Il degrado del pianeta è la sfida del secolo

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Un contributo fondamentale per una corretta impostazione della sfida del secolo:  la difesa del creato da tutto ciò che ne sta provocando il degrado, senza cadere nella trappola del catastrofismo climatico. Così Franco Prodi, studioso di fisica dell’atmosfera, di meteorologia e di climatologia d’indiscussa autorevolezza commenta il tema proposto da Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2010 – “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato” – reso noto questa mattina, mercoledì 29 luglio.
Nell’intervista rilasciata a “L’Osservatore Romano” Prodi – ricercatore del Centro Nazionale delle Ricerche dal 1967, docente
universitario e membro di numerose commissioni di studio nazionali e internazionali su atmosfera e clima – sottolinea l’importanza dell’attenzione che il Papa reclama costantemente per la questione ambientale, soprattutto nell’ottica della salvaguardia del creato comepresupposto imprescindibile per costruire la pace.Quale impressione suscita in uno scienziato l’accostamento tra la pace e la protezione dell’ambiente proposto dal Papa?
La prima impressione è quella di trovarci in presenza di un intervento giusto e puntuale per il momento che stiamo vivendo,
caratterizzato da una serie di dibattiti sul clima. A mio avviso l’enfasi che è stata data in questi ultimi anni agli aspetti dei cambiamenti climatici ha un po’ deviato da quello che è l’aspetto fondamentale della questione ambientale:  la salvaguardia del pianeta dall’indubbio degrado cui è sottoposto. La cognizione della scienza sul sistema climatico è ancora incompleta, nel senso che è incapace di produrre previsioni affidabili sui cambiamenti climatici. Questa consapevolezza ha portato come contraccolpo lo scetticismo e dunque il fallimento di appuntamenti come quello di Kyoto. Dunque trovo perfettamente attuale l’invito del Papa a riportare l’attenzione sulla centralità della salvaguardia dell’ambiente del pianeta, del creato. È l’aspetto oggettivamente più compromesso:  non esito a usare il termine tragedia proprio quando penso al degrado planetario ambientale.Benedetto XVI già nella sua recente enciclica Caritas in veritate ha sottolineato la questione della protezione ambientale come la sfida del secolo da affrontare insieme poiché riguarda l’umanità intera. C’è questa consapevolezza nel mondo?Non credo sia tanto questione di consapevolezza quanto piuttosto di volontà. È chiaro che la questione del degrado ambientale, sia nel senso positivo sia in quello negativo, esercita influenze sul piano economico. Quindi la prima cosa che bisognerebbe fare è separare interessi di mercato dalla questione ambientale. Non è questione di essere consapevoli o meno:  è piuttosto capacità di rinunciare per la salvaguardia del bene comune. Bisognerebbe poi allargare il discorso ad altre questioni.Lei ha fatto riferimento al fallimento del protocollo di Kyoto. Tuttavia si continua ad invocare – Benedetto XVI lo ha fatto per primo e lo ha ripetuto anche in questa occasione – la necessità di collaborare a livello internazionale. È stato fatto al g8 dell’Aquila, lo si farà ancora durante il prossimo G2o e a fine anno a Copenhagen si tenterà di risuscitare proprio il protocollo di Kyoto. Eppure ci sono paesi, come Cina e India, che continuano a chiamarsi fuori.Da qui nasce il mio, diciamo, scetticismo nei confronti di un presupposto mutamento sostanziale nel quadro internazionale:  ci sarà sempre un’opposizione dettata da interessi economici. Se, per fare un esempio, il confronto è tra chi vuole immettere sul mercato un bene economico, a prescindere dal fatto che per produrlo si inquini, e chi quel bene non lo produce proprio per non inquinare, è chiaro che oggi soccombe il secondo e vince il primo. Di qui nasce il mio scetticismo.
Ci vorrebbe un accordo totale, di tutte le nazioni, ma al momento non lo vedo molto vicino. E poi continuo a ripetere che si pone la questione delle emissioni di anidride carbonica (co2) con troppa enfasi e questo rischia di condurre all’impasse.Restando alla questione delle emissioni di anidride carbonica, secondo lei è giusto chiedere di limitarle ai Paesi in via di sviluppo quando quelli sviluppati, che inquinano di più, non fanno nulla per diminuirle?È qui che vedo tutta l’importanza dei continui richiami del Papa. Anche in questo documento Benedetto XVI sottolinea proprio l’interdipendenza che lega tutti i popoli del pianeta, l’umanità intera. La terra è la casa comune di tutti gli uomini. Dunque il Papa chiede a tutti di rispettare il creato, di adoperarsi per la sua salvaguardia. È chiaro che l’atteggiamento cui faceva riferimento è da contrastare. Se tutti ascoltassero il richiamo alla convergenza degli interessi dell’umanità saremmo già un bel po’ avanti.

Benedetto XVI continua a invocare una maggiore responsabilità globale in questo senso.
E lo fa una volta di più ora accostando alla questione ambientale la questione della pace. Pensiamo a quanti danni ha già fatto l’inquinamento ambientale:  da quello dell’acqua, a quello dei mari e non solo in prossimità delle coste, dei poli o dei tropici. Il degrado è planetario. Purtroppo questo aspetto viene minimizzato. Mentre la situazione va facendosi effetivamente preoccupante, al di là del cambiamento climatico. Su questo credo debba essere ricercata una convergenza internazionale che tra l’altro reputo possibile da trovare. Solo dopo si potrà lavorare insieme sul triangolo clima-degrado-energia inteso nel senso del come estraiamo le energie che ci mette a disposizione il pianeta senza distruggerlo.

Benedetto XVI sostiene anche che la questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila, ma deve tradursi in una forte motivazione per coltivare la pace.

Ecco perché parlo di mercato. Concentrare l’attenzione sul clima ci ha fatto perdere di vista l’essenziale:  ci vuole un accordo
immediato per far sì che le leggi del mercato siano sottomesse all’urgenza del rispetto planetario. In questo senso la raccomandazione del Papa è fondamentale. Dobbiamo imparare a considerare il nostro pianeta come la casa di tutti. E dobbiamo cominciare a pensare alla necessità di trasmettere questa casa alle generazioni future in modo il più possibile integro. Per questo abbiamo il dovere di custodire il creato:  è un obbligo morale. E se questo obbligo morale fosse effettivamente alla base di un accordo internazionale planetario e vincolante, la pace ne sarà conseguenza “inevitabile”.