I dibattiti su nucleare ed energie rinnovabili continuano a tener banco nel mondo della politica e dell’informazione, ma raramente accade di ascoltare o leggere interventi che superino le sterili contrapposizioni che in Italia, ormai da troppi anni, caratterizzano ogni semplice accenno a queste tematiche.
Sono dei giorni scorsi, per esempio, alcune pesanti reazioni della Conferenza delle Regioni al recente Ddl del Governo, che ha affrontato il problema del ritorno al nucleare in Italia, che sembrano riproporre l’eterna contrapposizione centro-periferia sul problema della localizzazione degli impianti. Nel frattempo si moltiplicano i sondaggi di opinione sul ritorno al nucleare. Ma anche in altri paesi, come la Spagna, non mancano le spaccature, perfino all’interno dello stesso partito. Recentemente infatti, nel partito socialista spagnolo (Psoe) si è verificata una violenta polemica tra chi vorrebbe la chiusura di tutti i reattori nucleari del paese, quando essi raggiungano i 40 anni di vita, accompagnato da un più deciso impegno con le rinnovabili, e chi invece ne auspica il mantenimento.
Se si riflette sul perdurare di questi contrasti, in un paese come il nostro che ha un gran bisogno per lo meno di differenziare maggiormente le sue fonti di approvvigionamento energetico (visto che in ogni caso permane la sua dipendenza dalle importazioni), non è difficile arrivare alla conclusione che al di là delle contrapposizioni ideologiche e dei reciproci anatemi, ai quali il mondo dell’informazione fa volentieri da cassa di risonanza, ben lieto di trovarvi una fonte quasi inesauribile di pettegolezzi tecnologici da dare in pasto al suo pubblico, ciò molto probabilmente accade perché gli opposti schieramenti pro-nucleare e pro-rinnovabili hanno in comune la consapevolezza di avere bisogno di una tale enorme quantità di risorse umane e finanziare per decollare e mantenersi, che ognuno di essi teme che l’altro possa consumare una parte troppo grande delle (limitate) risorse disponibili, mettendo in forse lo sviluppo della propria parte.
Entrambi gli schieramenti non sono in effetti in grado, per differenti motivi, di stare in piedi da soli, ed hanno bisogno di consistenti appoggi da parte dello Stato e più in generale della Società Civile.
Il nucleare é una tecnologia consolidata, ma esso non ha perso con gli anni le sue caratteristiche di complessità e sofisticatezza. Non solo ha bisogno di grandi capitali per essere realizzato (anche se poi i suoi costi diretti di gestione sono modesti), ma per affermarsi e funzionare con efficacia e sicurezza ha bisogno di un impegno notevole e continuativo da parte delle strutture pubbliche. Non a caso esso ha subito le traversie che tutti conosciamo in un paese dalle strutture amministrative “deboli” come l’Italia, ed ha al contrario avuto grande successo in un paese dalla più forte amministrazione pubblica come la Francia. Quel che è interessante, comunque, è che una volta costruite, con un limitato numero di centrali nucleari si potrebbe coprire una notevole fetta dei consumi elettrici del nostro paese, dell’ordine del 20-25%, in modo continuativo e sicuro dal punto di vista delle forniture, e con impatto ambientale assai ridotto. Certo, nel caso di un incidente grave, molto improbabile con le tecnologie occidentali attuali, le conseguenze negative possono essere enormi per gli uomini e le cose, ma perché non si dovrebbe dare al nucleare il credito di una ulteriore capacità di progresso tecnologico in questa direzione, così come lo si concede alle rinnovabili quando si esprime la fiducia nella loro perfettibilità in termini di prestazioni e di costi?
Dal canto loro le rinnovabili sono tecnologie in buona parte già consolidate ed in rapida maturazione anche per quanto riguarda la convenienza economica. E’ peraltro indubbio che questa maturazione è in gran parte forzata da un massiccio apporto di incentivi economici statali (cioè con risorse sottratte ad altri possibili impieghi pubblici) ed anche in questo caso da un notevole impegno di buona parte della politica, che si sta adoperando, specie in Europa, per favorire la transizione verso un nuovo modello energetico più sganciato dai combustibili fossili di quello attuale. Una transizione che però non ci porterà certo a costruire un sistema energetico basato esclusivamente sulle rinnovabili, come alcuni irrealisticamente vagheggiano, e che a ben guardare, non ha ancora tutte quelle urgenze, né di tipo economico, né tanto meno di tipo ambientale, che vengono così fortemente strombazzate.
In effetti quando il (sempre difficile ed aleatorio) esercizio di prevedere il nostro futuro energetico viene fatto non dalle solite agenzie internazionali dell’energia o dai soliti movimenti ambientalisti (che guarda caso hanno sempre più spesso fra i loro entusiasti sostenitori autorevoli membri di industrie eoliche o fotovoltaiche), ma da chi proviene dal mondo della ricerca ed estrazione degli idrocarburi, si scopre che le fonti energetiche fossili molto probabilmente non andranno in pensione tanto rapidamente.
In una ricerca del Centro Studi SAFE, presentata ad un recente convegno dal titolo “Convivere con gli idrocarburi. Come e per quanto? Quale ruolo per il gas naturale” (Roma, 26/05/2009), si afferma per esempio che, nel 2030, l’80% della domanda energetica europea sarà ancora soddisfatta dalle fonti fossili, con un 30% garantito dal gas naturale. E se le riserve attualmente provate di gas e petrolio potrebbero esaurirsi nei prossimi 60 anni, per il futuro si prospetta sempre più concreto l’utilizzo di nuove risorse fossili quali sabbie bituminose, metano da carbone, scisti bituminosi, e idrati di metano. Per esemplificare, le riserve stimate solamente di quest’ultimi, il cui sfruttamento non è ancora cominciato, ma le cui prospettive sono concrete, ammonterebbero a valori minimi (ma forse molto superiori) dell’ordine dei 2.500 Tera-metricubi (= 2.500 x 1012 mc), concentrate soprattutto in Nord America e in Siberia, a fronte delle riserve stimate attuali di gas naturale dell’ordine dei 200-300 Tera-metricubi.
Sarebbe davvero buffo se tra una ventina d’anni ci ritrovassimo, dopo decenni di litigi fa nuclearisti e rinnovabilisti per l’egemonia sugli aiuti di Stato, a dover dar di nuovo ragione ai gasisti (che a ogni buon conto sono in grado di pagarsi tranquillamente da sé i loro sviluppi), ed a chi fin d’ora sostiene che un po’ di anidride carbonica in più nell’atmosfera non farà altro che del bene alla crescita delle piante.