“Diciassette anni di lavoro seduti sopra ottocento tonnellate di carburante”; Marco Bersanelli riassume così l’emozione del lancio di Ariane 5, il razzo vettore del satellite Planck, partito il 14 maggio scorso dalla Guyana francese; il sospiro di sollievo dopo il nubifragio che aveva fatto temere il rinvio, lo stupore per quei cinquantanove metri di strumenti ad altissima tecnologia che veleggiavano senza sforzo apparente verso la loro orbita finale, a un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Bersanelli, che insegna astrofisica all’università di Milano ed è instrument scientist di Planck-Lfi (uno dei due “occhi” del satellite) è stato invitato a parlare di “Bellezza e vastità del cosmo” durante il convegno organizzato dalla Specola Vaticana (“Astronomy: A common Ground for Sharing Humanity’s Concerns” della serie delle “Super Vatican Observatory Summer School”, che quest’anno si concluderà il 26 giugno). Insieme a lui padre George Coyne, direttore emerito della Specola (“La vita nell’universo: che meraviglia, quante domande!” il titolo del suo intervento) e l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ha ripercorso le caratteristiche salienti della cosmologia biblica, introducendo a un viaggio affascinante nelle pieghe del testo ebraico. “Cosmologia e cosmogonia non sono sinonimi” ha precisato Ravasi, paragonando la Scrittura all’Enuma Elish, il poema cosmogonico mesopotamico (“Quando in alto” è il significato dell’incipit); la Bibbia “democratizza” il rapporto con il cosmo (esclusiva del re durante la festa di capodanno di Akitu nella tradizione babilonese), supera il panteismo distinguendo il Creatore dalla creatura e privilegia la dimensione storica, temporale, a quella spaziale.
Non solo; accenni al tema del “disegno intelligente” e della creazione dal nulla si possono rintracciare nella tessitura simbolica del testo, come nella complessa numerologia nascosta nel libro della Genesi, basata sul sette, numero della perfezione, e sui suoi multipli; non a caso l’uomo viene creato il sesto giorno, segno della sua finitezza, perfettibile nel “settimo giorno” del rapporto con Dio.
Luce e storia, in senso letterale, sono anche le coordinate su cui si muovono le ricerche più avanzate dell’astrofisica. Planck non è solo un satellite, è anche, in un certo senso, una macchina del tempo; è stato progettato per realizzare il sogno di fotografare il primo respiro dell’universo, per decifrare le deboli increspature nell’intensità e nella polarizzazione del fondo cosmico e raccogliere dati sulla sua geometria, la sua composizione e la sua evoluzione. La luce impiega del tempo a raggiungere l’osservatore e quando arriva a destinazione regala un’istantanea del passato; osservando a grandi distanze possiamo risalire all’indietro nel tempo. “La scienza non è nemica del senso del mistero, l’approfondirsi della conoscenza non distrugge la possibilità di stupore, ma la alimenta” chiosa Bersanelli citando il celebre fisico Richard Feynman: “Non nuoce al mistero il saperne qualcosa, perché la realtà è tanto più meravigliosa di quanto tutti gli artisti del passato abbiano saputo immaginare”.
“Riflettendo su ciò che è avvenuto nell’universo a partire dal suo inizio” continua padre Coyne parlando della sorprendente “fertilità” di tutto ciò che esiste “possiamo dire che c’è stata una continua trasformazione di energia in forme sempre più complesse di materia. Noi siamo figli di tre generazioni di stelle, o, per dirla in modo più prosaico, il nostro materiale chimico è composto da scorie termonucleari, risultato di un processo continuo di trasformazione dell’energia dell’universo in forme sempre più complesse di materia. Se l’età dell’universo fosse ridotta alla scala di un anno, i dinosauri fanno la loro comparsa a fine dicembre, mentre l’uomo appare l’ultimo giorno dell’anno; Galileo solo due secondi fa”.
“Riflettendo su ciò che è avvenuto nell’universo a partire dal suo inizio” continua padre Coyne parlando della sorprendente “fertilità” di tutto ciò che esiste “possiamo dire che c’è stata una continua trasformazione di energia in forme sempre più complesse di materia. Noi siamo figli di tre generazioni di stelle, o, per dirla in modo più prosaico, il nostro materiale chimico è composto da scorie termonucleari, risultato di un processo continuo di trasformazione dell’energia dell’universo in forme sempre più complesse di materia. Se l’età dell’universo fosse ridotta alla scala di un anno, i dinosauri fanno la loro comparsa a fine dicembre, mentre l’uomo appare l’ultimo giorno dell’anno; Galileo solo due secondi fa”.
Lo scopo delle Super Voss, le Summer School di astrofisica organizzate dalla Specola, oltre alla possibilità concreta di dialogo tra culture (perché “tutti guardiamo le stesse stelle, uno stesso desiderio di conoscenza ci porta a sondare gli estremi confini dell’universo osservabile”) è anche riscoprire il gusto di una divulgazione scientifica non banale: non un pedaggio da pagare per convincere i contribuenti a finanziare i progetti di ricerca – magari semplificando troppo i contenuti per risultare più appetibili sul mercato, come spesso succede – ma parte integrante del lavoro dello scienziato. E un’occasione preziosa per soffermarsi sul paradosso della condizione dell’uomo, particella infinitesima ma punto di coscienza dell’universo che lo circonda. “Che cosa abbiamo a che spartire con quelle spiagge lontanissime dello spazio e del tempo se non il fatto che forse veniamo dallo stesso gesto buono del Mistero?” si chiede l’instrument scientist di Planck. “Dopo Dio e il firmamento, Chiara” diceva ottocento anni fa san Francesco, vedendo lo splendore del Creatore brillare nel cielo stellato come nel volto delle persone più amate.