Cornoldi e Liberatore non intendevano rinfocolare le polemiche del Seicento, e far rivivere il dramma della condanna dello scienziato toscano davanti al Santo Uffizio. Soprattutto non valutavano la condanna di Galilei in funzione del contrasto della sua posizione atomistica. La tesi di Pietro Redondi (Galileo eretico, Torino 2007), che le motivazioni reali della condanna di Galilei risiedono nelle preoccupazioni dogmatiche di “fermare” la diffusione della dottrina galileiana degli atomi, ha un suo fondamento, ma non è spendibile per capire la situazione ottocentesca. Ai gesuiti premeva dare a Galilei una patente di ortodossia, sorvolando sul modo di professare la fisica corpuscolare accanto ad una fisica del movimento.
Queste difficoltà furono fatte rilevare ai neotomisti dallo scienziato gesuita Angelo Secchi, docente di Astronomia al Collegio
Romano (l’università dei gesuiti di allora). Per Secchi, il quale era stato allievo di Giambattista Pianciani, uno dei fondatori de “La Civiltà Cattolica”, il movimento di ritorno al pensiero di san Tommaso era incompatibile con i principi dell’atomismo fisico-chimico che stavano alla base dello sviluppo della ricerca scientifica. Questo esponente di una scuola di pensiero che riteneva fondamentale il meccanicismo sotto il profilo fisico anche in funzione di un’apologetica cattolica si era convinto che ai fini proprio della presenza della fede cristiana nel mondo degli scienziati era deleterio il tipo di filosofia presentato dai seguaci di san Tommaso. Nonostante questa accettazione della sintesi galileiana nel quadro della sua posizione dell’unità delle forze fisiche, Secchi pensava, riguardo alla condanna del 1633, che Galilei si fosse prestato con il suo comportamento ad equivoci. In un testo piuttosto esplicito così si esprime: “Mettendoci nelle condizioni de’ tempi (…) la condotta del Papa e del tribunale non poteva esser diversa, la questione scientifica spariva quasi in faccia alla inqualificabile condotta di Galileo, che ad onta di un processo avuto si occupava ex professo di un tema vietato perché pericoloso allora, non ben dimostrato e che era rigettato dai protestanti stessi di molto grido, e che non si appoggiava con pompa che di argomenti insussistenti (flusso e riflusso) mentre forse i più concludenti erano lasciati nell’ombra” (lettera inviata a Sante Pieralisi, comparsa poi nello scritto di questi: Sopra una nuova edizione del processo originale di Galileo Galilei fatta da Domenico Berti, Roma 1879, pp. 3-4.).Una posizione più equilibrata sul ruolo complessivo di Galilei viene espressa da uno scrittore de “La Civiltà Cattolica” che si trovò in controtendenza rispetto a Cornoldi e Liberatore. Nella recensione del 1875 allo scritto del positivista Francesco Saverio de Dominicis, intitolato Galilei e Kant, Salis-Seewis asserisce che l’assimilazione della filosofia di Galilei al pensiero di Kant non è fondata.Galilei non ha inaugurato il divorzio della filosofia dal dogma religioso, ma, al contrario, ha cercato di trovare una strada per
l’esercizio corretto della ragione nel rapporto con l’esperienza e per rispettare la verità della rivelazione cristiana. Galilei ha cercato di difendere le sue conclusioni scientifiche circa il movimento della Terra sostenendo che la Scrittura insegnava quello che lui indicava, e cercando anche un’interpretazione non letterale dei testi sacri. Nel primo atteggiamento, secondo Salis-Seewis, ha sbagliato; nel secondo caso ha fatto quanto molti esegeti e filosofi hanno fatto, seguendo i canoni dell’interpretazione dei testi sacri indicati nell’esegesi biblica cristiana fin da sant’Agostino.
Galilei non si allineò a questo metodo riduttivo, ed accentuò il metodo aristotelico di unire l’uso della ragione all’osservazione ed all’esperienza. Le difficoltà non gli mancarono, in quanto gli aristotelici del suo tempo non lo compresero. Di qui in fondo nacquero i guai per lui. Tuttavia il padre Salis-Seewis valuta positivamente il ruolo del pensatore toscano. “Dopo qualche inevitabile contraddizione, fu ascoltato, e le scienze naturali nella Chiesa e dai credenti furono coltivate con nuovo ardore. La filosofia cristiana, nel suo più ampio significato, ricevette allora il suo compimento. Tale è la posizione, tali i meriti di Galileo”. Questa frase compendia la posizione assunta dai gesuiti nella seconda metà dell’Ottocento: i neotomisti ebbero qualche incertezza nella rigida adesione all’ilemorfismo; e seguaci di Secchi si mossero invece con maggiore scioltezza e conseguirono per la prima volta nella storia del pensiero cattolico una posizione equilibrata circa il valore e l’eredità del pensatore toscano.