Nel 1609, vale a dire esattamente quattro secoli fa, il matematico e astronomo pisano Galileo Galilei, che dal 1592 si era trasferito nell’Università di Padova sotto il controllo della Serenissima Repubblica di San Marco, perfezionò la sua prestigiosa invenzione, il telescopio, che gli servì per i quattro satelliti di Giove (quelli che avrebbe chiamato “i pianeti medicei”), le fasi di Venere e le macchie solari.
Lo scienziato, allora cinquantacinquenne, avrebbe pubblicato i risultati delle sue straordinarie ricerche in un trattato, il Sidereus Nuncius, che gli avrebbe valso il richiamo in Toscana da parte del granduca Cosimo II: un gesto che fu uno dei primi atti di governo dell’appena ventenne sovrano, da poco succeduto al padre Ferdinando I.
Galileo poté tornare quindi nella sua Pisa, sede di un’Università del resto non meno prestigiosa di quella padovana. Di rado si è profeti in patria: ma è certo una soddisfazione poterci rientrare alla grande.
Ma chissà se fece proprio bene, con quella scelta. Oltre un ventennio dopo, all’indomani della pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, dovette partire quasi settantenne per Roma al fine di rispondere dinanzi al Sant’Uffizio dell’accusa di eresia. Se fosse rimasto in terra di San Marco, avrebbe potuto evitare quella dolorosa esperienza, che toccò profondamente la sua coscienza di credente: anche se ad essa sopravvisse per un decennio. E arrivare a ottant’anni, nel XVII secolo, non era certo roba da poco né da tutti.
È quindi molto giusto che il 2009 sia “Anno Galileiano”, come il 1492, anno della scoperta del Nuovo Mondo, fu “Anno Colombiano”. Qualcuno si chiede “a che cosa serve” un Anno del genere. Tutto dipende dal concetto che si ha della cultura, dell’identità e al limite della vita stessa. Se si ritiene che per vivere basti respirare, mangiare, bere, assolvere più o meno bene a un paio di altre funzioni fisiologiche e poi magari mantenersi in buona salute e guadagnare dei soldi, allora si può far a meno di tutto il resto: e perfino chiudere i musei, e perfino le scuole e le biblioteche.
Se invece si ritiene che la memoria del passato sia essenziale per ben progettare il presente e programmare il futuro, allora è evidente che il ricordare il più grande scienziato che l’Italia e forse il mondo abbiano mai avuto è importante. Ed è importante riflettere non solo sul ruolo delle sue invenzioni – come il celebre “cannocchiale” – e sulle sue scoperte scientifiche, specie in un paese nel quale, se le conoscenze storiche anche divulgative sono in genere di basso livello, quelle scientifiche sono di fatto sottozzero.
A questo punto, però, nel caso specifico galileiano una domanda s’impone. Quale sarà il senso delle celebrazioni? Perché, se si tratta di ricordare e di valorizzare le invenzioni e le scoperte del grande pisano, allora il programma di mostre, di convegni e di momenti celebrativi previsto è ottimo. Al riguardo esistono due splendidi centri-motore: il Museo della Scienza di Firenze con il suo formidabile direttore, Paolo Galluzzi, che lavora da decenni, e in modo esemplare, su questi temi; e la Domus Galileiana di Pisa. Ma per adeguatamente onorare l’inventore del telescopio, una cosa soprattutto si dovrebbe fare: il sostenere con un impulso straordinario la ricerca scientifica, il reperire i mezzi per consentire a qualche giovane promettente in più di mandare avanti i suoi studi in un momento cruciale della crisi che il nostro paese e tutto il mondo sta attraversando, e che stiamo facendo pagare soprattutto alla scuola e alla cultura, dove i “tagli” sono stati molto forti e, purtroppo, tra i meglio sopportati da una società civile che evidentemente manca di sensibilità in questo specifico settore. Questo sarebbe senza dubbio un modo migliore di onorar Galileo che non stampare dei francobolli con la sua effigie o coniar monete e medaglie in suo onore. O preferiamo accontentarci della solita retorica celebrativa?
Diverso il discorso se qualcuno ritiene che l’Anno Galileiano potrebbe servire a qualcos’altro. Perché Galileo fu anche processato per eresia. Non è escluso (anzi, comincia già a succedere) che ci sia chi pensa di strumentalizzare la ricorrenza per imbastire ancora uno dei tanti processi alla Chiesa cattolica repressiva, oscurantista eccetera. C’è già chi ha risfoderato il “dovere della memoria” per esigere che “la Chiesa chieda scusa” per quel processo inquisitoriale eccetera. E chi ritiene invece che quel lontano evento possa oggi servire per richiamare l’attenzione sul fatto che ancora oggi esistono limiti alla libertà di coscienza e che ancora oggi vi sono paesi nei quali viene contemplato e punito il “delitto d’opinione”. Dove? Perché? Per quali reati o supposti tali? Non ve lo dico. Informatevi. E poi, magari, apriamo un dibattito anche su queste cose.
Lo scienziato, allora cinquantacinquenne, avrebbe pubblicato i risultati delle sue straordinarie ricerche in un trattato, il Sidereus Nuncius, che gli avrebbe valso il richiamo in Toscana da parte del granduca Cosimo II: un gesto che fu uno dei primi atti di governo dell’appena ventenne sovrano, da poco succeduto al padre Ferdinando I.
Galileo poté tornare quindi nella sua Pisa, sede di un’Università del resto non meno prestigiosa di quella padovana. Di rado si è profeti in patria: ma è certo una soddisfazione poterci rientrare alla grande.
Ma chissà se fece proprio bene, con quella scelta. Oltre un ventennio dopo, all’indomani della pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, dovette partire quasi settantenne per Roma al fine di rispondere dinanzi al Sant’Uffizio dell’accusa di eresia. Se fosse rimasto in terra di San Marco, avrebbe potuto evitare quella dolorosa esperienza, che toccò profondamente la sua coscienza di credente: anche se ad essa sopravvisse per un decennio. E arrivare a ottant’anni, nel XVII secolo, non era certo roba da poco né da tutti.
È quindi molto giusto che il 2009 sia “Anno Galileiano”, come il 1492, anno della scoperta del Nuovo Mondo, fu “Anno Colombiano”. Qualcuno si chiede “a che cosa serve” un Anno del genere. Tutto dipende dal concetto che si ha della cultura, dell’identità e al limite della vita stessa. Se si ritiene che per vivere basti respirare, mangiare, bere, assolvere più o meno bene a un paio di altre funzioni fisiologiche e poi magari mantenersi in buona salute e guadagnare dei soldi, allora si può far a meno di tutto il resto: e perfino chiudere i musei, e perfino le scuole e le biblioteche.
Se invece si ritiene che la memoria del passato sia essenziale per ben progettare il presente e programmare il futuro, allora è evidente che il ricordare il più grande scienziato che l’Italia e forse il mondo abbiano mai avuto è importante. Ed è importante riflettere non solo sul ruolo delle sue invenzioni – come il celebre “cannocchiale” – e sulle sue scoperte scientifiche, specie in un paese nel quale, se le conoscenze storiche anche divulgative sono in genere di basso livello, quelle scientifiche sono di fatto sottozzero.
A questo punto, però, nel caso specifico galileiano una domanda s’impone. Quale sarà il senso delle celebrazioni? Perché, se si tratta di ricordare e di valorizzare le invenzioni e le scoperte del grande pisano, allora il programma di mostre, di convegni e di momenti celebrativi previsto è ottimo. Al riguardo esistono due splendidi centri-motore: il Museo della Scienza di Firenze con il suo formidabile direttore, Paolo Galluzzi, che lavora da decenni, e in modo esemplare, su questi temi; e la Domus Galileiana di Pisa. Ma per adeguatamente onorare l’inventore del telescopio, una cosa soprattutto si dovrebbe fare: il sostenere con un impulso straordinario la ricerca scientifica, il reperire i mezzi per consentire a qualche giovane promettente in più di mandare avanti i suoi studi in un momento cruciale della crisi che il nostro paese e tutto il mondo sta attraversando, e che stiamo facendo pagare soprattutto alla scuola e alla cultura, dove i “tagli” sono stati molto forti e, purtroppo, tra i meglio sopportati da una società civile che evidentemente manca di sensibilità in questo specifico settore. Questo sarebbe senza dubbio un modo migliore di onorar Galileo che non stampare dei francobolli con la sua effigie o coniar monete e medaglie in suo onore. O preferiamo accontentarci della solita retorica celebrativa?
Diverso il discorso se qualcuno ritiene che l’Anno Galileiano potrebbe servire a qualcos’altro. Perché Galileo fu anche processato per eresia. Non è escluso (anzi, comincia già a succedere) che ci sia chi pensa di strumentalizzare la ricorrenza per imbastire ancora uno dei tanti processi alla Chiesa cattolica repressiva, oscurantista eccetera. C’è già chi ha risfoderato il “dovere della memoria” per esigere che “la Chiesa chieda scusa” per quel processo inquisitoriale eccetera. E chi ritiene invece che quel lontano evento possa oggi servire per richiamare l’attenzione sul fatto che ancora oggi esistono limiti alla libertà di coscienza e che ancora oggi vi sono paesi nei quali viene contemplato e punito il “delitto d’opinione”. Dove? Perché? Per quali reati o supposti tali? Non ve lo dico. Informatevi. E poi, magari, apriamo un dibattito anche su queste cose.