“Nel nome di Dio e del Bosone”

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

La scienza mi dice che deve esserci un Dio. La mente mi dice che Dio non lo comprenderò mai. E il cuore mi dice che non ci si aspetta che io lo comprenda».A riascoltare lo scioglilingua teosofico di Robert Langdon, il professore di Simbologia protagonista del kolossal «Angeli e Demoni», interpretato da Tom Hanks, Katarina Pajchel si fa una bella risata. «Certo che ho letto il libro di Dan Brown. Ho visto anche il film. Un piacevole intrattenimento. La cosa grave è che troppe persone si bevono questa zuppa fatta di miti e pregiudizi sulla Chiesa in modo acritico».Per lei, che nella realtà è quanto di più simile si possa immaginare a padre Leonardo Vetra, lo scienziato-sacerdote che nel romanzo di Brown viene assassinato al Cern di Ginevra per gli studi sull’antimateria, i dissidi tra scienza e religione sono un fardello del passato. Suora domenicana, 27 anni, nata in Polonia ma cresciuta in Norvegia, ha studiato fisica all’Università di Bergen e, da alcuni mesi, fa avanti e indietro tra Oslo, dove gestisce un ostello per studenti con nove consorelle, e Ginevra, dove partecipa al progetto «Atlas» del Cern. Nella cittadella della fisica Katarina si toglie il velo e indossa il caschetto, obbligatorio per tutti coloro che lavorano intorno all’Lhc, il più grande acceleratore di particelle del mondo. «Sono una semplice dottoranda che ha collaborato allo sviluppo del “Grid”, la rete che gestisce i dati elaborati dagli esperimenti previsti con la nuova macchina», si schermisce. Ma i siti Internet e i blog cattolici, che negli ultimi mesi si contendono la sua testimonianza, le hanno già appioppato l’ingombrante soprannome di «scienziata di Dio».A Ginevra Katarina partecipa anche alla caccia al mitico «bosone di Higgs» – ormai universalmente nota come «la particella di Dio» – vale a dire la chiave di volta del «Modello standard» che riuscirebbe a coniugare fisica quantistica e teoria della gravitazione universale, ma che non è stato ancora osservato. «E pensare che l’antimateria è finita sotto i riflettori del grande pubblico proprio grazie ad “Angeli e Demoni” – commenta lei, con un certo disappunto, prima di riprendere il piglio rigoroso dello scienziato -. Per noi che ce ne occupiamo è qualcosa di abbastanza ordinario. Certo, rimane pur sempre l’anello mancante delle nostre teorie».Spiega: «E’ come avere un bellissimo puzzle e vedere qual è il tassello che manca. Nonostante i contorni siano abbastanza chiari, c’è ancora spazio per tantissime sorprese. Oggi siamo in grado di spiegare la natura di appena il 4% della massa di cui è composto l’Universo e attraverso la teoria della gravitazione universale possiamo supporre che il restante 96% sia diviso fra un 22% di materia e un un 74% di materia oscura. Ma ci sono molte altre domande senza risposta: la natura della gravità e le dimensioni extraspaziali, in particolare l’esistenza di una terza dimensione». Con i suoi colleghi – confessa – è capace di andare avanti a parlare di fisica e cosmologia per ore. «Al Cern si lavora sette giorni su sette. C’è un clima particolare: un forte spirito di collaborazione, ma anche competizione. E la cosa non mi dà fastidio: sono una religiosa, ma anche una persona pragmatica. Sono cresciuta in una famiglia di ingegneri e scienziati, mia nonna era un’appassionata geologa che ha coltivato i suoi studi fino agli ultimi giorni di vita, e conosco bene il mondo accademico. L’importante è condividere il sapere con gli altri».Suora e scienziata, Katarina è convinta che fra le sue due vite non ci sia contraddizione, come qualcuno potrebbe imputarle. Anzi. «Non nego che conciliare le settimane di preghiera e vita comunitaria in convento con gli impegni di ricerca sia complicato e tuttavia è una sfida che mi arricchisce giorno dopo giorno. La contrapposizione tra fredda razionalità e insegnamenti della Chiesa è una cosa vecchia di 400 anni. Anche in “Angeli e Demoni”, che a mio parere è meglio del libro, il tema è sviluppato in modo più intrigante. Il vero problema, infatti, sono coloro che, anche nella Chiesa, si oppongono a un serio dialogo con la scienza. Ma la Chiesa, dai tempi di Galileo a oggi, ha compiuto una profonda riflessione sul proprio ruolo. Le sfide del XXI secolo, semmai, sono altre».Secondo Katarina, «la Chiesa deve comprendere il ruolo della scienza e della tecnologia nella vita delle persone, mentre la comunità scientifica deve ripensare il ruolo della religione. Abbiamo bisogno di un mutuo riconoscimento, ma anche di una consapevolezza dei rispettivi limiti». Quanto alle differenze tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nel rapporto con la scienza, lei cede volentieri la parola alla suora. «E’ complicato – risponde con diplomazia -. Papa Ratzinger ha grande esperienza accademica». Preferisce, piuttosto, tornare su Dan Brown. «Il suo successo – osserva – è sintomatico dell’epoca in cui viviamo, del nostro smarrimento spirituale. Ma ho apprezzato il finale. Alle domande di fede non si può rispondere scientificamente e nello stesso tempo le risposte offerte dalla religione non sono in grado di risolvere le questioni scientifiche. Una cosa è un problema, un’altra un mistero».