In una recente nota sul suo blog (www.drroyspencer.com), Roy Spencer, climatologo americano dell’università dell’Alabama che già altre volte abbiamo citato in queste note, interviene ancora sulla questione dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale sottolineando quella che gli sembra una grave sperequazione fra le risorse che vengono dedicate alla elaborazione dei modelli climatici, e quelle impiegate per comprendere i “meccanismi” fondamentali che contribuiscono alla formazione del clima stesso.
Per esempio, l’influenza della temperatura sulle dinamiche di formazione delle nuvole costituisce uno degli argomenti meno conosciuti, ed inevitabilmente di maggior dissenso fra gli scienziati, pur essendo considerata una delle cause principali del riscaldamento globale indotto dall’aumento di CO2 atmosferica. In effetti, come é ben noto agli scienziati, anche se raramente citato dalla divulgazione, l’effetto della CO2 in sé stesso è modesto, anche ipotizzando aumenti consistenti del suo contenuto atmosferico, mentre gli effetti, da lievi a catastrofici, di incremento globale della temperatura che vengono calcolati tramite i modelli matematici di simulazione (negli studi dell’IPCC ci sono almeno una ventina di differenti modelli) sono il risultato dell’assunto che esista un feed-back positivo fra questi aumenti e i “meccanismi” di formazione delle nuvole. In sintesi, ad ogni aumento, anche lieve, delle temperatura, corrisponderebbe una riduzione della copertura nuvolosa globale, specie quella a quote medio-basse che interessa le grandi superfici oceaniche, ed un corrispondente aumento della radiazione solare che raggiunge la superficie del pianeta, con un effetto amplificante dei fenomeni, questo sì in grado di provocare variazioni ben più consistenti della temperatura.
Ora, secondo Spencer, le evidenze scientifiche che le cose vadano veramente così sono scarse, mentre secondo lui ci sono indizi che possa succedere esattamente il contrario, cioè che il feed-back delle nuvole sia negativo (si vedano a questo proposito i due papers citati nei riferimenti, e liberamente scaricabili dal sito già indicato). Purtroppo un approfondimento del problema non è possibile se non intensificando gli studi e le analisi sui dati della nuvolosità globale, che pure sono raccolti da molti anni da diversi satelliti artificiali, ma che richiederebbero ben altri sforzi e risorse di quelle attualmente dedicate a questo compito.
Ammettendo pure che Spencer abbia qualche interesse personale a perorare la causa di questi studi, che costituiscono uno dei suoi campi preferiti di ricerca, ci sembra del tutto condivisibile la sua spinta a trovare il modo di fondare le conclusioni delle scienze climatiche più su elementi derivati dall’osservazione che su quelli basati sui modelli di simulazione. Che infatti sia stato messo in moto, almeno in Europa, un enorme macchina politica ed organizzativa per tenere sotto controllo e ridurre le emissioni in atmosfera di CO2, sulla base, sostanzialmente, di estrapolazioni di calcolo, ci ha sempre lasciato molto perplessi. E ciò non tanto in quanto ci manchi la fiducia nella validità degli strumenti di simulazione matematica, che danno continuamente prova della loro affidabilità (se ben utilizzati) in numerosi campi della scienza e della tecnologia, quanto piuttosto perché tali modelli, oltre ad applicarsi ad un sistema, come quello climatico, di spaventosa complessità, sono basati su premesse sulla cui validità non abbiamo raggiunto (per lo meno non ancora), una sufficiente certezza. Spencer fa a questo proposito un interessante paragone: vi fidereste di qualcuno che asserisse di aver realizzato un modello matematico del funzionamento del cervello umano e di essere in grado, prendendo qualche misura, di prevedere cosa voi penserete da qui a 24 ore? Certamente non vi fidereste, a meno che qualcuno non vi dimostri con un esperimento di essere veramente in grado di farlo, ed avreste tutto il diritto di farlo anche se non siete degli specialisti di neuroscienze.
Ora, questo sembra proprio il modo in cui, nonostante l’enorme pressione dei media, molta gente continua a pensare di fronte agli inviti alla paura per le incombenti catastrofi climatiche; inviti che non hanno in effetti dato i risultati sperati, non solo in paesi in via di sviluppo, ma anche in paesi evoluti come gli Stati Uniti. Dove non a caso qualcuno comincia a suggerire sulla grande stampa che sarebbe forse il caso di cambiare un po’ il linguaggio rispetto allo stile dei messaggi di “al lupo, al lupo” che anche molti scienziati hanno per molto tempo utilizzato (si potrebbe per esempio parlare della “nostra atmosfera che si sta deteriorando”, invece di effetto serra o di riscaldamento globale, oppure di “abbandonare gli sporchi combustibili del passato” invece di discutere tanto sulla CO2).
Ma ritornando al punto di vista scientifico, ci sembra ci vorrebbe davvero un po’ più di umiltà e prudenza nel dare per certe o “molto probabili” conclusioni su cui mancano ancora così tanti riscontri sperimentali.
Viene in mente a questo proposito il famoso aforisma di Alexis Carrell, “molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità, molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore”, che ci sembra calzi a pennello a questo caso.
Riferimenti:
R.W. Spencer, W.D. Braswell, J. R. Christy, J. Hnilo, Cloud and radiation budget changes associated with tropical interseasonal oscillations, Geophysical Research Letters, vol. 34, L 15707, 2007
R.W. Spencer, W. D. Braswell, Potential Biases in Feedback Diagnosis from Observational Data: A Simple Model Demonstration, Journal of Climate, pp. 5624-5628, vol. 21, 2008
http://www.nytimes.com/2009/05/02/us/politics/02enviro.html?_r=1&ref=global-home