La Teoria delle Stringhe non è scienza credibile, perché non può essere falsificata. Anche Galileo Galilei ha sbagliato, per esempio con la teoria delle maree, e per di più era un furbetto: mise abilmente in ombra le intuizioni di molti colleghi, oggi ignorati da tutti.
E’ impossibile che il celebrato super- acceleratore «Large hadron collider » di Ginevra risolva gli interrogativi sulle origini dell’Universo. Non potrà mai eguagliare le straordinarie potenze che si generarono al momento del Big Bang e sarà costretto a rimanere milioni di milioni di milioni di volte al di sotto della soglia decisiva.
L’evoluzione dell’uomo è ancora un processo in parte inspiegabile: molti indizi confermano che non siamo affatto simili agli altri animali.
Parole di Arno Penzias, Premio Nobel, scopritore della radiazione cosmica di fondo, vale a dire l’eco del Big Bang, l’istante che diede origine a ciò che conosciamo adesso. E’ arrivato al Festival della Matematica di Roma e, sabato scorso, ha accettato di buttarsi in uno dei temi bollenti del momento. Niente lezioni o conferenze – come altri colleghi – sulle metamorfosi delle equazioni e sulle dimensioni multiple del mondo suggerite da formule incomprensibili ai più, ma un intenso scambio di opinioni con un altro grande fisico – Nicola Cabibbo – su uno dei temi bollenti del momento. La serata, infatti, si intitolava niente meno che «Meditazioni cosmiche». Vale a dire: c’è solo la scienza o le menti degli scienziati ammettono anche altri orizzonti? Esiste uno spazio – piccolo o grande – che la matematica non sia in grado di colonizzare? Insomma, qual è la diagnosi più recente sui tumultuosi rapporti tra scienza e religioni, mistero dei misteri?
Se qualcuno si è sorpreso (sprazzi di metafisica al Festival della Matematica, possibile?), molti si sono fatti sorprendere dalle risposte di Penzias. Lo spazio per ciò che non è scienza c’è, eccome. «E’ essenziale che tolleriamo il disaccordo», ha detto con voce stentorea. Lui si definisce un non-credente profondamente religioso, convinto della ragionevolezza del seguente principio espresso da Thomas Jefferson: il progresso della scienza – sosteneva uno dei padri fondatori degli Stati Uniti – ha bisogno di libertà economica e anche di libertà intellettuale, compresa quella religiosa. E’ così che la democrazia politica si modella in un insieme coerente con i progressi di quella che oggi si chiama «tecno-scienza».
La scienza abbandonata a se stessa a Penzias non piace affatto. L’ha accennato con pudore, ma è universalmente noto come nel XX secolo si siano compiuti orrori assoluti nel suo nome. Lui, ebreo, nel 1939 fu messo dai genitori su un treno per la Gran Bretagna e si salvò. Per molti altri – si sa – non fu così. La medicina nazista rimane ancora oggi l’emblema e lo spettro di che cosa può diventare la ricerca massacrata di ogni aspirazione etica.
Ma, oltre che disumana, la scienza sa essere anche cieca e sorda. Evocando il mondo piatto, a 2 sole dimensioni, di «Flatland», il famoso romanzo-provocazione del XIX secolo, Penzias ha contestato quelli che considera eccessi della fisica e della cosmologia. Le teorie che vanno per la maggiore sulle dimensioni multiple e la «vulgata» sulla molteplicità degli universi gli appaiono costruiti sulla sabbia, come le certezze sulle teorie dei numeri di Russell e Whitehead, poi sconfessate dalle deduzioni di Gödel: «Fu lui a stupire tutti, spiegando che gli assiomi della matematica non possono provare la mia stessa esistenza».
Ed è sia su basi logiche sia tecnologiche che è impensabile pretendere di simulare le origini del cosmo. «Non mi aspetto di certo che lo faccia una macchina come l’Lhc a Ginevra». P
enzias riconosce quindi l’esistenza di ampi territori di mistero, che legano la nostra natura non unicamente razionale alle nostre origini di scimpanzé non soltanto altruisti, ma anche capaci di una vasta gamma di sentimenti sofisticati. «Siamo la prova delle contraddizioni della vita: sappiamo molto più di quanto riusciamo a provare».
Evoluzionismo e Big Bang, sì, e «design intelligente», no, ha ripetuto Penzias. E, mentre lo rimproverava educatamente («diamo tempo alla Teoria delle Stringhe di svilupparsi» e «Lhc dirà molto sulla materia oscura»), anche Cabibbo, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, ha riconosciuto che la scienza non è onnipotente: «Meglio non spingersi oltre la sopportazione del Pianeta». Per un istante si getta un po’ di luce sui misteri scienza-metafisica. Ma è un istante illusorio, come le apparizioni di certe particelle nel mondo subatomico.
E’ impossibile che il celebrato super- acceleratore «Large hadron collider » di Ginevra risolva gli interrogativi sulle origini dell’Universo. Non potrà mai eguagliare le straordinarie potenze che si generarono al momento del Big Bang e sarà costretto a rimanere milioni di milioni di milioni di volte al di sotto della soglia decisiva.
L’evoluzione dell’uomo è ancora un processo in parte inspiegabile: molti indizi confermano che non siamo affatto simili agli altri animali.
Parole di Arno Penzias, Premio Nobel, scopritore della radiazione cosmica di fondo, vale a dire l’eco del Big Bang, l’istante che diede origine a ciò che conosciamo adesso. E’ arrivato al Festival della Matematica di Roma e, sabato scorso, ha accettato di buttarsi in uno dei temi bollenti del momento. Niente lezioni o conferenze – come altri colleghi – sulle metamorfosi delle equazioni e sulle dimensioni multiple del mondo suggerite da formule incomprensibili ai più, ma un intenso scambio di opinioni con un altro grande fisico – Nicola Cabibbo – su uno dei temi bollenti del momento. La serata, infatti, si intitolava niente meno che «Meditazioni cosmiche». Vale a dire: c’è solo la scienza o le menti degli scienziati ammettono anche altri orizzonti? Esiste uno spazio – piccolo o grande – che la matematica non sia in grado di colonizzare? Insomma, qual è la diagnosi più recente sui tumultuosi rapporti tra scienza e religioni, mistero dei misteri?
Se qualcuno si è sorpreso (sprazzi di metafisica al Festival della Matematica, possibile?), molti si sono fatti sorprendere dalle risposte di Penzias. Lo spazio per ciò che non è scienza c’è, eccome. «E’ essenziale che tolleriamo il disaccordo», ha detto con voce stentorea. Lui si definisce un non-credente profondamente religioso, convinto della ragionevolezza del seguente principio espresso da Thomas Jefferson: il progresso della scienza – sosteneva uno dei padri fondatori degli Stati Uniti – ha bisogno di libertà economica e anche di libertà intellettuale, compresa quella religiosa. E’ così che la democrazia politica si modella in un insieme coerente con i progressi di quella che oggi si chiama «tecno-scienza».
La scienza abbandonata a se stessa a Penzias non piace affatto. L’ha accennato con pudore, ma è universalmente noto come nel XX secolo si siano compiuti orrori assoluti nel suo nome. Lui, ebreo, nel 1939 fu messo dai genitori su un treno per la Gran Bretagna e si salvò. Per molti altri – si sa – non fu così. La medicina nazista rimane ancora oggi l’emblema e lo spettro di che cosa può diventare la ricerca massacrata di ogni aspirazione etica.
Ma, oltre che disumana, la scienza sa essere anche cieca e sorda. Evocando il mondo piatto, a 2 sole dimensioni, di «Flatland», il famoso romanzo-provocazione del XIX secolo, Penzias ha contestato quelli che considera eccessi della fisica e della cosmologia. Le teorie che vanno per la maggiore sulle dimensioni multiple e la «vulgata» sulla molteplicità degli universi gli appaiono costruiti sulla sabbia, come le certezze sulle teorie dei numeri di Russell e Whitehead, poi sconfessate dalle deduzioni di Gödel: «Fu lui a stupire tutti, spiegando che gli assiomi della matematica non possono provare la mia stessa esistenza».
Ed è sia su basi logiche sia tecnologiche che è impensabile pretendere di simulare le origini del cosmo. «Non mi aspetto di certo che lo faccia una macchina come l’Lhc a Ginevra». P
enzias riconosce quindi l’esistenza di ampi territori di mistero, che legano la nostra natura non unicamente razionale alle nostre origini di scimpanzé non soltanto altruisti, ma anche capaci di una vasta gamma di sentimenti sofisticati. «Siamo la prova delle contraddizioni della vita: sappiamo molto più di quanto riusciamo a provare».
Evoluzionismo e Big Bang, sì, e «design intelligente», no, ha ripetuto Penzias. E, mentre lo rimproverava educatamente («diamo tempo alla Teoria delle Stringhe di svilupparsi» e «Lhc dirà molto sulla materia oscura»), anche Cabibbo, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, ha riconosciuto che la scienza non è onnipotente: «Meglio non spingersi oltre la sopportazione del Pianeta». Per un istante si getta un po’ di luce sui misteri scienza-metafisica. Ma è un istante illusorio, come le apparizioni di certe particelle nel mondo subatomico.