Nei laboratori e nei centri di ricerca non si utilizza l’espressione “uomo bionico”, ma molte ricerche e sperimentazioni puntano in quella direzione; spesso rinviando a data da destinarsi le risposte agli inevitabili e gravi interrogativi di ogni tipo che simili progetti implicano. La maggior parte delle ricerche riguarda componenti particolari dell’organismo umano, singoli organi o sottosistemi. Tra questi il più difficile e complesso è il sistema visivo, che presiede a quella funzione così fondamentale per la nostra vita e per il nostro rapporto con la realtà. L’occhio bionico è ancora molto lontano all’orizzonte; anche se negli ultimi tempi le ricerche si sono moltiplicate, pur con risultati ancora limitati.
Ma cosa ha di tanto speciale il nostro occhio da rendere ardua la sfida di questi neuro scienziati e bioingegneri? Lo abbiamo chiesto a Mauro Ceroni, docente di neurologia presso l’università di Pavia.Quali sono le caratteri del sistema visivo umano che rendono difficile la sua “riparazione” o la sua sostituzione con sistemi artificiali?
Sicuramente la sua estrema complessità che si stabilisce in un lungo periodo di training (per lo meno il primo anno di vita). Ci sono nella retina oltre 120 milioni di sensori della luce. Il segnale analogico viene convertito in digitalico nella retina e notevolmente rielaborato nella retina stessa. E poi vi sono un milione di fibre del nervo ottico che conducono il segnale al cervello e la loro destinazione è altamente ordinata. Inoltre vi è una condizione anatomica molto rilevante: se si recide il nervo ottico in uno qualsiasi dei suoi tratti, la parte a monte del nervo degenera immediatamente perché il corpo cellulare che assicura l’integrità e la sopravvivenza delle fibre è costituito dalle cellule gangliari che risiedono nella retina. Pensare dunque di interfacciare una telecamera con la retina e/o il nervo ottico trovando il modo di stimolare tali strutture in modo analogo alla luce che colpisce la retina è al momento neppure immaginabile. Il sistema nervoso centrale è di una tale complessità che una volta stabilizzato nella sua conformazione definitiva, la ricrescita di assoni lesi viene impedita perché verosimilmente non utile o dannosa.Cosa dire delle sperimentazioni volte a far ricrescere i nervi ottici? Quali problemi ulteriori comporta il passaggio dalla sperimentazione sui topi (riportata da Science) a quella sull’uomo?
Il problema della ricrescita del nervo ottico è analogo alla ricrescita delle vie motorie e sensitive nelle lesioni del midollo. Sino ad ora questo è stato del tutto impossibile. Recentemente, come dice l’articolo, si sono scoperte alcune proteine che inibiscono la ricrescita delle fibre interrotte nel Sistema Nervoso Centrale. È probabile dunque che la natura abbia deciso di inibire la riscrescita assonale centrale perché sarebbe infruttuosa o anche dannosa. La ricrescita avviene invece spontaneamente nei nervi periferici, quando la struttura connettivale di supporto si mantiene integra e offre alla fibra la via dentro la quale può ricrescere.Il nervo ottico è costituito da un milione di fibre che hanno stabilito connessioni altamente ordinate: resta tutto da scoprire quante fibre possano ricrescere e quanto tale ricrescita sia efficiente. Inoltre il nervo ottico può ricrescere solo se la retina è integra in quanto il corpo cellulare dei neuroni, che costituiscono il nervo ottico con le loro fibre, ha sede nella retina stessa. Sono relativamente rare le patologie che ledono i nervi ottici senza ledere le cellule gangliari.
Lo stratagemma con cui si cerca di ottenere la ricrescita delle fibre centrali è quello di impiantare cellule del sistema olfattorio che permettono la ricrescita dei terminale nervosi olfattori. Anche se si riesce per questa via ad ottenere ricrescita di assoni del nervo ottico, resta tutta da scoprire la loro eventuale utilità per la funzione visiva.Ci sono delle reali prospettive per il sistema ideato all’università di Oxford per riconoscere gli oggetti attraverso i suoni?
Il sistema è basato sulla trasformazione delle immagini registrate da una videocamera in suoni correlati con i profili degli oggetti e sul training del soggetto ad associare pattern sonori con forme di oggetti. Chiamare un tale sistema “visivo” è fuorviante. Ottimizzato può indubbiamente permettere il miglioramento degli spostamenti per i non vedenti. Viene giustamente sottolineato che solo chi era in precedenza vedente può trarre beneficio da tale sistema.
All’università della California del Sud stanno invece tentando la scommessa dell’occhio bionico: qui il problema è solo quantitativo, cioè di numero e potenza dei biochip o c’è dell’altro?
Il sistema è pensato per le malattie degenerative della retina in cui vi è perdita progressiva di coni e bastoncelli, i sensori della luce. L’idea è quella di collegare una videocamera con elettrodi impiantati nella retina che traducano l’immagine in impulsi elettrici che stimolino le altre cellule della retina deputate a trasmettere l’informazione visiva raccolta da coni e bastoncelli al cervello. La retina è di una tale complessità che solo una sperimentazione approfondita con variazione di tantissimi parametri potrà svelarci la plausibilità e utilità di un tale sistema.
Cosa può dire oggi un neurologo sull’esperienza umana del vedere?
La vista è un senso talmente stupefacente che ha catturato anche l’interesse dei neurofisiologi più degli altri sensi. La messe di dati raccolti è impressionante e, come sempre succede, aumenta la meraviglia che ci coglie davanti alla realtà. Nello stesso tempo quanto è stato scoperto, lungi dall’esaurire la comprensione dei meccanismi che stanno alla base del vedere, non fa altro che aprire nuove frontiere di conoscenza prima inimmaginate. La conoscenza dell’anatomia e fisiologia del sistema visivo con tutti gli apporti più recenti circa la pluralità e specificità dei centri corticali di arrivo dei flussi informativi visivi mi lascia stupito, per dirla con le parole di Feynmann, per l’inconcepibile natura della natura e affascinato dalla bellezza piena di mistero di come siamo fatti.