Come un cassetto pieno di vecchie foto, ma cariche di ricordi, la radiazione di fondo cosmica è lo scrigno che conserva i dettagli dell’infanzia dell’Universo. Si chiama CMB (Cosmic Microwave Background Radiation) ed è una radiazione che oggi permea il cosmo e che fu emessa subito dopo il Big Bang, l’esplosione da cui originò ciò che ci circonda.
I primi a studiare i segreti della CMB furono gli americani, che a fine Anni 80 inviarono nello spazio il satellite «Cobe». I dati inviati a Terra, insieme con quelli di «Wmap», lanciato qualche anno dopo sempre dalla Nasa, si rivelarono preziosissimi per capire l’evoluzione dell’Universo e rivoluzionarono molte delle teorie cosmologiche.
Il 16 aprile, 8 anni dopo «Wmap», l’Esa lancerà «Planck», il satellite di ultima generazione che studierà la radiazione di fondo cosmica con una precisione mai raggiunta prima: si potrà vedere l’Universo com’era circa 13 miliardi di anni fa e ricostruirne la storia e capirne l’evoluzione. Il tutto grazie a decine di antenne, che raccoglieranno i deboli ma preziosi segnali di cui il cosmo è permeato e in cui sono memorizzati i momenti-chiave e li passeranno a due strumenti che li analizzeranno e li invieranno a Terra.
Uno degli strumenti, chiamato LFI (Low Frequency Instrument), è il risultato delle ricerche dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Bologna (IASF-BO). Spiega il suo direttore, Reno Mandolesi: «Conosciamo solo il 4% dell’Universo. Ma è possibile dedurre che il cosmo sia pieno di qualcosa di cui non sappiamo nulla. La chiamiamo energia oscura e materia oscura. Grazie alla precisione con cui si misurerà la radiazione di fondo “Planck” ci fornirà informazioni su fenomeni rimasti finora inaccessibili».
Le antenne con cui Planck catturerà la CMB sono state concepite e progettate dall’IASF-BO e, insieme con gli strumenti che ne leggono i segnali, sono un esempio di come la tecnologia sviluppata per lo studio dell’Universo sia riutilizzabile nella vita quotidiana. «Le fotocamere millimetriche che costituiscono il cuore di LFI potrebbero essere usate negli aeroporti per rivelare oggetti nascosti sotto i vestiti e oggi non rivelabili dai metal detector. Stiamo anche lavorando a uno strumento che, grazie all’impiego di un’antenna come quelle di “Planck”, potrebbe servire per la rivelazione di tumori della pelle».
Ora si avvicina il conto alla rovescia: 6 settimane dopo il lancio, «Planck» raggiungerà l’orbita di funzionamento, a 1.5 km dalla Terra. Da lì, dopo 3 mesi, gli strumenti inizieranno a inviare i dati e l’Universo a svelare i suoi segreti.
I primi a studiare i segreti della CMB furono gli americani, che a fine Anni 80 inviarono nello spazio il satellite «Cobe». I dati inviati a Terra, insieme con quelli di «Wmap», lanciato qualche anno dopo sempre dalla Nasa, si rivelarono preziosissimi per capire l’evoluzione dell’Universo e rivoluzionarono molte delle teorie cosmologiche.
Il 16 aprile, 8 anni dopo «Wmap», l’Esa lancerà «Planck», il satellite di ultima generazione che studierà la radiazione di fondo cosmica con una precisione mai raggiunta prima: si potrà vedere l’Universo com’era circa 13 miliardi di anni fa e ricostruirne la storia e capirne l’evoluzione. Il tutto grazie a decine di antenne, che raccoglieranno i deboli ma preziosi segnali di cui il cosmo è permeato e in cui sono memorizzati i momenti-chiave e li passeranno a due strumenti che li analizzeranno e li invieranno a Terra.
Uno degli strumenti, chiamato LFI (Low Frequency Instrument), è il risultato delle ricerche dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Bologna (IASF-BO). Spiega il suo direttore, Reno Mandolesi: «Conosciamo solo il 4% dell’Universo. Ma è possibile dedurre che il cosmo sia pieno di qualcosa di cui non sappiamo nulla. La chiamiamo energia oscura e materia oscura. Grazie alla precisione con cui si misurerà la radiazione di fondo “Planck” ci fornirà informazioni su fenomeni rimasti finora inaccessibili».
Le antenne con cui Planck catturerà la CMB sono state concepite e progettate dall’IASF-BO e, insieme con gli strumenti che ne leggono i segnali, sono un esempio di come la tecnologia sviluppata per lo studio dell’Universo sia riutilizzabile nella vita quotidiana. «Le fotocamere millimetriche che costituiscono il cuore di LFI potrebbero essere usate negli aeroporti per rivelare oggetti nascosti sotto i vestiti e oggi non rivelabili dai metal detector. Stiamo anche lavorando a uno strumento che, grazie all’impiego di un’antenna come quelle di “Planck”, potrebbe servire per la rivelazione di tumori della pelle».
Ora si avvicina il conto alla rovescia: 6 settimane dopo il lancio, «Planck» raggiungerà l’orbita di funzionamento, a 1.5 km dalla Terra. Da lì, dopo 3 mesi, gli strumenti inizieranno a inviare i dati e l’Universo a svelare i suoi segreti.