Il primato della ragione e la fede cristiana

Benedetta CappelliniRassegna Stampa

Tracce, n. 2 febbraio 2009, di Joseph Ratzinger
La separazione operata dal pensiero cristiano fra metafisica e fisica viene sempre più abbandonata. Tutto deve ridiventare “fisica”. La teoria dell’evoluzione si è sempre più venuta delineando come la via per far scomparire finalmente la metafisica e per far apparire superflua l’“ipotesi di Dio” (Laplace) e per formulare una spiegazione strettamente “scientifica” del mondo. Una teoria dell’evoluzione che spiega complessivamente tutta la realtà è divenuta una sorta di “filosofia prima” che, per così dire, rappresenta il fondamento vero e proprio della comprensione razionale del mondo. Ogni tentativo di porre in gioco cause diverse da quelle elaborate in tale teoria “positiva”, ogni tentativo di “metafisica” deve apparire come una ricaduta a prima dell’illuminismo, come una rinuncia alla pretesa universale della scienza. Quindi l’idea cristiana di Dio deve essere considerata non scientifica. A essa non corrisponde più alcuna theologia physica: in tale visione l’unica theologia naturalis è la teoria dell’evoluzione, e questa, per l’appunto, non conosce alcun Dio, né un creatore nel senso del cristianesimo (del giudaismo e dell’islam), né un’anima del mondo e neppure una forza propulsiva o dynamis nel senso della Stoà. Tutt’al più si potrebbe considerare tutto questo mondo nel senso del buddismo come un’apparenza e il nulla come la vera realtà, e in questo senso giustificare forme mistiche di religione, che perlomeno non competono direttamente con l’illuminismo (ossia con la ragione).
Si è detta con questo l’ultima parola, la ragione e il cristianesimo sono dunque definitivamente separati l’uno dall’altra? In ogni caso non v’è modo di sfuggire alla discussione sulla portata della teoria dell’evoluzione come filosofia prima e sulla esclusività del metodo positivo come unica modalità della scienza e della razionalità. Questa discussione quindi dev’essere intrapresa da ambedue le parti in modo sereno e con disponibilità all’ascolto, cosa che finora è avvenuta in misura minima. Nessuno potrà mettere seriamente in dubbio le prove scientifiche per i processi microevolutivi. Reinhard Junker e Siegfried Scherer nel loro “manuale critico” sull’evoluzione dicono: «Tali processi (processi microevolutivi) sono ben noti a partire dai processi di variazione e di formazione naturali. Il loro esame mediante la biologia dell’evoluzione ha permesso di acquisire importanti conoscenze sulla capacità di adattamento, che appare geniale, dei sistemi vitali». Essi affermano di conseguenza che lo studio delle origini si potrebbe definire a buon diritto come la disciplina principe della biologia.
Perciò la domanda che un credente avanzerà nei confronti della ragione non si riferisce a questo, ma all’estensione a una philosophia universalis, che vuole diventare la spiegazione globale del reale e non vorrebbe più ammettere alcuno altro livello di pensiero. All’interno della stessa teoria dell’evoluzione il problema si intravede nel passaggio dalla micro alla macro evoluzione, su cui tuttavia Szathmáry e Maynard Smith, entrambi convinti sostenitori di una teoria inglobante dell’evoluzione, dichiarano: «Non c’è alcun motivo teorico che faccia presumere che delle linee evolutive col tempo aumentino di complessità; non c’è alcuna prova empirica che ciò accada».
La domanda, che qui si deve porre, scende più in profondità: il problema è se la teoria dell’evoluzione si possa presentare come teoria universale di tutti il reale, oltre la quale non sono più ammissibili e neppure necessarie ulteriori domande sull’origine e sulla natura delle cose, oppure se tali domande ultime non oltrepassino l’ambito di ciò che si può investigare solo con le scienze naturali. Vorrei porre la domanda in modo ancora più diretto. Si è già detto tutto con un tipo di risposte come quello che troviamo per esempio nella seguente formulazione di Popper: «La vita, come la conosciamo, è costituita da “corpi” fisici (meglio da processi e strutture), che risolvono dei problemi. Le diverse specie l’hanno “imparato” attraverso la selezione naturale, cioè attraverso il metodo della riproduzione più variazione; un metodo che a sua volta è stato appreso con lo stesso metodo. Questo è un regresso, ma non è infinito…»? Io non lo credo. In ultima analisi si tratta di un’alternativa che non si può più risolvere solo naturalisticamente e neppure filosoficamente. Si tratta della questione se la ragione ovvero il razionale stiano o meno all’inizio di tutte le cose e a loro fondamento. Si tratta della questione se il reale sia sorto per caso e per necessità (o con Popper, che si rifà a Butler, da luck e cunning – il caso fortuito e la previsione), quindi dall’irrazionale, se quindi la ragione è un sottoprodotto casuale dell’irrazionale alla fin fine irrilevante nell’oceano dell’irrazionale, oppure se rimane vero ciò che costituisce la convinzione basilare della fede cristiana e della sua filosofia: In principio erat Verbum – all’origine di tutte le cose sta la forza creatrice della ragione. La fede cristiana è oggi come in passato l’opzione per la priorità della ragione e del razionale.
Tale questione ultima non può più, come s’è detto, venire decisa con argomenti derivati dalle scienze naturali, e anche il pensiero filosofico cozza qui contro i propri limiti. In questo senso non c’è una dimostrabilità ultima dell’opzione cristiana fondamentale. Ma la ragione può veramente rinunciare alla priorità del razionale sull’irrazionale, alla priorità originale del Logos, senza annullare se stessa? Il modello di spiegazione presentato da Popper, che in varianti diverse ritorna in altre presentazioni della “filosofia prima”, dimostra che la ragione non può far altro che pensare anche l’irrazionale secondo la sua misura, quindi razionalmente (risolvere problemi, apprendere metodi), ristabilendo quindi in tal modo implicitamente il primato della ragione appena negato. Mediante la sua opzione per il primato della ragione il cristianesimo rimane ancor oggi “illuminismo”, e io penso che un illuminismo che cancelli quest’opzione, contro ogni apparenza, non dovrebbe rappresentare un’evoluzione, ma un’involuzione dell’illuminismo.
Avevamo visto che nella concezione del cristianesimo primitivo i concetti di natura, uomo, Dio, ethos e religione erano indissolubilmente intrecciati fra loro e che proprio questo intreccio aveva contribuito alla ragionevolezza del cristianesimo nella crisi degli dèi e nella crisi dell’antica razionalità. L’orientamento della religione a una visione ragionevole della realtà in generale, l’ethos come parte di questa visione e la sua concreta applicazione sotto il primato dell’amore si combinavano insieme. Il primato del Logos e il primato dell’amore si dimostrarono identici. Il Logos non comparve solo come ragione matematica alla base di tutte le cose, ma come amore creativo fino al punto di diventare un compatire con la creatura. L’aspetto cosmico della religione, che adora il Creatore nella potenza dell’essere, e il suo aspetto esistenziale, la domanda di redenzione, confluirono insieme e divennero un unicum.
In effetti ogni spiegazione della realtà che non sia in grado di fondare significativamente e ragionevolmente un ethos deve rimanere insufficiente. Ora, la teoria dell’evoluzione, laddove si appresta a espandersi a philosophia universalis, cerca di fondare di nuovo evoluzionisticamente anche l’ethos. Ma quest’ethos evoluzionistico, che rinviene inevitabilmente il suo concetto chiave nel modello della selezione, quindi nella lotta per la sopravvivenza, nella vittoria del più forte, nel’adattamento riuscito, ha da offrire poco di consolante. Anche quando si cerca di migliorarlo in vari modi, rimane pur sempre in definitiva un ethos spietato. Il tentativo di distillare il ragionevole da ciò che è irragionevole in sé qui fallisce proprio in modo palese. Per un’etica della pace universale, dell’amore effettivo del prossimo e del necessario superamento del particulare, di cui abbiamo bisogno, tutto questo serve ben poco.
In questa crisi dell’umanità il tentativo di dare nuovamente un senso ragionevole all’idea del cristianesimo come religio vera deve per così dire poggiare in ugual misura sull’ortoprassi e sull’ortodossia. Il suo contenuto oggi, come in passato, deve consistere essenzialmente sul fatto che l’amore e la ragione, come i due veri e propri pilastri del reale, confluiscono in uno: la ragione vera è l’amore, e l’amore è la ragione vera. Nella loro unità essi costituiscono il vero fondamento e il fine di tutto il reale.(Tratto dal discorso pronunciato dal cardinale Joseph Ratzinger il 27 novembre 1999 presso la Sorbonne di Parigi e riportato nella prefazione del libro Creazione ed evoluzione – Un convegno con Papa Benedetto XVI a Castel Gandolfo, a cura di Stephan Otto Horn e Siegfried Wiedenhofer, EDB, Bologna 2007)