Aldo Lardone, la Stampa, 13 febbraio 2009
In un recente rapporto del CSR[I], datato dicembre 2008, ed intitolato “Carbon Control in the U.S. Electricity Sector: Key Implementation Uncertainties” vengono analizzati i principali punti di incertezza che caratterizzano l’implementazione di varie iniziative volte al controllo delle emissioni di carbonio nel settore elettrico, che è responsabile del 40% di tutte le emissioni di anidride carbonica in atmosfera degli Stati Uniti.
Questo rapporto (scaricabile da http://www.junkscience.com/feb09/CRS_CarbonControl.pdf) ci è sembrato particolarmente interessante, e le considerazioni in esse contenute costituiscono un utile sfondo contro il quale ci sembra si possano valutare non solo le decisioni che la nuova amministrazione americana sta prendendo o prenderà in questo campo, ma anche le analoghe iniziative di casa nostra.
Il rapporto cerca di rispondere a sette questioni fondamentali che sorgono, in particolare per il settore elettrico, in relazione all’intenzione manifestata dal nuovo presidente Barack Obama di riportare entro il 2020 le emissioni statunitensi di carbonio ai livelli del 1990 e di ridurle di un ulteriore 80% entro il 2050. Benché a prima vista possano sembrare dei problemi particolari, il rapporto ha in realtà il merito proprio di mettere in luce le problematiche tecniche, critiche e molto concrete, sulle quali si deve misurare la fattibilità di quanto la politica intende promuovere.
Le domande, che prendono spunto dalle previsioni contenute in uno dei più estesi studi su come raggiungere un simile obbiettivo, predisposto dall’EPRI[II], riguardano i seguenti punti:
1) efficienza – gli USA sono in grado di superare le barriere socioeconomiche che ostacolano il raggiungimento di risparmi potenziali nell’utilizzo dell’energia elettrica quattro volte superiori a quelli fino ad oggi conseguiti?
2) energie rinnovabili – ci sono abbastanza linee elettriche per trasmettere l’energia eolica e c’è abbastanza terra per coltivare le biomasse energetiche?
3) energia nucleare – si potranno costruire nuovi impianti abbastanza in fretta da fornire un risultato utile?
4) impianti a carbone avanzati – le banche li finanzieranno e gli organismi normatori li approveranno?
5) cattura e sequestro della CO2 – la tecnologia si svilupperà in 10 anni, 25 anni o mai?
6) veicoli elettrici ibridi plug-in – quanta energia elettrica pulita sarà disponibile per caricare le loro batterie?
7) risorse energetiche distribuite – i costi della CO2 cambieranno l’economia delle risorse distribuite in misura sufficiente a spronare il loro sviluppo?
Riguardo al primo punto, cioè all’efficienza negli utilizzi dell’energia elettrica, si consideri che essa dovrebbe essere migliorata del 25-30% per produrre la prevista riduzione delle emissioni di CO2. Questo potrebbe essere considerato un obbiettivo raggiungibile, nel giro di 10-20 anni, ma il CSR osserva che “la natura diffusa delle opportunità di miglioramento e la complessità economica delle decisioni da prendere” ha reso storicamente difficile ottenere miglioramenti dell’efficienza energetica superiori al 5-7%, su simili archi temporali; e benché non sia impossibile immaginare politiche più aggressive (ad esempio imporre standard edilizi più stringenti), ci sono pochi esempi su cui basare le proiezioni di una possibile maggiore efficacia futura dei provvedimenti di risparmio, rispetto a quella dimostrata nel passato.
Relativamente al punto 2) il problema principale con l’energia eolica, è che se essa dovesse produrre circa il 20% dell’elettricità consumata, negli USA dovrebbero essere costruiti circa 30.000 km di nuove linee di trasmissione, in quanto le zone a potenziale eolico più interessante si trovano per la gran parte lontane dalle aree più abitate (e quindi di consumo). La maggior difficoltà a far ciò non sono tanto i circa 26 miliardi di dollari che sarebbero necessari per la costruzion, quanto la difficoltà ad ottenere i permessi di passaggio delle linee elettriche. La negazione dei permessi al passaggio delle linee, specie nelle numerose zone protette che spesso si sarebbe costretti ad attraversare per sfruttare le risorse eoliche più interessanti, è un problema che il CSR definisce come una “fra le più serie e intrattabili opposizioni nel settore energetico statunitense”[III].
Le problematiche relative ad un esteso utilizzo dei biofuels non sono di minore entità. Il Rapporto del CSR cita alcune fonti che sottolineano come un incremento della loro produzione “richiederebbe la coltivazione e la raccolta di varie biomasse energetiche ad una scala che va molto al di là della pratica corrente”. E mentre alcuni studi sono relativamente ottimisti sulle capacità del sistema agro-forestale di tollerare senza troppi problemi incrementi anche di 7-8 volte della attuale produzione di biomassa, altri, ad esempio uno studio del MIT del 2007, stimano che per una produzion estesa di biomasse potrebbero essere necessari fino a 500 milioni di acri di terreni agro-forestali (pari a circa 200 milioni di ettari), cioè quasi un quarto di quelli disponibili, con un tale spostamento di utilizzo dei suoli da rischiare che gli Stati Uniti diventino un sostanziale importatore di derrate alimentari.
L’energia nucleare, punto 3) produce tuttora circa il 20% dell’energia elettrica degli USA, ma negli ultimi 25-30 anni ha subito, come noto, una stasi (attualmente sono in servizio un totale di 104 reattori). In conseguenza di ciò le previsioni più ottimistiche prevedono che prima del 2030 non sarà possibile costruire più di 30 reattori (in buona parte da destinare a sostituzione di impianti giunti a fine vita), cioè meno della metà di quelli che furono costruiti nel periodo d’oro del nucleare, fra il 1963 e il 1985. Altri sono più pessimisti, prevedendo in sostanza, che il contributo del nucleare rimarrà piuttosto modesto almeno per i prossimi 15-20 anni, in quanto la complessità delle procedure di costruzione degli impianti nucleari, è ormai tale da non consentire una accelerazione della costruzione, che sia in grado di produrre una significativa riduzione delle emissioni di CO2 sul breve-medio periodo.
I punti 4) e 5) sono molto legati l’uno all’altro. In effetti le tecnologie più avanzate ed attualmente mature per la produzione di energia elettrica col carbone (cicli ultrasupercritici ed impianti di gassificazione del carbone) consentirebbero di costruire impianti a carbone di efficienza superiore dell’ordine di 10 punti percentuali rispetto alla maggior parte di quelli al presente in uso negli Stati Uniti. Ciò darebbe ovviamente luogo ad una corrispondente diminuzione delle emissioni di CO2, ma le crescenti difficoltà nelle procedure autorizzative anche di tali impianti avanzati, tende a creare una stasi nella loro costruzione, essendo forte l’attesa per lo sviluppo degli impianti CCS, cioè quelli di cattura e sequestro della CO2. In altri termini la costruzione di impianti a carbone avanzati è resa poco appetibile dalle aspettative future di ulteriori forti trasformazioni delle tecnologie di utilizzo del carbone. D’altra parte anche le più rosee previsioni sullo sviluppo degli impianti CCS, non prevedono la messa a punto dei primi impianti a scala industriale prima del 2020, e dunque sul breve-medio periodo anche queste tecnologie non potranno fornire un gran contributo alla riduzione delle emissioni di CO2.
A riguardo del punto 6), sono noti gli slogan lanciati in campagna elettorale dal presidente eletto Barack Obama, di mettere sulla strada un milione di veicoli ibridi plug-in, cioè a propulsione mista, motore a scoppio-elettrico, e batterie ricaricabili dalla rete elettrica.
Questi veicoli hanno un pacco batterie più capace delle ibride attualmente più diffuse, in modo da fornire l’autonomia sufficiente ai chilometraggi tipici degli spostamenti casa-lavoro (40-60 km), con ricarica notturna delle batterie.
Al di là delle incognite se tale tipo di veicolo, che ha costi di acquisto di un buon 75% superiori a un veicolo convenzionale, troverà mercato sufficiente da diffondersi in quantità significative, resta il problema di fondo che essi contribuirebbero alla riduzione delle emissioni complessive di CO2 solo se consumassero elettricità prodotta da centrali elettriche carbon-free. In effetti esistono vari studi americano che dimostrano che se non entreranno in funzione nuove centrali a carbone avanzate, o nucleari, o che sfruttino fonti energetiche rinnovabili, con le quali venga prodotta l’energia elettrica di ricarica, anche in questo caso sul breve-medio periodo la riduzione di emissioni sarà trascurabile (nda. diverso potrà ovviamente essere il punto di visto se si considera il problema complessivo della riduzione degli inquinanti emessi dalle automobili, specialmente nelle aree urbane).
Infine al punto 7) il documento valuta il contributo delle risorse energetiche distribuire, quali i pannelli fotovoltaici sui tetti ed il mini-eolico, le celle a combustibile, i sistemi di cogenerazione, le pompe di calore, eccetera.
Le conclusioni sono che una più estesa applicazione di queste tecnologie, per quanto non ci siano dubbi sulla loro intrinseca efficienza energetica, incontra ostacoli tecnico-economici sostanzialmente non differenti rispetto a quelli descritti al punto 1).
Il rapporto si chiude con conclusioni non troppo rassicuranti, quali la seguente:
“Il costo di costruzione ed i esercizio di impianti a carbone dotati o non di CCS, il costo del gas naturale, del nucleare e delle fonti rinnovabili, il costo di riduzione delle emissioni da settori esterni a quello delle aziende elettriche, ed in ultima analisi il prezzo di mercato della stessa CO2, sono tutte variabili che detteranno le decisioni dei futuri sviluppatori degli impianti di produzione di energia elettrica. Da punto di vista odierno queste variabili sono tutte fortemente incerte, e sono in grado di creare un complesso di drivers economici drammaticamente differenti da quelli previsti dal potere politico.”
In effetti negli Stati Uniti (ma ancor più succede in Europa) molti immaginano che la chiave di una politica di successo per la riduzione delle emissioni di CO2, stia nell’adozione, in maniera decisa, di un complesso di misure di riduzione, che prese singolarmente promettono tutte di produrre risultati positivi. Diversi studi mostrano peraltro che ci sono molti aspetti dell’implementazione di questi provvedimenti che possono avere importanti impatti sulla loro applicabilità. Come si legge in uno di questi studi:
“per capire le relazioni fra cambiamento tecnico, cambiamento climatico e politica, è importante includere esplicitamente, nelle valutazioni, le incertezze sui cambiamenti tecnici e sui danni climatici….la politica ottimale è ben diversa, quando si tengono in conto le incertezze”.
Certamente queste sottigliezze del reale sfuggono a chi ragiona solo per schemi ideologici, ma conclude ancora il documento:
“A parte le misure discusse in questo rapporto, nuove tecnologie, nuove abitudini dei consumatori o nuovi sviluppi infrastrutturali possono emergere rapidamente ed in modo inaspettato mutando gli aspetti fondamentali della traiettoria nazionale delle emissioni di carbonio. In un modo o nell’altro le forniture di elettricità si adegueranno alla domanda, ma forse in modi non previsti prima. La recente volatilità del prezzo globale del petrolio è un rilevante esempio di cambiamenti strutturali non previsti dei mercati energetici. Trovare un equilibrio fra risposte alla volatilità dei mercati e cambiamenti strutturali, e necessità di fare previsioni nelle politiche di ricerca e sviluppo e negli investimenti di capitali privati, può essere essenziale per mantenere la nazione in rotta verso obbiettivi di riduzioni sensate della CO2 atmosferica”.
[I] I Congressional Research Services (CRS), sono una istituzione di lunga tradizione, nata per fornire al Congresso americano le informazioni e le analisi utili e necessarie a supportare il processo legislativo. Le origini del CRS risalgono al 1914 e l’istituto, che ha sede a Washington, impiega al momento circa 700 persone. Per maggiori informazioni vedere http://www.loc.gov/crsinfo/whatscrs.html)
[II] L’Electric Power Research Institute (EPRI), è l’organismo centrale di ricerca della associazione delle industrie elettriche americane. L’orizzonte temporale del rapporto EPRI é i 2030.
[III] Il lettore potrà trovare un esempio di questa problematica nella parte finale del nostro precedente articolo “Il dilemma ecologico-energetico degli Stati Uniti” del 04/09/2008.