Il soffio di Dio sul darwinismo

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Que­sta frase della lettera di san Pao­lo ai Romani ( 8,19- 21) è sugge­stivamente evocatrice di un fu­turo che coinvolgerà non solo i ‘figli di Dio’ ma anche ogni altro essere e ogni realtà del Creato. È questa una prospettiva del tutto antitetica rispetto alle previsioni di dissoluzione della materia nel nulla cosmico cui l’aumento in­definito dell’entropia, cioè del di­sordine che si accompagna ad o­gni trasformazione spontanea, dovrebbe inesorabilmente con­durre l’intero universo. Ed è ap­punto il contrasto tra ordine e di­sordine, caos e cosmo, casualità e finalità, l’eterna battaglia ideo­logica che contrappone i creden­ti agli scettici fin dall’antichità. Il fluire del tempo ha soltanto cam­biato il terreno e gli argomenti dello scontro, ma ciò che mag­giormente caratterizza il dibatti­to oggi è la sproporzione delle forze nei due schieramenti. In­fatti mentre il fronte degli agno­stici è relativamente compatto, agguerrito ideologicamente e pa­drone della gran parte dei mezzi di comunicazione, il fronte reli­gioso è frammentato, spesso i­gnorante delle proprie e delle al­trui ragioni, oppure timoroso di non apparire sufficientemente moderno o comunque di non sa­per corrispondere ai cambia­menti sempre più rapidi delle condizioni sociali. Fin dai tempi di Democrito, «che il mondo a caso pone», e della sua teoria atomistica, una radicale concezione materialistica del mondo e della sua realtà è stata presente nel pensiero scientifico, ma circolante solo in ristretti am­biti intellettuali.
Tale situazione si è protratta più o meno immu­tata nel mondo occidentale fino al diciottesimo secolo, quando l’interesse per le scienze ha co­minciato a coinvolgere strati sempre più numerosi della po­polazione. Ben presto la divaricazione tra realtà rivelate, e tramandate tra­mite le Scritture, e teorie scienti­fiche si è fatta sempre più ampia, a partire dalla dimostrazione del­l’eliocentrismo da parte di Co­pernico e Galileo. Il processo a Galileo, brandito oggi come un’arma dal fronte scientista per dimostrare un presunto atteggia­mento oscurantista, arrogante e prevaricatore della Chiesa, si svol­se in realtà in modo assai diverso da quanto la vulgata riporti. Il secolo dei Lumi segna il crina­le della rottura definitiva tra scientismo e religioni: i grandi fi­sici e matematici del ’700 poco al­la volta, e taluno a malincuore, cominciano a minare le basi dell’interpretazione letterale della Bibbia e del racconto della crea­zione.
La frattura si fa definitiva tra la fine del ’700 e l’inizio dell’800 con le grandi scoperte della chimica e con la Rivoluzio­ne francese che deifica la Ragio­ne contrapponendola alla Fede. Nell’800 le dottrine materialisti­che si affermano in tutta Europa promettendo una nuova stagio­ne di progresso, uguaglianza e fe­licità per tutti: si propongono «le magnifiche sorti e progressive» per cui l’uomo è arbitro e fine di ogni cosa. Il ’900 si è caratterizzato per il grande balzo in avanti della fisi­ca e delle sue applicazioni tecno­logiche, anche le più terribili co­me le armi atomiche. I capisaldi della fisica classica sono scossi dalla introduzione della fisica quantistica e dalle sue conseguenze logiche come il principio di indeterminazione portato fino al celebre paradosso del gatto di Schrödinger che sarebbe con­temporaneamente vivo e morto.
Ma proprio il più grande prota­gonista della rivoluzione concet­tuale della fisica, Albert Einstein, ebreo credente, affermava: «Dio non gioca a dadi» , non potendo accettare che l’Universo si sia for­mato per una serie di eventi ca­suali. Ancora nell’Ottocento però fu a­vanzata la teoria che più di ogni altra è alla base della odierna vi­sione antropologica, cioè quella propugnata da Charles Darwin, al ritorno del suo famoso viaggio alle isole Galapagos: la teoria del­l’evoluzione delle specie.
Questa teoria, benché abbia subito e stia subendo innumerevoli modifi­che, è quella che più incide sul­l’attuale visione del mondo: l’uo­mo non è più l’essere creato da Dio a sua immagine e somiglian­za, ma solo una delle possibili ra­mificazioni dell’albero evolutivo, e neanche, come pure aveva pen­sato Darwin, la più perfetta. Non vi è dubbio che le conse­guenze più radicali di tale teoria siano alla base di molte delle ma­nifestazioni odierne, dalla sotto­valutazione della vita umana al­l’integralismo animalista; biso­gna però affermare con forza che la teoria della evoluzione non è per sé in contrasto con le religio­ni positive, ma solo con un’inter­pretazione letterale dei testi sa­cri.
Paradossalmente i migliori al­leati dei darwinisti più accesi co­me Richard Dawkins sono pro­prio i sostenitori acritici della let­tera delle Scritture. È bene peraltro sottolineare che la teoria dell’evoluzione, soste­nuta oggi da molte evidenze spe­rimentali, è pur sempre una teo­ria e, come tutte le teorie scien­tifiche, non solo può, ma deve, essere discussa per vagliarne continuamente la validità: que­sta stessa teoria è oggi assai di­versa dalla sua formulazione o­riginale. Inoltre, i più recenti ten­tativi di spiegare il profondo di­vario esistente tra l’uomo e il suo più prossimo essere vivente, lo scimpanzé, cercando in esso i prodromi dei comportamenti u­mani – del pensiero complesso, del linguaggio, della morale – danno risultati assai discutibili, come riconosciuto anche dai più convinti sostenitori del darwini­smo.
Intanto continua la caccia ai reperti fossili per stabilire se e come nel passato si sia giunti al supposto processo evolutivo della ominazione: se cioè sia possibile trovare un continuum di specie tra i grandi primati e l’uomo.
Perché non accettare che la ‘polvere’ usata da Dio per formare l’uomo, come descritto nella Genesi, possa indicare un primate? È il soffio divino a sta­bilire un solco invalicabile tra noi e gli altri esseri viventi, che però proprio a causa delle somi­glianze morfologiche e biochi­miche dobbiamo trattare con ri­spetto nell’ambito di una ecolo­gia cristiana come insegna Be­nedetto XVI.