Darwinisti, maestri d’intolleranza

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Per spiegare l’origine delle specie non è necessario ricorrere alla creazione. Tutto può spiegarsi nella natura con i cambiamenti di cui essa è capace. Una natura auto­formatasi e auto-organizzatasi non ha bisogno di Dio. Questo modo di vedere le cose viene derivato direttamente dal darwinismo che, secondo alcuni studiosi, emancipa l’uomo dall’idea di Dio. È la posizione espressa dal naturalismo filosofico in cui la storia della vita e dell’universo viene letta così da non richiedere nessuna creazione e nessuna finalità, una concezione portata avanti con molta determinazione dalla rivista Micromega.

La teoria scientifica di Darwin viene piegata verso una concezione filosofica della natura che esclude la trascendenza. Questa operazione è criticabile per due motivi: perché la contingenza e la selezione naturale, alla base del pensiero darwiniano, non rappresentano l’unica ottica scientifica in cui leggere lo sviluppo della vita e tanto meno il comportamento dell’uomo, e in secondo luogo perché la loro estensione a una visione generale della natura e della storia esorbita dall’ambito scientifico per connotarsi come una concezione propriamente filosofica. E l’uomo? Un evento fortuito, un caso ben riuscito dell’evoluzione della vita. La sua origine, non diversa da quella di ogni altra specie, non impedirebbe di riconoscerne le differenze (che sono però solo di grado, come affermava Darwin) rispetto agli altri animali e anche i diritti e compiti, per cui viene rivendicata una dignità all’uomo anche nel naturalismo darwiniano. Di fatto però essa non è originaria e propria, perché dipende da quanto gli viene attribuito dalla società. Nel naturalismo il comportamento dell’uomo, compreso il senso religioso, viene spiegato in termini di adattatività darwiniana, ed è regolato geneticamente. Analogamente l’agire dell’uomo viene interpretato in senso deterministico sulla base di esperimenti delle neuroscienze, per cui anche il concetto di libertà viene fortemente attenuato. Il naturalismo, come concezione e spiegazione della realtà in termini puramente biologici, esprime una visione chiaramente riduttiva, connotabile come scientismo e apre la strada a tante conseguenze sul piano sociale, specialmente nel campo dell’eugenetica e delle manipolazioni genetiche.  Quelli che lo criticano vengono considerati intolleranti: l’evoluzione o la si accetta nell’estensione del naturalismo, senza troppe critiche alla teoria darwiniana, o si è considerati nemici della scienza e dell’uomo. La teologia cattolica viene accusata di arroganza (Orlando Franceschelli). Ma quale dialogo è possibile con questa premessa? Dove stanno veramente gli intolleranti e i dogmatici? Perché escludere a priori un allargamento della razionalità? Certe posizioni di fatto sono preclusive al dialogo. Il naturalismo ripropone la questione di Dio e del suo rapporto con la realtà creata. Dio non può essere messo al margine. Nello stesso tempo non può essere visto né come un programmatore né come spettatore.

Perché non se ne può discutere? Nonostante certe preclusioni, il dialogo va cercato e praticato, anche fra cattolici desiderosi di approfondire la fede e la teologia della creazione. Un modello di questo possibile dialogo è rappresentato dalla conferenza sulla evoluzione svoltasi all’inizio di marzo nella Pontificia università Gregoriana e prima ancora, nel novembre scorso, dalla riunione della Pontificia accademia delle Scienze. Rincresce, e non pare corretto, che il livello scientifico della conferenza della Gregoriana sia stato duramente criticato da Telmo Pievani prima ancora che la conferenza si svolgesse.

Un dialogo può partire dalla innegabile contingenza, ma anche dal carattere finalistico di molti aspetti della natura, e può svilupparsi dalla peculiarità dell’essere e del comportamento umano, senza la pretesa di spiegare tutto in termini di selezione come avviene per le mutazioni genetiche. Inoltre il dialogo dovrebbe sfociare nelle questioni pratiche relative al modo di intendere il valore della vita umana su cui le diverse posizioni possono confrontarsi guardando proprio alle conseguenze che se ne possono trarre sul piano sociale, quali il rispetto dell’uomo e dell’ambiente.