verità”. All’adolescente europeo dissociato, schifiltoso del proprio retaggio spirituale, toccano soprattutto genitori inani al “No”, che rifiutano il dolore legato al ruolo educativo: “Solo gli imprenditori sono allentati: non vedono successori”. Lafforgue non è uscito dal “giro”. Si occupa dì educazione in scuole private radicalmente intese: non quelle pienamente riconosciute dallo stato, ma le “hors contrat”, a pagamento, senza finanziamenti pubblici: ‘Le uniche microrealtà in cui si riesca a capire se la cultura è ancora un valore”.