Il sistema dei pianeti «l’ho fatto con perfetto telescopio toccar con mano a chiunque l’ha voluto vedere», diceva di sé Galileo Galilei. In un bel libro di qualche anno fa, Vedere per credere (Einaudi, Torino 2000), Richard Panek ha illustrato come quello strumento «ci abbia spalancato gli occhi e la mente», costituendo un potentissimo mezzo di emancipazione intellettuale. Di suo, Galileo ci faceva già sospettare che quella che aveva conseguito era anche un’ inedita libertà del corpo, come indicava la commistione fra tatto e vista nella battuta che abbiamo tratto dal suo Saggiatore. La scienza di oggi, con microscopi, camere a bolle e sistemi che ci permettono di raffigurare quel che avviene nel nostro cervello, gli ha dato ragione.
L’inizio di tutto si colloca esattamente quattrocento anni fa. Nel luglio del 1609 un amico lo aveva informato che un «occhiale che fa vedere le cose lontane» era reperibile in varie città d’Europa (compresa Milano). Da millenni, per osservare a occhio nudo un oggetto lontano senza farsi confondere dalla luce si ricorreva a un tubo; da qualche secolo si usavano lenti per correggere i difetti della vista; ma mettere «due dischi di vetro alle estremità di un tubo di piombo» fu la novità della fine del Cinquecento. Panek ci racconta dei due Digges, il matematico e ribelle Leonard e suo figlio, il copernicano Thomas, che avevano pensato di sfruttare quei «cannoni» per spiare «ciò che avveniva in alcune case private a sette miglia di distanza». I voyeur dell’ epoca pare li usassero per spiare impunemente le ragazze che si spogliavano ai piani alti delle locande; ma in quella stessa Inghilterra c’era chi aveva cominciato a servirsene per scrutare la superficie lunare. Il 24 agosto
Galileo faceva sapere al Doge della Serenissima di possederne uno che permetteva di scorgere le navi nemiche prima che le si vedesse a occhio nudo. Qualche giorno dopo Giambattista Della Porta, «mago» che si riteneva esperto di ottica, liquidava tutto ciò come «coglionaria»; ma Galileo dedicava l’estate e l’autunno a migliorare il suo apparecchio. Il 30 novembre si collocava con il «tubo ottico» e gli attrezzi da pittore nel giardino sul retro della casa padovana, accingendosi a studiare anche lui la Luna e gli astri.
Galileo faceva sapere al Doge della Serenissima di possederne uno che permetteva di scorgere le navi nemiche prima che le si vedesse a occhio nudo. Qualche giorno dopo Giambattista Della Porta, «mago» che si riteneva esperto di ottica, liquidava tutto ciò come «coglionaria»; ma Galileo dedicava l’estate e l’autunno a migliorare il suo apparecchio. Il 30 novembre si collocava con il «tubo ottico» e gli attrezzi da pittore nel giardino sul retro della casa padovana, accingendosi a studiare anche lui la Luna e gli astri.
Nel marzo del 1610, nel suo Sidereus Nuncius, dichiarava la natura stellare della Via Lattea, rendeva pubblica la scoperta di quattro «lune» o satelliti di Giove, descriveva la superficie della nostra Luna come fatta di valli e di montagne non diversamente dalla Terra. Alla lettera, il titolo del testo galileiano vuol dire «messaggio proveniente dalle stelle»; ma presto venne interpretato come «messaggero celeste».
Più di un decennio dopo, i colleghi dell’Accademia dei Lincei, nel dedicare il Saggiatore (1623) di Galileo a papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, anch’egli cultore di astronomia), definivano l’autore come «il fiorentino scopritore non di nuove terre, ma di non vedute parti del cielo».
Più di un decennio dopo, i colleghi dell’Accademia dei Lincei, nel dedicare il Saggiatore (1623) di Galileo a papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, anch’egli cultore di astronomia), definivano l’autore come «il fiorentino scopritore non di nuove terre, ma di non vedute parti del cielo».
Quello che rappresentavano le navi nella conquista del Nuovo Mondo circa un secolo prima, ora lo erano gli strumenti a rifrazione per modellare una nuova immagine del cosmo. Si dispiegava una vera e propria «America della conoscenza», come dovevano chiamarla gli stessi contemporanei di quell’inusuale navigatore della «schiera delle stelle». Però, se i Colombo o i Magellano avevano portato saccheggio e guerra tra i popoli che erano andati a visitare, l’esploratore del cielo aveva semplicemente cambiato la concezione dell’Universo, limitandosi a uccidere non esseri umani ma solo pregiudizi che, come aveva dichiarato Galileo in persona nel 1610, per tanti secoli «avevano tormentato i filosofi con verbose discussioni».