«E’ vero! Darwin ha vinto. Ma solo per ora. Poi dovremo ridiscutere il risultato alla luce di tutte le iniziative che si stanno preparando».
Perché Darwin è così forte?
«Lui è il personaggio legato a uno dei settori multidisciplinari trionfanti, la biologia, che oggi ha scalzato la fisica. E d’altra parte viviamo in uno dei Paesi dove l’evoluzionismo è visto con sospetto e, quindi, si spinge sull'”anno darwiniano” per scongiurare la tentazione di mettere tutto sullo stesso piano: darwinismo, appunto, con creazionismo e “disegno intelligente”».
Si evoca Darwin per salvare Galileo?
«Sì. E’ un po’ così! ».
Galileo, però, fu processato e non è mai stato riabilitato al 100%: perché ora fa meno paura?
«In realtà, se si leggono gli interventi di sacerdoti-astronomi come Annibale Fantoli e George Coyne, si capisce che la questione Galileo non è affatto chiusa, nonostante il riconoscimento di Papa Wojtyla degli errori della Chiesa».
Vale a dire?
«Non si è ancora digerita la sua grande lezione: scrivendo all’amico e discepolo Benedetto Castelli, spiega che, se le Leggi della Natura sono scritte da Dio, allora, quando le si svela, non si fa altro che approfondire una realtà che proviene da Lui. Se poi le Sacre Scritture dicono altro, il problema è dei teologi, costretti ad affrontare contraddizioni che non hanno senso di esistere. E di conseguenza, se la Chiesa pensa di poter chiudere un capitolo della ricerca scientifica bruciando qualcuno o relegandolo nel novero degli eretici, sbaglia: nel lungo periodo – conclude Galileo – non si potrà impedire di guardare le cose come sono».
Sintetizzato così, il ragionamento galileiano appare ancora più destabilizzante perla Chiesa di quello darwiniano, che invece finisce per ignorare Dio.
«E infatti senza Galileo non potrebbe esistere Darwin. Galileo vive in un periodo in cui la laicizzazione della scienza è tutta da costruire e, quindi, i suoi primi passi sono drammatici. Darwin, al contrario, appartiene a un secolo in cui la ricerca si è emancipata e anche grandi scienziati credenti, come Maxwell o Lord Kelvin, sostengono a chiare lettere che una cosa è ragionare sul mondo e un’altra è riflettere su fede e religione. Ecco perché, ben consapevole delle conseguenze a lungo termine delle sue ricerche, dall’origine dell’uomo alla nascita della morale, non prende posizione in modo così “tranchant” come il suo predecessore: sa di non dover fare crociate, anche se resta sempre in posizione circospetta».
E, allora, il 2009 riuscirà a ridare a Galileo il riconoscimento che merita?
«Lo spero. Ma, se segmentare i contributi al pensiero scientifico per nazione o individui, come fanno ancora molti, può avere una limitata utilità pedagogica, è chiaro che la ricerca è un’impresa collettiva e unitaria. Quando si festeggiano i 400 anni dei cannocchiale di Galileo, in realtà ci si riferisce anche agli eventi dell’Anno Internazionale dell’Astronomia e, parlando di astronomia, non si può non affrontare la fisica: Galileo fu anche un grande fisico e la fisica che lui cerca è quella necessaria a confermare il copernicanesimo. Senza quelle ricerche, d’altra parte, non prenderebbero forma i suoi studi astronomici e senza l’astronomia non sarebbero stati stimolati i suoi interessi per la fisica dei moti locali… Questa circolarità dimostra perché oggi si festeggia prima di tutto la scienza e il suo futuro».
E’ uno dei motivi dei titolo della mostra?
«L’abbiamo divisa in sezioni proprio per rappresentare i tanti campi originati dalle intuizioni e dalle ricerche di Galileo, fino alle nanotecnologie e agli acceleratori di particelle. E, naturalmente, non poteva mancare la biologia: raccontiamo la nascita del microscopio, che – di fatto – è una delle sue invenzioni. Senza questo strumento non sarebbe esistita la biologia come scienza né Darwin come evoluzionista e non si sarebbe nemmeno trovata la sintesi tra genetica ed evoluzione. li microscopio non è altro che il cannocchiale dei biologo. Galileo vive ed è ovunque».