Ma l’Universo ha bisogno di Dio

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

«Nessun fisico o chimico, osservando l’incredibile efficienza e il disegno perfetto di una proteina formata da 2000 atomi potrebbe seriamente pensare che tutti quegli atomi siano andati a collocarsi “per puro caso” nella loro posizione. La mutazione casuale potrebbe avvenire una volta su 10 alla 321a potenza, e quindi non basterebbe a realizzare quella raffinata proteina». Per Owen Gingerich, credente e grande astronomo, in questo e altri casi analoghi ci troveremmo davanti a un enorme e complicatissimo set di costruzioni Lego, non accompagnato da alcun modello o progetto. Gingerich, classe 1930, è professore di Astronomia e Storia della scienza ad Harvard e astronomo emerito allo Smithsonian Astraphysical Observatary. Cominciò come assistente estivo di Harlow Shapley, allora astro indiscusso del firmamento scientifico americano. E negli anni si fece un’idea molto precisa del rapporto-scontro tra scienza e fede e dell’atteggiamento che gli scienziati spesso tenevano nei confronti della fede: «Il fatto che la scienza, all’interno della sua struttura, non possa funzionare altrimenti, non significa necessariamente che l’universo sia privo di un Dio». In Italia, Gingerich è conosciuto dal pubblico soprattutto per God’s Universe, tradotto come «Cercando Dio nell’Universo» da Lindau. Il 27 agosto il professore parlerà al Meeting di Rimini del conflitto che ebbe al centro Galileo e che ora, chiarito ogni punto, è motivo di dialogo e non di scontro. Tema della discussione: «Galileo, fascino e travaglio di un nuovo sguardo sul mondo».

Galileo era religioso e non dubitava del ruolo creatore di Dio. I fisici di oggi riconoscono il «fine tuning», il bilanciamento dei parametri della fisica, e molti di loro  hanno compreso che il ruolo di Dio, per la scienza in quanto tale, non è visibile ma non può nemmeno essere escluso.
«Ma l’equilibrio tra l’energia di espansione verso l’esterno e l’opera delle forze gravitazionali che trattengono insieme ogni cosa appare il segno di una mano creatrice anche a scienziati agnostici convinti, come Fred Hoyle. Secondo il quale “una ragionevole interpretazione dei fatti rivela l’intervento di un’intelligenza superiore, tanto nella fisica quanto nella chimica e nella biologia, e suggerisce che in natura non esistano forze senza uno scopo, di cui valga davvero la pena di parlare”».

L’uomo e la donna guardano la natura che li circonda ed esclamano: ma allora noi eravamo attesi in questo mondo… Emergono nuovi indizi sull’universo «fatto per il genere umano»?
«Prima di tutto, ci troviamo all’interno di un universo immenso e antichissimo. In un universo più piccolo e più giovane, la nostra comparsa non sarebbe stata possibile: sarebbe mancato il tempo per cuocere a fuoco lento gli elementi necessari alla vita. Il nostro universo è straordinariamente ospitale e adatto allo sviluppo di forme di vita intelligenti. Ma, per ritrovare il ruolo del divino oggi negato da molti scienziati, torniamo indietro fino a Isaac Newton. Nei 18 anni che dedicò alla stesura dei Principia, capì che il fenomeno della gravitazione era universale e che ogni massa attraeva qualsiasi altra massa esistente nell’Universo. I pianeti, osservò, non subiscono esclusivamente l’influenza del Sole ma si attraggono reciprocamente. E che cosa poteva mantenere in equilibrio un sistema tanto complesso? Newton giunse alla conclusione che, se i pianeti non uscivano dalle loro orbite, era solo per un incessante intervento divino».
Anche la ricerca della vita fuori dalla Terra e fuori dal sistema solare, da mezzo secolo il leitmotiv dei programmi spaziali, si rifanno alla creazione.
«Il nostro Universo ha oltre 13 miliardi di anni. Ciò significa che la natura ha avuto un’infinità di tempo per lavorare alla creazione delle varie forme di vita. Possiamo dire che esista un numero incalcolabile di ambienti abitabili, in cui la vita potrebbe essersi sviluppata. Da più di mezzo secolo la radioastronomia (fondata da un italiano, Giuseppe Cocconi, e da Philip Morrison) usa le onde radio allo scopo di comunicare con forme di vita intelligente extraterrestre».Le stelle sono così abbondanti che ad ogni abitante della Terra, bambini compresi, ne spetterebbero almeno 30 a testa.
«Proprio per questo gran numero di reami stellari, gli stessi studiosi conservatori ammettono che da qualche parte possa esserci vita. I più accaniti sostenitori della ricerca affermano che vita “deve” esserci, e che in qualche caso potrà trattarsi di vita intelligente a volte anche molto più progredita della nostra».

Si dice che, quando lei entrò nei ranghi accademici, un suo vecchio professore venne a trovarlo e le disse: «Meno male, così non lasciamo che gli atei prendano il sopravvento in ogni campo». È vero?
«Sì, ma è anche vero che io mi sono tenuto sempre lontano da certe posizioni dei movimenti religiosi d’Oltreoceano. Negli Anni ’80 partecipai all’antologia intitolata Is God a Creationist? avvertendo però subito che lo spirito del mio scritto era pro-cristiano ma non creazionista nel senso letterale, caro ai movimenti ultraconservatori e impraticabile».